Fra tecnologie già mature, la cui adozione ha subito un’impennata l’anno scorso causa forza maggiore, e nuove soluzioni implementate per far fronte allo scenario pandemico, il settore retail si può considerare un grande laboratorio di innovazione. Secondo la più recente analisi dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, anche l’innovazione temporanea, dettata cioè dal lockdown e dalla normativa in materia di distanziamento sociale, ha manifestato la propensione delle aziende a rendere permanente la trasformazione. Lo si ricava ad esempio dal fatto gli investimenti in digitale nel retail italiano siano passati dall’1,5% del fatturato nel 2019 al 2% nel 2020, seppure su volumi più bassi rispetto all’anno precedente. È evidente che il peso delle varie tecnologie e della loro combinazione ha avuto un ruolo differente in base alla dimensione del retailer e alla relativa disponibilità di capitali e competenze, ma nel complesso si possono individuare due ambiti molto chiari:
- potenziamento dell’e-commerce
- digitalizzazione dei processi fisici in negozio
I tanti volti dell’e-commerce, dalla logistica alla data strategy
All’interno della macro voce che si collega al potenziamento dell’e-commerce, l’Osservatorio ha analizzato diversi processi, con relative tecnologie abilitanti. È molto probabile che entrambi tenderanno a rimanere anche nel new normal. Va anche ricordato in premessa che l’aggiunta o l’ottimizzazione di un canale online non può considerarsi come il mero accostamento di una vetrina sul web alle modalità di vendita tradizionali. Implica un profondo ridisegno degli assetti organizzativi, in particolare con riferimento alla supply chain. Non è un caso che l’88% dei primi 50 retailer italiani per fatturato abbia consolidato proprio l’infrastruttura logistica, con l’apertura in alcuni casi (Basko, Iperal) di nuovi magazzini e con l’uso in altri (Ikea, Twinset) dei punti vendita a supporto dell’online. L’e-commerce richiede anche il coinvolgimento di personale ad hoc, motivo per il quale realtà come il Gruppo Teddy e Unes hanno attuato una riconversione degli addetti del negozio al servizio delle vendite digitali, mentre altre (Coop Alleanza 3.0 e Gruppo Miroglio) hanno assunto personale appositamente dedicato all’e-commerce.
Nel medesimo campione di top retailer presenti nel nostro paese, inoltre, si è registrata un’accelerazione a monte sul versante della data strategy, cioè sull’analisi e la gestione congiunta dei dati raccolti sui diversi canali e aggregati in chiave omnicanale. A valle, si è cercato di attuare un’integrazione di esperienza online e offline offrendo assistenza ai clienti nella scelta e nell’acquisto dei prodotti tramite app di messaggistica e social network (Kasanova con Whatsapp, Lush con Instagram). Altri, come Mondo Convenienza e Patrizia Pepe, si sono avvalsi della videochiamata per dare consulenze personalizzate e abilitare la vendita. C’è chi, infine, soprattutto nel fashion (Motivi), ha sperimentato soluzioni di vendita da remoto più sofisticate, ad esempio mediante piattaforme di live stream shopping.
La digitalizzazione dello store, cosa resterà e cosa (forse) no
Per quanto riguarda la digitalizzazione dei processi fisici in negozio, l’Osservatorio del Politecnico li ha suddivisi tra quelli di breve periodo, resi obbligatori per adeguarsi ai provvedimenti normativi, quelli di medio-lungo periodo, che quasi sicuramente resteranno anche alla fine della pandemia, e quelli che possiamo considerare permanenti. Appartengono alla prima categoria i sistemi di prenotazione della visita in negozio adottati da Camomilla e Unieuro, così come le soluzioni di gestione virtuale delle code (Prénatal e Tigros). Anche le tecnologie di smart occupancy, cioè di monitoraggio in tempo reale dei flussi in entrata e in uscita, adottati ad esempio da D.IT distribuzione italiana e Moncler, rientrano tra quelle che i retailer sono stati costretti a implementare per scopi contingenti. Tra le innovazioni che, invece, sono destinate a durare, seppure sollecitate da dinamiche di distanziamento sociale e conferimento di maggiore autonomia al cliente, vanno citate quelle di self scanning e self check-out proposte da Decathlon Italia ed Esselunga, seguite dalle soluzioni innovative di pagamento (Bennet, Burger King) e dai chioschi digitali con cui ad esempio Bata ha inteso automatizzare le fasi di ricerca, acquisto e pagamento dei prodotti. Sempre per dare maggiore autonomia ai clienti, si sta facendo strada la sperimentazione di store che, sulla falsariga della catena americana Amazon Go, permettano al consumatore di usare lo smartphone per accedere, effettuare acquisti e ritirare gli ordini online in totale autonomia (Vivogreen, Würth).
Complice sempre la pandemia, i top retailer italiani ha proseguito sulla strada dell’approfondimento della conoscenza dei comportamenti dei consumatori attraverso un ricorso crescente, nel 16% del campione, a modelli di CRM (Customer relationship management) e, nel 12%, a sistemi di business intelligence analytics. Tecnologie già mature prima del Covid-19 e che continueranno a essere oggetto di investimento anche negli anni a venire.
I 4 pillar della rivoluzione digitale del retail del futuro
Alla luce dei cambiamenti avvenuti nel corso degli ultimi mesi, il mondo del retail si candida ad affrontare il passaggio verso la normalità in base a 4 direttrici o pillar che rappresentano altrettante linee evolutive probabili.
Riprogettazione del punto vendita
L’integrazione tra online e offline è all’origine di nuovi format di vendita in cui i concept tradizionali convivano con quelli digitali. Tra i retailer presi in esame dall’Osservatorio del Politecnico, alcuni come Coop Italia e Geox puntano a creare degli store riservati al solo ritiro degli ordini online, showroom da visitare per poi procedere all’acquisto sul web o ancora hub dedicati esclusivamente all’allestimento e alla consegna degli ordini e-commerce.
Omni-experience
Alcuni retailer si stanno focalizzando su soluzioni che estendano lo spazio, fisico e virtuale, e che allunghino il tempo della visita in negozio. L’obiettivo dell’omni-experience è quello di offrire un’esperienza fluida al cliente. Esperienza che non si limiti alla fase finale del customer journey, ma che rafforzi la relazione con tutti gli attori che a vario titolo sono in relazione con il brand. Tra le aziende che rientrano in questo paradigma si possono citare Burberry, Green Pea, MediaWorld Village e Poke House.
Maggiore prossimità
La vicinanza, dopo più di un anno trascorso all’insegna della lontananza e della limitazione negli spostamenti, è una riscoperta che interessa anche le abitudini d’acquisto del retail. Aziende quali Esselunga e Ikea stanno facendo della prossimità di negozi caratterizzati da superfici ridotte un nuovo standard di commercio. Si va verso l’apertura di esercizi a misura d’uomo, non più in periferia ma nei centri urbani e nei quartieri, nei quali anche quando è previsto l’e-commerce (Crai, Pinko) il concetto prossimità viene custodito in virtù di tempi di consegna molto rapidi.
Revisione organizzativa
Occorrono nuovi ruoli e competenze in linea con un retail che non può più essere lo stesso. Affinché le tecnologie che cercano di integrare offline e online possano essere efficaci, è fondamentale che anche all’interno delle organizzazioni si abbattano i silos tra store fisici e piattaforme e-commerce. È l’unica strada per un retailer che voglia adeguarsi agli stili di vita del consumatore contemporaneo.