Fondata nel 2000 a Senigallia, in provincia di Ancona, dove tuttora c’è il quartier generale, Namirial è una software house che si può definire multinazionale tascabile, con filiali operative e commerciali in Italia, Germania, Austria, Romania e Brasile che servono clienti in tutto il mondo.
Dai primi passi nel mondo dei software fiscali, con il tempo si è evoluta fino a diventare un trust service provider certificato AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) che gestisce servizi quali firma digitale, SPID, PEC, conservazione a norma, fatturazione elettronica ecc. Nel 2020 il suo fatturato ha superato i 56 milioni di euro e oggi i dipendenti dell’azienda sono quasi 500. La sua strategia di espansione, basata attualmente su nuove acquisizioni all’estero, ha avuto un’accelerazione a partire dal 2020 sia in seguito all’ingresso del fondo Ambienta, che adesso detiene il 70% della società, sia a causa del Covid-19, come spiega Davide Coletto, CTO di Namirial.
Perché la spinta verso la dematerializzazione non finirà
“La pandemia – afferma Coletto – ha sensibilizzato le aziende nell’impiego di strumenti da utilizzare in maniera remota. Namirial infatti copre a 360 gradi la digital transformation, dalla preparazione dei documenti alla loro sottoscrizione con firma digitale, dall’identificazione dei soggetti con processi di onboarding e di riconoscimento ad altri processi autorizzativi e approvativi come quelli di workflow management e di condivisione dei documenti. Se si pensa all’acquisizione di firma sui contratti e all’identificazione dei clienti che ad esempio nel mondo bancario e assicurativo prima della pandemia avvenivano di persona e che nel corso del 2020 hanno richiesto sistemi a distanza, si capisce perché il nostro fatturato sia cresciuto l’anno scorso all’incirca del 40%”. Un incremento che è presumibile non invertirà rotta neanche nel new normal, vista la spinta alla dematerializzazione dei processi che le organizzazioni, pubbliche e private, hanno fatto ormai propria come elemento cardine per ottenere risparmio, efficienza e maggiore produttività. In questo solco si colloca la collaborazione con AWS (Amazon Web Services), che rappresenta un tassello fondamentale delle varie fasi di sviluppo dell’azienda marchigiana. Tanto che Namirial ha partecipato a tutti i re:Invent che il colosso americano ha organizzato negli scorsi anni a Las Vegas e, sebbene non sia stata presente al recente AWS summit che si è tenuto online, la sua best practice è uno dei pochi esempi italiani riportati sulla home page del sito dedicato alla manifestazione.
Quando il cloud era solo l’1% dei sistemi di archiviazione
“Abbiamo cominciato a collaborare con AWS sin dall’inizio della sua entrata nel mercato cloud – sottolinea Coletto -, quando ancora i sistemi on-prem costituivano il 99%, mentre oggi questa percentuale si è ribaltata. A quei tempi non era semplice proporre un modello di gestione documentale in cui l’archiviazione dei documenti più preziosi, cioè fatture e contratti, avveniva sul cloud in modalità SaaS e PaaS. Ma per noi il cloud ha significato garantire quelle performance che vengono chieste in termini di condivisione, di ampia disponibilità di storage e di crescita molto veloce dello spazio di archiviazione senza la complessità che deriva dall’installazione on-prem e senza le limitazioni dovute al provisioning”.
Il CTO di Namirial ricorda che la scelta di AWS, che risale a più di 8 anni fa, fu dettata principalmente dal fatto che, rispetto ai competitor, la piattaforma possedeva caratteristiche più avanzate. Da allora l’offerta dei cloud provider hyperscale ha accorciato le distanze, ma nel frattempo Namirial ha sviluppato competenze e certificazioni insieme alla multinazionale di Seattle, stabilendo una solida partnership anche sul piano della formazione delle risorse e del testing di nuovi prodotti. Il risultato di questa alleanza consente ora a Namirial di riuscire a gestire un miliardo di documenti in conservazione a norma, di far transitare almeno 100 milioni di fatture all’anno e di avere più di mezzo milione di utenti attivi che utilizzano i servizi AWS. “Dal punto di vista dello spending – continua Coletto -, ritengo che siamo tra i primi 5 clienti in Italia di AWS. Abbiamo integrato molti dei servizi che propone, dalle istanze EC2 ad Amazon S3, da Lambda a tutto il mondo dei database NoSQL, fino a WAF per la security. Stiamo iniziando anche a utilizzare l’offerta di intelligenza artificiale”.
Cosa ha significato l’apertura della Region europea AWS a Milano
Con la rapida crescita dei clienti e dei dati da archiviare, Namirial ha dovuto affrontare una nuova sfida per evitare che la struttura di colocation adoperata esaurisse lo spazio disponibile. Un’ulteriore svolta sulla strada della cooperazione tra le due aziende, perciò, si è registrata con l’apertura nell’aprile 2020 della Region europea di AWS a Milano, la sesta dopo Francia, Germania, Irlanda, Regno Unito e Svezia. “Come conservatore accreditato AgID abbiamo l’obbligo di mantenere i dati in Italia – dice ancora Davide Coletto -, quindi usavamo AWS per la conservazione solo sulla parte di front-end. Lo storage e la gestione dei dati avveniva su un paio di data center in Italia. Questo comportava piani di provisioning, di forecast e di crescita continua per cercare di condividere quante più informazioni affinché i nostri fornitori si potessero approvvigionare adeguatamente”.
Quando è stata lanciata la Region di AWS Europe nel capoluogo lombardo, Namirial ha potuto far migrare la sua applicazione di archiviazione dati a lungo termine dalle strutture di colocation precedenti ad AWS, riducendo così la complessità di gestione, oltre ad aumentare le prestazioni e ad avere scalabilità teoricamente illimitata. Basti pensare che al momento sono circa 80 TB i dati che Namirial archivia, ma la previsione è di una crescita pari a 30 TB all’anno. Senza dimenticare, ovviamente, che la migrazione dei dati nella nuova Region europea di Milano assicura quei requisiti di compliance e di sovranità dei dati richiesti dall’Agenzia per l’Italia Digitale.