Il mondo delle imprese manifatturiere affronta, a livello globale, una situazione di difficoltà. Per quanto negli Stati Uniti la crisi innescata dallo squilibrio del sistema finanziario sembri alle spalle e Cina, India e altri paesi continuino a crescere, seppure a tassi inferiori che in passato, nell’Eurozona il calo dei consumi e la riduzione del credito prospettano per molte realtà un futuro difficile e oggi anche la ‘locomotiva’ tedesca appare in frenata. Ciò nonostante, secondo un’approfondita indagine che Idc ha recentemente svolto su un vasto campione (375 aziende di 12 paesi, delle quali 91 in Europa Occidentale e 23 in Italia) gli imprenditori mostrano un cauto ottimismo. Questo è dovuto al fatto che, sulla spinta della stessa crisi, molte aziende si sono attrezzate ridisegnando la struttura e i piani di spesa e d’investimento in modo da poter resistere al fluttuare dei mercati finanziari e, in una parola, si sentono pronte, più robuste, a riprendere la corsa allo sviluppo. Uno sviluppo che però, come è intuibile, non potrà avvenire con quegli strumenti e quelle metodologie che hanno funzionato in passato.
Le strade possibili per la ripresa di un’azienda manifatturiera sono, come sempre, due: una strategia commerciale che si basi sull’innovazione dell’offerta e sullo spostamento verso prodotti e servizi a maggior valore aggiunto e una strategia che consenta di ridurre i costi agendo non solo all’interno dell’impresa, dove si suppone si abbia già provveduto al taglio, ma anche al suo esterno. Qui le opzioni possibili, prima di valutare lo spostamento della produzione in paesi a basso costo del lavoro, vertono soprattutto sulla supply chain, da semplificare nel numero dei fornitori e da potenziare nel contributo al plusvalore, acquistando da chi e dove più è conveniente. Ma poiché non si ha una crescita sostenibile tagliando le spese senza innovare i prodotti, né proponendo un’offerta valida ma dalla struttura costi onerosa e superata, perché un piano di ripresa possa funzionare davvero occorre che entrambe le strategie siano poste in atto e che la loro esecuzione avvenga in modo concertato.
Complessità: i nodi da sciogliere
Tutto quanto abbiamo sinora esposto porta diritto al cuore del problema che ogni impresa deve affrontare: il controllo della complessità. Complessità che è in primo luogo nella composizione ed evoluzione dei mercati; poi, di conseguenza, nelle attività di business e, di riflesso, nei prodotti, nella supply chain e nell’organizzazione aziendale. Ma, e non per ultimo, vi è un problema di complessità nella stessa It, cioè proprio nello strumento tramite il quale le altre voci di complessità si devono e possono controllare (vedi figura 1).
Il problema della crescente complessità dell’It nasce, come è ovvio, appunto dal bisogno di gestire le fonti di complessità di cui si è detto. Poggia infatti sull’It il compito di prevedere e pianificare la domanda, di gestire la catena delle forniture, della produzione e della distribuzione dei prodotti, di migliorare la customer satisfaction prima conoscendo i clienti e poi scoprendone le preferenze, e così via. La crescita e il sovrapporsi di queste istanze e, soprattutto, la necessità che il loro accoglimento avvenga in costante allineamento e sintonia con le richieste del business si traduce per la funzione It in una serie di fattori di complessità concomitanti. I principali sono:
1) incremento in numero e potenzialità delle funzioni degli applicativi aziendali (Erp in primo luogo, poi Scm e Crm e infine applicazioni per la produzione e gestione del ciclo di vita dei prodotti);
2) necessità di rendere gli applicativi aziendali (tutti, non solo quelli per il marketing e le vendite) compatibili con i nuovi stili di lavoro portati dalla mobilità e dalle reti sociali;
3) drastico potenziamento delle soluzioni di Bi a fronte della crescita in volume e qualità delle informazioni potenzialmente utili (big data) e dell’urgenza delle analisi;
4) capacità di funzionare in ambienti e modalità collaborative, uscendo dalla tradizionale struttura organizzativa e tecnologica per silos applicativi.
5) riduzione del time-to-market sia per lo sviluppo dei prodotti (impatto sulle soluzioni di Plm) come per quello dei servizi It (impatto sugli ambienti di sviluppo, implementazione ed erogazione dei servizi al business).
Quattro ‘forze’ per la nuova It
A fronte di queste problematiche, le applicazioni gestionali classiche, a partire dagli Erp, da tempo alla base dell’It delle aziende manifatturiere (e non solo), cominciano a mostrare i loro limiti. In particolare, sempre secondo l’indagine citata, per quanto siano riconosciuti sufficientemente in grado di svolgere il compito vitale di sostegno all’organizzazione delle attività di business, si rimprovera ai sistemi Erp installati di essere troppo lenti nel supporto decisionale e di non avere capacità di tipo collaborativo e/o nel riguardo delle reti sociali. Ed è significativo che l’insoddisfazione su questi due aspetti superi, nella somma dei problemi rilevati, anche quelli dovuti all’accresciuta complessità (vedi figura 2). Se però, osservando questo stesso diagramma, si considera non la somma dei problemi ma la graduatoria d’importanza che vi viene attribuita, si vede subito che le voci riferibili alla complessità tornano ai primi posti. L’analisi che se ne può trarre è quindi, in breve, quella del bisogno di rendere l’Erp in primo luogo più semplice e flessibile ai fini dell’integrazione con altre applicazioni aziendali e della personalizzazione sulle specificità dell’impresa, e poi più aperto alle nuove istanze di collaborazione e supporto decisionale.
Non è una cosa facile a farsi su pacchetti complessi e multifunzionali come sono appunto gli Erp e le strade che i vendor del settore stanno seguendo a tal fine sono parecchie e diverse tra loro. A grandi linee, gli orientamenti prevalenti sono però due: da un lato, lo spostamento dal concetto di Erp monolitico e integrato a quello di un insieme di moduli funzionali per quanto possibile facili da organizzare e riconfigurare sui bisogni aziendali; dall’altro, il ridisegno completo dell’architettura software in un nuovo Erp che consideri le quattro forze che stanno cambiando il modo in cui l’It si relaziona alla gestione delle attività di business, ossia big data, mobilità, reti sociali e servizi cloud.
Questi due orientamenti non sono tali per cui l’uno debba necessariamente escludere l’altro e i fornitori software seguono mix diversi per le loro proposte sul mercato. Se però si va a chiedere ai Cio e agli uomini delle Lob quale sia la loro visione sul futuro, si ha che praticamente tutti (oltre il 90% degli intervistati da Idc) ritengono che le quattro forze citate cambieranno non solo e non tanto la gestione del business, ma soprattutto il modo stesso di lavorare. Questo, evidentemente, traccia la strada verso il nuovo Erp, anche se non è banale ridisegnarne in tal senso l’architettura. Aiuta però il fatto che gli obiettivi sono oggi ben chiari presso le aziende (vedi figura 3).
Si tratta quindi di realizzare un software il cui impiego si estenda ben oltre le funzioni di back-office per coprire i processi operativi, rendendone l’esecuzione più sicura, controllata e soprattutto veloce. Occorre poi che sia in grado di fornire a chiunque debba fare una qualsiasi scelta, tutte le informazioni necessarie, estendendo il supporto decisionale dalla strategia (ambito dei tradizionali sistemi di Bi) alle operazioni e facilitando attività condivise e in collaborazione. E, soprattutto, che sia abbastanza flessibile nell’architettura e nella logica delle funzionalità per potersi adattare molto rapidamente a nuovi processi imposti dai cambiamenti del business. Non è facile ma si può fare e, di fatto, nella risposta dei principali vendor ERP, si sta già facendo.