Nel mercato globalizzato, con cloud e consumerizzazione che guadagnano terreno, il confine tra impresa e supply chain, privato e professionale, fisico e virtuale diventa sempre più labile. Nella sua nuova connotazione flessibile, il perimetro aziendale, lungi dal rimanere trincerato dietro un firewall, si definisce intorno all’utente: ed ecco allora che l’identità diventa il nuovo orizzonte della sicurezza informatica.
È questo, in sintesi, il risultato della ricerca Digital Identities and the Open Business condotta da Quocirca per conto di Ca Technologies su un campione paneuropeo di 337 manager informatici di aziende medio-grandi, che ha dimostrato l’importanza strategica di un approccio tecnologico evoluto nella gestione delle identità e degli accessi.
“In base allo studio – ha affermato Luca Rossetti, senior customer solutions architect di Ca Technologies -, oggi il 70% delle aziende europee ha una strategia Iam, ovvero di Identity and access management, mentre una rilevazione del 2009 dava questo valore fermo al 25%. In Italia, il dato attuale è addirittura del 75%, superiore alla media”.
Ma cosa ha determinato questa crescita di attenzione?
Nella vision del vendor, il fenomeno è sostanzialmente riconducibile a tre fattori principali: la maggiore interazione delle aziende con utenti esterni, la propensione all’adozione dei servizi cloud e il ruolo crescente dei social media.
“Secondo le statistiche – ha riferito Rossetti – il 58% delle aziende rende disponibili le proprie applicazioni a utenti esterni: colleghi di altre filiali, lavoratori mobili e partner. Nel Nord Europa, le imprese adottano un modello più aperto rispetto ai Paesi mediterranei, che invece si dimostrano più propensi nell’adozione di servizi sulla nuvola, utilizzati dal 74% delle aziende europee. Dai dati emerge che l’orientamento al cloud è direttamente proporzionale all’adozione di soluzioni Iam, considerate importanti per garantire l’accesso a risorse as-a-service dal 72% dei rispondenti”.
La ricerca non lascia adito a dubbi neanche per quanto riguarda la corrispondenza tra Iam ed esplosione dei social media, che, infatti, vengono utilizzati come sorgente di identità per i consumatori, soprattutto nei settori commerciale e Telco; in futuro, gli account Facebook o Google potrebbero persino diventare la base identitaria per l’accesso all’on-line banking.
Come ha sottolineato Antonio Rizzi, senior director, practice services, Emea security di Ca Technologies, “siamo nell’era del Bring your own identity. Prima o poi, anche i dipendenti delle aziende italiane trasferiranno le loro identità nel passaggio da un posto di lavoro all’altro con gli smartphone e altri dispositivi mobili”.
Di fronte all’eterogeneità di utenti e fonti di identità, le aziende, quindi, devono investire in piattaforme Iam che collegano diverse fonti identitarie, grazie a un accesso federativo basato su policy e realizzato attraverso un modello Single sign-on. “Su questo fronte – ha evidenziato Rizzi -, nella strategia di Ca Tehnologies gioca un ruolo di rilievo la soluzione as-a-service CloudMinder, che si propone come unica plancia di comando per gestire le identità e gli accessi di dipendenti, partner e clienti ad applicazioni on-premise o sulla nuvola a prescindere dal tipo di dispositivo. All’interno di ambienti ibridi, questo significa abbattere i costi grazie a una maggiore velocità di implementazione, alla prevedibilità delle spese e al minor carico di attività legate all’infrastruttura e alla gestione”. E secondo lo studio Quocirca, l’Italia può essere un mercato fertile per lo Iam as-a-service, considerato vantaggioso dal 91% delle organizzazioni nazionali (la percentuale più alta d’Europa) perché abbatte i costi di esercizio (69%), facilita l’integrazione di utenti esterni (46%) e semplifica la creazione di nuovi processi di business (38%).