L’evoluzione del data center verso una gestione orientata ai servizi, la condivisione delle risorse infrastrutturali abilitata da sistemi virtualizzati e scalabili sui quali far girare applicazioni in modo dinamico (spostando i carichi da una risorsa storage ad un’altra, per esempio, se necessario), l’ottimizzazione estrema della capacità computazionale e un’interazione sempre più self-service con gli utenti finali sono le sfide che si trovano ad affrontare oggi i manager dell’It. Ma quali scelte effettuare sul piano delle architetture e dei sistemi verso una maggiore semplificazione, efficacia, flessibilità nonché migliore e più economica governance del data center? Quali criteri devono guidare una “trasformazione” del data center più vicina alle esigenze del business? Ne abbiamo discusso in un recente Executive Dinner organizzato da ZeroUno in collaborazione con Oracle che ha visto la partecipazione di Clive Longbottom, analista della società inglese di ricerca di mercato Quocirca, da diversi anni impegnato ad analizzare l’evoluzione dei data center a livello Emea. Sulla base della sua esperienza diretta e delle analisi effettuate nel corso degli ultimi anni, Longbottom ha tracciato un quadro che mostra i Paesi dell’Eurozona ‘intrappolati’ in una situazione peggiore rispetto a quelli al di fuori dalla moneta unica; situazione generale che si riflette anche sulle scelte di investimento in ambito It e sulle decisioni riguardanti l’evoluzione dei data center.
Le ricerche condotte da Quocirca, in particolare, forniscono le basi per l’elaborazione del Next Generation Data Center Index che, assegnando un punteggio su una scala da 0 a 10, offre un’istantanea dei progressi compiuti dalle aziende nell’evoluzione dei loro centri tramite l’utilizzo di tecnologie informatiche. “La sostenibilità (uno dei sotto indici di analisi insieme a ‘flessibilità’ e ‘supporto al business’), resta un problema prioritario nelle strategie inerenti i data center”, commenta Longbottom. “Non solo: gli imperativi a breve termine legati alla lessibilità di implementazione tendono ad essere prioritari rispetto alle esigenze a lungo termine di supporto al business (l’ultima ricerca condotta mostra infatti, a livello globale, l’aumento del sotto-indice relativo alla flessibilità e il forte calo del sotto-indice relativo al supporto al business)”. “Molte imprese stanno perdendo un’occasione non rafforzando l’allineamento tra It e business”, riflette Longbottom, “e questo vale soprattutto per l’Italia che nell’analisi dell’indice della capacità del data center di supportare le richieste del business risulta essere ultima in classifica nella regione Emea”.
Ritorno in house
E il perché queste imprese stanno perdendo opportunità importanti lo spiegano i risultati che evidenziano le potenzialità dei data center rispetto alle esigenze di business: “Lo studio ha mostrato una forte correlazione tra le imprese che hanno saputo allineare business e It e quelle che hanno registrato punteggi elevati nell’indice generale di evoluzione”, spiega Longbottom. “Ciò significa che le organizzazioni che sentono la necessità di attuare tale allineamento percepiscono il valore aggiunto che può generare una più sofisticata strategia in area data center e, quindi, investono nella sua evoluzione”.
Un altro dato significativo emerso dall’indagine riguarda il ritorno ‘in house’ dei dati. “Sembra ci sia un rallentamento del ricorso ai sistemi esternalizzati – evidenzia Longbottom -. Le imprese sono ora concentrate maggiormente nella definizione di piani per la realizzazione/evoluzione di data center proprietari, in un’ottica che tenga conto di eventuali ulteriori cambiamenti in futuro sul fronte delle necessità e dei requisiti di business, quindi in un’ottica di flessibilità e capacità di supporto”.
Data l’inversione di tendenza che riporta a una strategia basata su strutture di data center interne, non sorprende il fatto che consolidamento, razionalizzazione e ottimizzazione siano indicate come principali motivazioni a guidare le scelte evolutive dei sistemi. “Il consolidamento, di fatto, consente economie di scala più vaste e maggiore efficienza”, commenta Longbottom.
Consolidamento sinonimo di efficientamento, in chiave business
“Il tema dell’allineamento business – IT, affinché lasci la dimensione di uno stucchevole dibattito per tradursi in azioni pratiche da compiere – interviene Stefano Uberti Foppa – deve passare da scelte tecnologiche di fondo ormai non più procrastinabili, ma che per risultare efficaci devono essere implementate secondo modalità e condizioni precise”.
“Quali sono allora i ragionamenti che stanno facendo le aziende italiane in merito?”, chiede Uberti Foppa ai Cio presenti aprendo così i lavori della Tavola Rotonda.
“La sostenibilità è certamente uno dei fattori principali che induce a rivedere le architetture, se non altro in un’ottica di efficientamento dei costi”, interviene Carlo Romagnoli, direttore sistemi informativi di Crif. “Ma non basta, né per l’evoluzione dei data center esistenti, né per l’ingegnerizzazione di quelli nuovi. Per riuscire ad avere un data center che risulti pienamente efficace sia sul piano dei costi e della gestione/manutenzione, sia soprattutto rispetto all’erogazione dei servizi al business, i fattori da prendere in considerazione sono molti; i primi passi verso il consolidamento (anche dei sistemi di raffreddamento, per esempio) e la virtualizzazione sono fondamentali, ma, ancora, non esaustivi. Forse un aiuto può arrivare, oggi, dal cloud”.
A vedere il consolidamento e la virtualizzazione dei sistemi quali passaggi chiave per costruire ambienti flessibili e dinamici, soprattutto in ottica di private cloud, sono in molti. Stefano Takacs, head of Southern Europe Dc Operations di Vodafone Servizi e Tecnologie, sottolinea come, nel loro caso, “tali scelte siano state inserite in un percorso di trasformazione e cambiamento dell’It finalizzato però all’erogazione dei servizi al business. Il private cloud, per esempio, si è rivelato fondamentale a livello di piattaforme di sviluppo applicativo e testing: ha consentito di accelerare il time-to-market e, quindi, il rilascio dei servizi al business. Il percorso evolutivo ci ha portato ad avere una focalizzazione particolare sull’automazione dei processi e sulla manutenzione preventiva con l’obiettivo di aumentare la disponibilità dei sistemi. È però inevitabile che percorsi di questo tipo richiedano una governance efficace su tutti i livelli e un monitoraggio costante end-to-end dei sistemi e delle interrelazioni fra essi (fino all’utente che utilizza il servizio It): non è facile intervenire su sistemi già esistenti”.
“Nel nostro caso l’It è diventata sempre più pervasiva a partire dagli ultimi dieci anni, con i primi progetti pilota finalizzati a portare il business del mondo Media su Internet – racconta Marco Di Concetto, head New Media & Infrastructures di Mediaset -. Gli ultimi anni sono diventati assolutamente ‘disruptive’ perché si è palesata la necessità di portare il mondo della televisione da un modello di B2b (incentrato sulla pubblicità come fonte di ricavo primario) ad un modello più orientato al consumer (con la pay Tv): un cambio del modello di business che non sarebbe potuto avvenire senza un adeguato refresh di tutto lo strato tecnologico a supporto che rappresenta la base primaria su cui costruire il servizio di business, ancor più critica se tale servizio è rivolto anche al consumatore esterno, il cliente. Per Mediaset, il refresch tecnologico è passato da inevitabili processi di consolidamento e virtualizzazione che ci hanno consentito anche di approcciare modelli ‘as a service’ pubblici (fruendo di servizi di public cloud ‘non core business’, come per esempio, la posta elettronica). L’evoluzione architetturale oggi prosegue in chiave mobile per poter offrire servizi agli utenti finali che utilizzano dispositivi mobili”.
La disponibilità del servizio è un fattore critico per molte realtà, come Ferrero che ha intrapreso un percorso di consolidamento dei sistemi per garantire al business il supporto necessario richiesto. “Nel nostro caso, l’It non è un componente del business, ma un supporto. Questo non significa certo che possiamo permetterci di essere meno performanti rispetto ad altre realtà, anzi, tutt’altro – spiega Enzo Capra, responsabile Ict Group Services dell’azienda piemontese -. Il consolidamento che stiamo perseguendo va nell’ottica della flessibilizzazione dei sistemi che, a nostro avviso, deve essere tale anche nella scelta dei vendor e dei partner tecnologici: vogliamo mantenere una certa flessibilità di scelta in modo da poterci indirizzare di volta in volta verso le opzioni più opportune, anche in funzione di fattori esterni a volte determinanti nelle scelte tecnologiche quali le normative o la dislocazione territoriale delle sedi e degli utenti aziendali (il servizio erogato in Europa non sempre può essere ‘replicato’ per la Cina, per esempio)”.
A confermare quanto emerso nel corso della prima parte di tavola rotonda è Ennio Ceccarelli, country leader Server & Storage Systems di Oracle Italia, che sottolinea come “i segnali che arrivano dal mercato italiano siano tutt’altro che sconfortanti: le nostre imprese affrontano l’evoluzione dei loro data center con l’obiettivo chiave di far crescere il valore del contributo che l’It dà al business; un percorso che stanno affrontando gradualmente riconoscendo nelle fasi di consolidamento la via principale per una maggiore flessibilità delle strutture”.
Focus sull’automazione, per riuscire ad innovare
“Nei processi di trasformazione dei data center, spesso, il freno maggiore non viene dalle architetture hardware ma dagli strati applicativi – interviene Claudio Tancini, Vicepresidente del ClubTi Milano -. A volte la complessità nell’attuare percorsi evolutivi deriva, infatti, dalla presenza di applicazioni legacy stratificate e con numerose interconnessioni tali da provocare l’impossibile ammodernamento dei sistemi sottostanti”.
Concorda con questa visione l’analista Longbottom che però incoraggia i Cio sottolineando come “la ricerca di flessibilità, sostenibilità e capacità di supporto al business dei sistemi It, richieda un approccio graduale. Non si tratta di trovare un bilanciamento tra proattività e reattività: non è questo il problema e non è questo nemmeno il traguardo. È più corretto, semmai, identificare un ‘modello di maturità’ e, da questo, identificare il proprio percorso evolutivo, che deve necessariamente tenere conto degli ostacoli di natura tecnologica (come le stratificazioni di applicazioni legacy) ma anche di natura organizzativa e di processo. Non è assolutamente detto che si riesca a consolidare tutto su sistemi standard o che si riesca a virtualizzare o portare sul cloud tutto ciò che si vorrebbe. È però fondamentale intervenire in termini di semplificazione dei sistemi, requisito primario per qualsiasi eventuale percorso di trasformazione”.
Riprendendo proprio queste parole interviene Elena Chiesa, Sales Consultants director di Oracle Italia: “l’importante, a mio avviso, è riuscire ad elevare il livello di automazione all’interno dei data center perché questo consente di liberare risorse per trovare nuove vie di innovazione e, quindi, far evolvere i sistemi. Il ‘next generation data center’ nasce da un’esigenza prima di tutto di business il quale richiede maggiore efficenza e affidabilità all’It e la possibilità di disporre di risorse tecnologiche in grado di seguire le sue esigenze, che cambiano molto velocemente. Il passaggio da un data center di tipo tradizionale a uno di nuova generazione passa necessariamente attraverso alcuni step come il consolidamento, la virtualizzazione e l’ottimizzazione delle architetture. L’automazione estesa diventa poi il fattore che abilita quella flessibilità richiesta dal business, nonché una via verso la migliore gestione dei costi”.
Anche gli skill It devono cambiare
“Nel nostro caso, oltre il raggiungimento di un miglior livello di utilizzo delle risorse e una semplificazione dei processi di gestione, il percorso di razionalizzazione dei sistemi It, passato per logiche di virtualizzazione e consolidamento, ci ha consentito di rifocalizzare l’organizzazione It dedicando più risorse alla progettualità di servizi innovativi da erogare al business”, racconta Gennaro D’Antonio, Ict Strategy & Architecture di Autogrill. “Una trasformazione che ha avuto impatti non banali sull’organizzazione: molte risorse sono passate da ambiti di operations ‘tradizionali’ a tipologie di skill più ‘business oriented’, pur rimanendo all’interno del dipartimento It. In quest’ottica, anche i rapporti con i vendor si sono evoluti, soprattutto perché oggi abbiamo un ambiente di tipo ibrido con componenti del data center interne ed altre, invece, fruite come servizio dall’esterno (con modelli di outsourcing e di cloud). Abbiamo dovuto quindi inserire competenze nuove di ‘service supervisor’ e ‘service manager’ che potessero gestire in maniera trasversale gli stack tecnologici dai quali dipende l’erogazione del servizio”.
Sul tema del rapporto con i vendor interviene Franco Pirovano, senior Data Center specialist di Enel Servizi, che, raccontando del processo di internazionalizzazione di Enel (con l’acquisizione di Endesa è diventata la seconda utility energetica d’Europa), spiega come “in questo processo evolutivo, di business, si deve necessariamente calare il percorso di trasformazione dei sistemi verso l’unificazione, il consolidamento la razionalizzazione. Un percorso che va affrontato con le giuste competenze messe a disposizione anche dai vendor che devono ragionare non più localmente ma globalmente per risultare efficaci nella loro proposta”.
In Edipower è addirittura l’evoluzione stessa dei sistemi It che dipende dalla capacità di alcune competenze chiave: i demand manager. “Abbiamo fatto crescere i data center interni sulla base delle esigenze ‘captate’ e traferite dai demand manager”, spiega Giuseppe Passera, responsabile delle Infrastrutture It della società energetica. “La nostra è una realtà giovane, nata una decina di anni fa, quindi non dobbiamo ‘combattere’ con le stratificazioni tecnologiche per far evolvere i sistemi. Questi sono nati contemporaneamente al business che, fin da subito, si è mostrato consapevole del valore dell’It e delle sue potenzialità. Per noi, quindi, è stato forse più semplice organizzare l’It in funzione del business, anche sul piano dei processi e delle competenze. I demand manager sono elementi chiave, indispensabili per garantire che questo allineamento It-Business produca gli effetti necessari all’evoluzione e all’innovazione dell’organizzazione aziendale”.