Per la crescita del business “urge” l’alfabetizzazione digitale dei vertici aziendali

Il potenziale innovativo delle tecnologie può essere vanificato da una scarsa consapevolezza, da parte del top management, del ruolo strategico dell’Ict.

Pubblicato il 18 Apr 2013

È quanto emerge dallo studio “Digital Literacy” commissionato a Vanson Bourne, società indipendente specializzata in analisi di mercato, da Ca Technologies. L’indagine ha coinvolto 685 Cio operanti in organizzazioni con oltre 500 dipendenti coinvolgendo i seguenti Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Benelux, Austria/Svizzera, Israele, Scandinavia, Australia, Cina, Hong Kong, India, Malesia, Singapore, Corea, Taiwan, Tailandia e Canada. In Italia emerge un dato davvero importante: il 100% dei responsabili dei sistemi informativi intervistati nel nostro Paese (una trentina i soggetti coinvolti) ritiene che l’alfabetismo digitale del top management costituisca un requisito indispensabile per lo sviluppo e la crescita del business aziendale. Il ritardo di tipo culturale da parte della direzione aziendale – nel settore pubblico come nel privato – rispetto all’utilizzo strategico delle tecnologie informatiche può generare conseguenze importanti sul business: incapacità a cogliere nuove opportunità; perdita di quote di mercato a fronte di una concorrenza più dinamica; disaffezione da parte dei clienti; scarsa reattività alle richieste del mercato e un time-to-market inadeguato. Dalla ricerca emerge che la capacità del top management di intuire il potenziale innovativo dell’It per il business dell’impresa risulta ancora limitata (il 47% dei Cio italiani intervistati ha dichiarato che i vertici aziendali non intuiscono il ruolo strategico dell’It per sviluppare il business). Uno scenario poco incoraggiante, se analizzato insieme al “Global Competitiveness Index” (Gci), stilato dal World Economic Forum, che considera il fattore “technological readiness” quale uno dei dodici pilastri alla base della competitività di ogni Paese: secondo il Gdi 2012-2013, l’Italia risulta essere quarantesima (su 144 nazioni) in termini di preparazione tecnologica, ovvero l’agilità con la quale l’economia è in grado di adottare le tecnologie esistenti per migliorare la produttività. Un altro dei parametri misurati dal Gci è il livello di assorbimento delle nuove tecnologie da parte delle imprese, ma anche in questa classifica l’Italia non emerge per positività e si posiziona al 104° posto.
Il 59% dei Cio italiani interpellati da Vanson Bourne, ritiene che, nonostante il positivo impatto di tecnologie dirompenti come il cloud, il management aziendale continua a non considerare l’It come un asset strategico ma piuttosto come uno dei tanti “costi di esercizio”. I vertici aziendali non sempre comprendono fino in fondo che al di là dei semplici effetti di razionalizzazione ed efficienza, la tecnologia può creare un radicale cambiamento nei processi interni e nel modo di lavorare delle persone. Questa scarsa percezione del valore dell’It genera un effetto negativo in termini di produttività, flessibilità, tempestività su mercati particolarmente sensibili a servizi e prodotti ad alto contenuto tecnologico.

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