L’incontro “Agenda Digitale: situazione e prospettive”, organizzato poche settimane fa a Milano da ClubTi, è andato al cuore del problema, grazie al contributo di personalità indipendenti e di grande esperienza come Carlo Alberto Carnevale-Maffè, Docente Senior di Strategia Aziendale presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, e Roberto Masiero, Presidente Think! The Innovation Knowledge Foundation, che hanno portato il loro originale punto di vista con il coordinamento del Direttore di ZeroUno, Stefano Uberti Foppa.
A fronte di una situazione drammatica dell’informatica pubblica sia in termini di infrastrutture (obsolete e ridondanti) sia di processi (flussi da periferia al centro, ma non viceversa) Masiero riconosce all’Agenda Digitale alcune potenzialità nonostante molti punti interrogativi. “è stato scritto l’indice del libro delle cose da fare; anche se le pagine sono ancora bianche, almeno i titoli sono giusti”, è la sua sintesi, indicando temi come identità, sanità, giustizia e istruzione digitali, open data e digital divide, che, ha precisato, “non è un problema di banda, ma di cultura”.
Secondo Masiero c’è però un vizio di origine nel modo stesso in cui è stata creata l’Agenda: “Si sono messe in un calderone tutte le buone idee che sono state riproposte senza però definire direzione e priorità”.
Particolarmente arduo dunque il compito di garantirne l’attuazione che spetta all’Agenzia per l’Italia digitale, verso la quale, però, non è stato fatto un vero trasferimento di potere (è alle dipendenze di ben 5 ministeri), ma a cui viene assegnato sostanzialmente un ruolo di promozione della digitalizzazione. Ci si affida dunque alla concretezza del direttore dell’Agenzia, Agostino Ragosa, che ha già iniziato a indicare le priorità. “Dal punto di vista operativo l’idea è partire dal consolidamento dei 4mila data center con un ruolo importante del cloud; i tempi sono quelli di una legislazione, con una spesa di 26 miliardi in 5 anni”, ricorda Masiero che evidenzia però una certa genericità nelle indicazioni su come e dove trovare le risorse: “Si pensa a finanziamenti che dovrebbero essere assegnati attraverso leggi (che però ancora non ci sono), ai fondi di coesione e ai finanziamenti europei, alla raccolta di fondi privati attraverso la creazione di una società che faccia da veicolo finanziario pubblico-privato…”
All’atteggiamento possibilista di Masiero fa da contro altare il giudizio sostanzialmente negativo di Carnevale-Maffè: “L’Agenda digitale è sbagliata non solo perché non introduce efficienza, ma anzi aumenta i costi, andando a sovrapporre allo strato analogico (senza eliminarlo) quello digitale”. In ogni caso non si può affidare alla Pa il compito di ridisegnare sé stessa. “è come affidare al tacchino la scelta del menù per il giorno di Natale”, dice, proponendo ai Cio di diventare soggetti attivi: “L’agenda digitale la scriviamo noi, con un atto di supplenza; innanzi tutto perché ne siamo capaci visto che ognuno l’ha fatto e lo fa quotidianamente nella propria azienda”.
Don’t design, adopt!
“Il problema non è dove trovare i soldi per un’Agenda Digitale che deve rendere più efficiente la PA, ma piuttosto individuare quali sono le condizioni istituzionali, tecnologiche e organizzative in grado di fare evolvere la PA” dice Carnevale-Maffè. Il cuore della soluzione potrebbe essere un cloud di sistema, che nasce come hub di processi economici interoperabili non per decreto, ma per iniziativa delle imprese stesse, perché conviene a tutti e fa risparmiare. “La soluzione non è dunque il consolidamento degli oltre 4mila data center, ma il contributo delle imprese private, che siano prestatori di ultima istanza di risorse computazionali e elaborative alla PA”, propone Carnevale-Maffè.
Perché, ad esempio, inventarsi il modo di profilare il cittadino quando ci sono 15 anni di esperienza delle aziende sulla profilazione del cliente? Basterebbe adeguarla con i necessari requisiti di sicurezza e privacy. Perché investire miliardi quando potrebbe bastare un decreto per trasformare la tessera Sim, con il suo 136% di penetrazione in Italia, in carta di identità digitale? Invece di chiedere a Consip di disegnare un gruppo di acquisto perché la PA non potrebbe utilizzare quello di Eni, che funziona benissimo? A queste domande la PA può rispondere, secondo Maffè, selezionando “i migliori processi privati e trasformandoli in pubblici: può risultare molto più efficiente che ridisegnarli da zero. Certo come aziende dobbiamo candidarci, con un atto di corporate social responsibility digitale”. Dunque la PA invece di disegnare i processi dovrebbe scegliere fra le best practices private, rendendole pubbliche. Mentre le aziende dovrebbero esporre i propri servizi su cloud, proponendo alla PA di adottarli. Il ruolo dell’Agenda Digitale diventerebbe allora la definizione della nuvola dei processi di business che costituirebbe la nuova unità economica d’Italia. Nonostante questo tentativo di sintesi della visione di Carnevale Maffè lasci intravedere gli ostacoli e gli interessi contrari che potrebbero rallentare fino a impedire una tale trasformazione, è però indubbio il ruolo strategico che il cloud sembra destinato a esercitare.
La nuvola pubblica certificata
Il cloud ha un ruolo centrale anche per Masiero, inserito fra i punti, molti finora inascoltati, proposti dalla sua organizzazione. “Abbiamo introdotto il concetto di nuvola pubblica certificata, pensata come consolidamento delle infrastrutture immateriali certificate da tutti gli operatori in grado di fornire servizi secondo standard europei che dovrebbero costruire l’infrastruttura reale”, precisa ricordando altri due punti considerati fondamentali per la concretizzazione dell’Agenda Digitale. Il primo è la proposta di un’Agenzia per l’Innovazione, assunta nel varo dell’Agenzia, ma ipotizzata con compiti precisi, come pianificazione, identificazione delle priorità, allocazione di budget, verifica della coerenza fra spesa delle amministrazioni e priorità definite. La seconda è la necessità di indicare progetti nazionali a valenza sistemica, con l’identificazione di 3-4 aree capaci di innescare un processo di innovazione radicale. Sul tema Agenda Digitale ricordiamo il contributo della Community Finaki, che riunisce i Cio delle principali aziende italiane e i player dell’offerta Ict. Nell’ambito degli Incontri Ict 2012, infatti, è stato realizzato il progetto editoriale Finaki-ZeroUno-NetConsulting che ha portato alla pubblicazione del Cio Manifesto e dei Quaderni “Cio Conversations” interamente dedicati all’attuazione dell’Agenda Digitale italiana. Un progetto che continuerà anche quest’anno e che ha esplicitato la disponibilità dei Cio a mettersi in gioco con proposte e progetti per l’innovazione delle imprese e del sistema Italia.
Tornando all’incontro presso il ClubTI, svoltosi prima delle nascita del nuovo Governo, emergono spunti e proposte che andrebbero ora riproposti, riuscendo a far comprendere che la digitalizzazione del Paese e l’innovazione radicale della PA non sono temi da affrontare quando saremo usciti dall’emergenza, ma rappresentano la soluzione per uscirne. Un punto a favore dell’Agenda Digitale, che compare fra i punti indicati da Enrico Letta nel programma del nuovo Governo, è che può essere un elemento condiviso sia fra le diverse anime del governo, sia con l’opposizione. La condizione è capire che “l’Agenda Digitale non è un insieme di normative per dare una mano di bianco alla Pubblica amministrazione, ma la continuazione della politica con mezzi tecnologici”, come sostiene Carnevale Maffè. Ma evidentemente questo concetto non è ancora stato recepito, almeno a giudicare dalle recenti nomine di viceministri e sottosegretari. Sono infatti stati delusi quanti contavano su un interlocutore diretto per completare il progetto di Agenda Digitale, ma anche su persone competenti nel digitale nei vari ministeri coinvolti. Un po’ di ottimismo ci viene da un twitt di Alessandro Fusacchia, consulente per l’innovazione nel precedente governo del Ministro Passera: “Il cambiamento in Italia sta già succedendo. Ogni tanto ce ne dimentichiamo”. Cerchiamo di ricordarlo ai politici.