Start up Italia: problemi e aspettative. Ma qualcosa si muove…

Nonostante tecnologie all’avanguardia e team preparati, le start up faticano a crescere in Italia, di cui gli investitori stranieri temono soprattutto il sistema legale. L’alternativa è che aumentino gli investimenti realizzati con capitali italiani destinati allo sviluppo di queste realtà. La nuova normativa sulle start up in fase di conversione in legge può essere uno stimolo capace di fare la differenza

Pubblicato il 13 Feb 2013

È certo una buona notizia per l’industria informatica italiana il finanziamento di 15 milioni di dollari all’azienda software Decisyon, fondata dagli italiani Franco Petrucci e Cosimo Palmisano. In realtà si tratta di una start up anomala visto che è stata fondata 8 anni fa e ha 80 dipendenti fra Latina e Milano. La novità è rappresentata dalla piattaforma web Ecce Customer per il social crm che permette alle aziende di analizzare il grafo sociale delle proprie fan page, di gestire i social e il workflow management integrando il tutto in un sistema aziendale.

Decisyon si è autofinanziata fino a quando ha scoperto che per sfruttare il proprio potenziale e crescere più rapidamente era necessario trovare dei partner. Ma una delle condizioni è stata spostare il quartier generale negli Usa pur mantenendo lo sviluppo tecnologico in Italia.

Marco Marinucci, fondatore e Direttore Esecutivo di Mind the Bridge

“Dove le aziende si sviluppino è un falso problema, l’importante è metterle in condizione di poterlo fare”, sostiene Marco Marinucci, fondatore e Direttore Esecutivo di Mind the Bridge che ha da poco lasciato l’incarico presso Google per dedicarsi a tempo pieno al mestiere di investitore in Silicon Valley. “Il periodo di incubazione da noi a San Francisco è funzionale all’approfondimento, alla qualificazione e al miglioramento della forma imprenditoriale nonché alla valutazione di quali possano essere le possibilità di sviluppo dell’azienda – spiega – Alcune delle start up che passano da noi troveranno il loro percorso di sviluppo negli Usa, per altre questo accadrà in Italia. Quello che è rilevante è che siano messe nelle condizioni di crescere”.

Start up, fate le valigie!

Eppure ci sono ragioni serie perché gli investitori internazionali pur apprezzando la qualità delle imprese e della tecnologia italiana non investono nelle nostre start up Ict.

Erik Jansen, presidente di Decisyon

“Dal punto di vista di un investitore, conta la qualità del team e il valore che i prodotti portano ai clienti. L’Italia ha professionalità tecnologiche eccezionali e incredibili talenti. E Decisyon ne è un ottimo esempio”, ha dichiarato Erik Jansen, di Senja Holdings che ha investito in Decisyon diventandone il presidente.

“Nonostante ci siano straordinarie tecnologie e team molto preparati, il mercato italiano non ha dimensioni sufficienti affinché si possano sviluppare. Ma gli investitori americani non sono però disponibili a investire in aziende italiane per sviluppare un business globale. È un processo troppo complesso mettere a punto l’organizzazione di un’azienda che ha sede in Italia e sviluppare un business in parallelo in Europa e negli Usa. Io, come olandese che vive da anni negli Usa, posso adattarmi, ma la maggior parte degli investitori americani ragiona diversamente. Se sono interessati a un’azienda la inducono a sviluppare l’attività negli Usa”. Ma i maggiori problemi sono a livello di sistema paese; secondo Jensen l’Italia è nota nel mondo per i suoi grandi clienti che comprano i prodotti ma non pagano mai: un grande problema per le start up che necessitano di cash. Ma il vero incubo per gli investitori è il sistema legale. Le start up Ict, secondo Jansen, devono dunque fare le valige e trasferirsi negli Usa o quantomeno adottare il modello duale come ha fatto Decisyon e, da tempo, la più consolidata Funambol, sede in California e sviluppo in Italia.

Italia: piccoli investitori crescono

Se all’estero esistono questi timori, l’alternativa può essere l’aumento degli investimenti realizzati con capitali italiani: anche da noi qualcosa ha cominciato a muoversi nel settore degli investimenti nelle start up nelle loro prime fasi di vita (early stage) ancor prima dell’importante stimolo venuto dal decreto legge sulle start up. Come evidenzia l’indagine congiunta tra l’Associazione Iban – Italian Business Angels Network e l’Osservatorio Venture Capital Monitor – Vemtm, appena pubblicata (figura 1), nel 2011 sono state effettuate 161 operazioni per un totale di 71,2 milioni di euro.

Figura 1: Investimenti nelle startup nelle loro prime fasi di vita Fonte: Iban – Vemtm

La maggior parte delle operazioni sono state realizzate nel settore Ict che ha attratto il 31% degli investimenti. In particolare si distinguono le iniziative legate alle web and mobile application, che hanno ottenuto il 15% del mercato, con una prevalenza degli investimenti degli operatori istituzionali che in questo settore hanno realizzato più del 50% dei propri investimenti, mentre per i business angels c’è maggior frammentazione, anche se l’Ict rappresenta il settore leader con il 17%.

In termini di localizzazione geografica, le regioni che hanno attratto i maggiori investimenti sono state Lombardia, Toscana e Piemonte, che concentrano il 55% del mercato, mentre nel Centro Italia si distingue la performance del Lazio che ha realizzato 13% delle operazioni. Resta tuttavia un gap elevato con altri paesi europei: 486 milioni in Gran Bretagna, 597 in Francia e 687 in Germania.

Ma ci sono anche altri fronti aperti: non si tratta di investitori puri ma di operatori che puntano al settore Ict e web, accompagnano le start up supportandole anche dal punto di vista dello sviluppo tecnologico e manageriale. Si tratta in pratica di incubatori privati che si affiancano a quelli pubblici (supportati dagli enti locali o dalle università) fornendo anche finanziamenti. Il caso più noto è quello di H-Farm, il più recente quello di Nana Bianca incubatore appena lanciato dai fondatori di Dada a Firenze ma con una prospettiva globale. La nuova azienda punta a progetti Internet scalabili con un orizzonte internazionale [per progetto scalabile si intende qui un prodotto che, sfruttando le potenzialità che ha la rete, consente di incrementare il fatturato senza che aumentino i costi di produzione – ndr].

Alessandro Sordi, co-fondatore di Nana Bianca

“Ci interessano start up che abbiano o vogliano sviluppare prodotti capaci di sfruttare la capacità della rete di raggiungere milioni di clienti”, sottolinea Alessandro Sordi, una dei fondatori di Nana Bianca. Si tratta in pratica di riuscire ad aumentare il fatturato senza aumentare al tempo stesso i costi. Se ad esempio viene lanciata per Android una app nata per Ios si moltiplicano, in modo facilmente calcolabile, anche le opportunità di business: con un basso investimento per lo sviluppo della nuova versione ci si può rivolgere a un nuovo mercato forti dell’esperienza maturata nel primo lancio. A partire da queste considerazioni Nana Bianca intende investire su start up selezionale fino a 50mila euro per accompagnarle sul mercato supportandole anche in termini tecnologici. “L’Italia può rimettersi in gioco creando un ecosistema che favorisca lo sviluppo delle attività nel digitale”, conclude Sordi. Questi incubatori, come pure tutti gli investitori privati, potranno trarre vantaggio dalla nuova normativa sulle start up in fase di conversione in legge, favorendo la crescita del mercato degli investitori, che potrà avere ulteriore impulso anche grazie al nuovo istituto del crowfunding, sistema che attraverso delle piattaforme on line consente di raccogliere donazioni di piccola entità finalizzate alla realizzazione di uno specifico progetto, consentendo di allargere il numero dei sostenitori e diversificare le modalità di finanziamento.

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