Prospettive

Big Data in sanità: i dati non strutturati ci faranno vivere meglio (e di più)?

Miglioramento della clinical governance ma anche dei percorsi diagnostici e di cura, fino al population health management e alle grandi prospettive della medicina di precisione. L’approccio data driven è pronto a rivoluzionare l’ecosistema sanitario

Pubblicato il 07 Gen 2022

big data sanità

Che l’intero ecosistema sanitario sia fortemente sotto pressione è un dato di fatto. Il peso della pandemia è evidente, ma non è l’unico fronte a generare apprensione. In questo momento la spesa sanitaria italiana vale il 7,3% del PIL contro una media UE del 10% e potrebbe crescere esponenzialmente nei prossimi decenni in assenza di valide alternative di razionalizzazione dei costi: l’invecchiamento della popolazione è un fattore di cui tener conto, con Eurostat che stima l’aumento degli over 65 dal 20% del 2019 al 31,3 del 2100, con parallelo aumento d’incidenza delle patologie croniche. Secondo uno studio dell’Università Cattolica, i 24 milioni di italiani con patologie croniche (prima fra tutte, l’ipertensione) generano una spesa di 67 miliardi e, soprattutto, potrebbero crescere di 1 milione di unità in meno di 10 anni.

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Questa situazione necessita di interventi rapidi e strutturati. In ballo c’è la sostenibilità del sistema, e prima ancora la qualità dei servizi e la contestuale salute delle persone. C’è estremo bisogno di utilizzare il digitale come leva di innovazione a ogni livello nell’ambito delle decisioni cliniche, il cui miglioramento andrebbe a influire sulla salute della popolazione e sull’indicatore – centrale – dell’appropriatezza prescrittiva; sul rapporto sempre più stretto e sinergico tra medico e paziente; sulla pervasiva diffusione di sistemi di autodiagnosi e monitoraggio remoto, ma senza parlare dell’ottimizzazione della governance delle strutture sanitarie pubbliche e private, fino alle istituzioni.

L’innovazione avanza, ma non come in altri settori

Il problema, se così si può dire, è che complessivamente l’innovazione in sanità non è rapida come in tanti altri settori: la commistione di pubblico e privato, la frammentazione regionale e l’arretratezza dei sistemi informativi non giocano a favore dell’efficienza e della modernità del sistema, e in tal senso potrebbero essere decisivi gli investimenti in sanità digitale abilitati dal PNRR, a partire dal potenziamento del Fascicolo Sanitario Elettronico fino ai previsti interventi a favore della telemedicina.

Il valore dei dati nell’universo sanitario

I big data in sanità, ovvero la valorizzazione degli immensi volumi di dati che medici e strutture gestiscono su base quotidiana, è una delle aree di intervento più significative.

Pensiamo al caso più semplice, ma anche quello con chi chiunque ha a che fare: il percorso di cura del paziente (patient journey) all’interno del sistema sanitario. Percorrendo un tortuoso, e non sempre sereno, viaggio fatto di visite, esami, eventuali interventi ambulatoriali o ricoveri e cure farmacologiche, il “sistema” nel suo complesso colleziona un’infinità di dati: anamnesi, referti degli esami di laboratorio, immagini radiologiche, cartelle dei pazienti, semplici opinioni per iscritto (tipiche di quando il paziente è seguito da più specialisti, per problematiche connesse), appunti vocali, prescrizioni di farmaci e via dicendo. Il tutto, con l’ulteriore complessità del mix tra sanità pubblica e privata, la cui complementarità non si riflette nel Fascicolo Sanitario Elettronico.

I dati strutturati sono impiegati fin dagli albori della digitalizzazione della sanità, soprattutto a livello amministrativo e per la trasmissione dei flussi informativi verso (e da) gli enti del SSN, ma anche nei rapporti tra privati, strutture sanitarie e assicurazioni. Resta il fatto che, secondo una stima di IDC, quelli non strutturati sono l’80% di tutti i dati che vengono generati e transitano nell’ecosistema sanitario. Di molti si è già detto: appunti vocali, cartelle cliniche cartacee, file scritti in testo libero, imaging radiologico, video di esami e interventi chirurgici, testo delle e-mail, presentazioni e file PDF, fino agli ormai arcaici fax.

Big data in sanità: le tre grandi sfide

Se è vero che il valore dei big data in sanità è scontato, sia come supporto per le decisioni cliniche che per la governance delle strutture, ci si può interrogare sul motivo per cui essi non sono (ancora) sfruttati con frequenza dai vari stakeholder del sistema: a tal proposito, l’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano afferma che l’analisi di immagini e segnali è impiegata da circa il 20% delle strutture. Concentrandosi sul lato tecnico (ma ci sarebbero anche quelli organizzativi e culturali), le sfide sono almeno di tre tipi:

  • Le scarse capacità di integrazione e sinergia tra i sistemi, essendo ancora molto diffusa la dinamica dei silos informativi;
  • La capacità di gestire volumi e velocità di dati del tutto incomparabili con le dinamiche cui le strutture sono ormai abituate e i sistemi a loro disposizione;
  • La relativa diffusione di sistemi in grado di estrarre valore dal dato non strutturato e di permetterne una rapida ricerca e consultazione a beneficio del personale medico e dei dirigenti sanitari, da cui analisi più approfondite.

Obiettivo salute: per le persone, ma anche per le strutture

Con particolare riferimento all’abilitazione tecnologica, cerchiamo ora di comprendere in che modo e rispetto a quali stakeholder la valorizzazione del dato potrebbe trasformare il sistema sanitario, migliorando la qualità della vita delle persone e la sostenibilità del sistema.

Data Driven Governance sanitaria

Nel mondo della sanità, molti documenti e referti vengono redatti in testo libero, complicando il processo di estrazione della conoscenza da cui il potenziale miglioramento della clinical governance.

L’esempio più calzante è sempre quello della valutazione dell’appropriatezza prescrittiva: se i dirigenti sanitari fossero in grado di ottenere in ogni momento statistiche puntuali sulla relazione tra le diagnosi, gli esami prescritti e gli esiti, potrebbero migliorare la governance delle strutture identificando rapidamente eventuali eccessi di prescrizione e verificando che i protocolli vengano sempre rispettati. In questo modo la qualità del servizio migliorerebbe perché il paziente non verrebbe più sottoposto a visite ed esami superflui, magari spiacevoli e anche costosi per sé e per il sistema. Con l’ulteriore effetto di aiutare la sanità pubblica a vincere una delle sue sfide più impegnative: quella della riduzione dei tempi d’attesa. Via libera, quindi, a piattaforme in grado di valutare semanticamente i documenti e di analizzare le informazioni, così da perfezionare le decisioni cliniche e le strategie di clinical governance, migliorando anche l’offerta e la patient experience.

Miglioramento delle diagnosi e dei percorsi di cura

Grazie a tecniche di Text Mining, e in particolare alla diffusione del Natural Language Processing (NLP), le strutture hanno la possibilità di trasformare il testo libero in dati discreti (strutturati) che completano e arricchiscono la storia sanitaria del paziente. All’interno dei testi si annidano infatti informazioni di straordinaria rilevanza, come quelle relative ai fattori di rischio di molte patologie (alimentazione, sedentarietà, stile di vita), che non vengono riportate nella documentazione redatta in forma strutturata.

L’analisi e la valorizzazione dell’imaging radiologico è poi uno dei filoni su cui la trasformazione digitale in sanità sta investendo con grande forza. Tra i casi d’uso di maggiore prospettiva c’è il supporto automatizzato alla formalizzazione delle diagnosi: Computer Vision e Big Data Analysis possono aumentare le capacità del radiologo e, magari, sollevarlo dai casi di routine; le sperimentazioni in corso sembrano orientate soprattutto all’ambito oncologico, delle patologie della pelle e di quelle oculistiche vitreo-retiniche, con particolare interesse per le retinopatie diabetiche.

Verso la medicina personalizzata

Strettamente connessi all’interpretazione dell’imaging radiologico sono i temi della radiomica e della radiogenomica, due tecniche che si basano sulla valutazione quantitativa dell’imaging radiologico e puntano a sfruttare i big data e l’intelligenza artificiale per personalizzare il percorso di cura senza imporre al paziente (soprattutto in ambito oncologico) esami invasivi che difficilmente migliorano gli esiti dell’iter. Grazie all’analisi delle radiomic features estratte da esami di routine come RM e TAC verrebbero rafforzate informazioni già disponibili, come la stadiazione dei tumori, e ne verrebbero aggiunte altre, finalizzate a impostare un percorso di cura più efficace.

Population Health Management

L’analisi dei big data è anche il fondamento delle iniziative di Population Health Management, finalizzate a comprendere le esigenze sanitarie di porzioni significative di popolazione. La disponibilità e l’aggregazione di ampi volumi di dati abilita una segmentazione fine della popolazione in funzione di profili di rischio e permette alle istituzioni di approntare piani di azione mirati a preparare il sistema sanitario e a migliorare gli esiti per i pazienti.

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