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ECommerce, quanto costa l’online? L’analisi di Alvarez & Marsal

L’Italia è il Paese che più di tutti in Europa vedrà assottigliarsi i margini di profitto dei retailer, i suggerimenti per affrontare questo fenomeno

Pubblicato il 14 Lug 2021

e-commerce

Il panorama europeo dell’e-commerce sta subendo un significativo cambiamento strutturale. La pandemia ha causato un nutamento significativo nella percentuale di acquisti online, con restrizioni prolungate sulla socializzazione e l’apertura di punti vendita fisici che cementano queste tendenze. Nei principali mercati europei (Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Spagna e Svizzera) la percentuale di vendite online è aumentata notevolmente, dal 12,1% nel 2019 al 14,8% nel 2020.

Di contro, per esempio, il commercio al dettaglio italiano perderà 3,7 miliardi di euro entro il 2025 a causa dello spostamento dei consumi dal canale fisico a quello online indotto dagli effetti del Covid 19 sulle abitudini di acquisto dei consumatori, in tutta Europa saranno 35 i miliardi di euro polverizzati dalla rivoluzione digitale.

È questo quanto emerge dal nuovo report The shape of Retail: i costi nascosti dell’e-commerce della società di consulenza globale Alvarez & Marsal realizzato in collaborazione con Retail Economics.

I costi nascosti dell’eCommerce

L’indagine, che è stata condotta su 6 paesi europei (Gran Bretagna, Italia, Spagna, Francia, Germania e Svizzera) prende in esame un panel di 3000 famiglie, analizzando oltre 250 retailer europei che rappresentano oltre 2000 miliardi di euro di spesa nel 2020 e ha lo scopo di mostrare in che modo i costi connessi al passaggio da un business pensato per i canali fisici a uno online impatteranno sul profitto dei rivenditori.

Innanzitutto, quello che emerge, è che i rivenditori digital only in genere operano con margini notevolmente inferiori rispetto ai modelli di business multicanale e fisici: l’analisi mostra che in un comparto dove già da diversi anni è in corso un progressivo assottigliamento dei profitti, i margini per i retailer europei online puri si aggirano in media intorno all’1,4%, valore di 4 punti percentuale sotto a quello dei rivenditori misti che tocca il 5,2%.

A questa premessa, meno marginalità per i business completamente online, si devono aggiungere gli investimenti necessari ai retailer tradizionali per compiere lo shift verso il mercato digitale.

Nuove competenze, potenziamento dell’infrastruttura tecnologica e degli aspetti logistici (ricerca di partner tecnologici per soddisfare i nuovi bisogni del consumatore) sono tutte voci di costo importanti in questo contesto, a cui bisogna aggiungere le vere variabili capaci di influenzare maggiormente il futuro del settore: le spedizioni e soprattutto i resi. Questi ultimi rappresentano proprio la chiave di volta del settore.

I nuovi consumatori digitali, e questo è particolarmente valido per i giovani compratori, spesso nativi digitali, restituiscono la merce acquistata online con più facilità: basti pensare che quasi il 9% del totale delle spedizioni dell’ecommerce italiano torna indietro come reso, in UK questa percentuale sale all’11%.

Il caso Italia, marginalità ridotte

Sarà proprio l’Italia, secondo l’indagine Alvarez & Marsal, il paese che più di tutti in Europa vedrà assottigliarsi i margini di profitto dei retailer, fatta eccezione per la Germania che però presenta un profilo anomalo operando con margini decisamente al di sotto della media europea riflettendo un’ampia presenza di discount e una sensibilità culturale ai prezzi.

Il nostro Paese, come anticipato, vedrà entro il 2025, e quindi in soli 4 anni, scendere la redditività del settore retail dal 3,5% al 2,6% con un saldo negativo di -3,7 miliardi di euro.

“Una perdita di quasi un punto percentuale in un mercato già storicamente provato da margini ridotti rispetto al resto d’Europa – ha sottolineato Alberto Franzone, Country Co-Head di Alvarez&Marsal in Italia – dovuto soprattutto all’accelerazione in termini di shift sul digitale che ha caratterizzato il nostro Paese dalla pandemia e che si prevede proseguirà a ritmi più sostenuti del resto d’Europa per i prossimi anni”.

A emergere dal report, infatti, è la correlazione fra aumento della penetrazione dell’online e diminuzione dei margini di profitto: a fronte di una penetrazione del digitale intorno al 6% nel 2015 la marginalità media dei retailer europei si attestava intorno al 6,5%, oggi questo valore tocca il 4,5%, perdendo quindi 2 punti percentuale, in stretta connessione con una penetrazione digitale salita al 14%. Ma non è tutto.

Secondo il report sarà infatti l’Italia il Paese in cui questa penetrazione avverrà più velocemente rispetto al resto dei Paesi europei: si stima in media un aumento del 13,5% all’anno dal 2021 al 2025.

Agli italiani piace l’online

“Non è un caso quindi che siano proprio i consumatori italiani quelli più propensi a considerare permanente la rivoluzione digitale che ha investito il mondo dei consumi domestici” ha aggiunto Franzone.

Il 38,4% dei nostri connazionali, infatti, ha affermato di non voler tornare a un modello di acquisto pre-pandemia, contro il 33% degli spagnoli e 29,6% degli inglesi.

“Va precisato che sono soprattutto i nuovi consumatori, coloro che hanno consolidato i nuovi comportamenti dopo aver superato le barriere iniziali della nuova esperienza (dalla creazione dell’account al settaggio dei metodi di pagamento, dal consolidamento della fiducia alla scoperta della convenienza) quelli che tendono a pensare che il cambiamento sarà irreversibile” ha spiegato Franzone.

E questo avviene con più facilità per alcuni settori merceologici come gli elettrodomestici e gli oggetti elettronici in generale che hanno visto uno spostamento verso le vendite online del 18,7%, i casalinghi con il 16% e l’abbigliamento con il 14,2%, i prodotti di lusso, che richiedono un processo di acquisto più ponderato, continuano a presidiare i canali tradizionali.

In ogni caso la via verso l’online sembra spianata, solo in Italia si stima che i negozi fisici perderanno nel post-pandemia quasi il 30% dei visitatori, in UK la percentuale sale al 44%.

Quale futuro per i negozi fisici?

“In questo contesto – ha proseguito Franzone – i brand dovranno mettere in atto una serie di misure per evitare di soccombere (rischio ancora più alto per chi ha store sovradimensionati) già oggi assistiamo a una riconversione dello spazio fisico in un’ottica di multichannel dove i punti vendita diventano funzionali agli ecommerce, ma a fare la differenza sarà la tempestività con cui si predisporranno forti investimenti per riuscire a spostare un business model pensato per un canale fisico verso uno pensato per rendere più efficienti le vendite online”.

In questo senso sono molteplici le esperienze: dal boom del click and collect, al ripensamento del negozio come spazio social.

“Senza dimenticare il miglioramento della catena di approvvigionamento, dall’uso dei dati al ripensamento degli imballaggi anche per ottimizzare i costi, alla nascita di partnership strategiche per affrontare in maniera più efficiente delivery e resi. La sfida che oggi si presenta ai brand è sfruttare al meglio la disintermediazione che il passaggio fisico/online porta con sé, migliorando l’analisi degli insight per investire sulla formula direct to consumer” ha concluso l’AD di Alvarez & Marsal Italia .

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