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PNRR e Fascicolo Sanitario Elettronico, non è solo questione di soldi

Sono in tutto 1,38 miliardi di euro le risorse destinate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza al potenziamento del FSE, uno strumento che teoricamente dovrebbe già essere attivo in tutte le Regioni italiane, ma che in pratica tarda a diventare il pilastro per la salute del cittadino. Ecco perché e quali sono le sfide che, grazie al PNRR ma non solo, il nostro Paese può finalmente vincere

Pubblicato il 10 Feb 2022

fascicolo sanitario elettonico

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) gli investimenti che, all’interno della Missione 6 (Salute), sono destinati in modo particolare al rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione ammontano a 1,67 miliardi di euro. Gran parte di queste risorse, cioè 1,38 miliardi di euro, si riferisce al “potenziamento del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) – si legge sul PNRR – al fine di garantirne la diffusione, l’omogeneità e l’accessibilità su tutto il territorio nazionale da parte degli assistiti e operatori sanitari”.

Trattandosi di potenziamento, se ne deduce che il Fascicolo esiste già, nonostante la scarsa conoscenza dei cittadini emersa dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano che ha condotto una rilevazione su un campione rappresentativo di italiani in collaborazione con Doxapharma. Solo il 12% degli intervistati ha dichiarato di aver utilizzato il Fascicolo almeno una volta e solo il 38% ne ha sentito parlare. E questo nonostante la sua diffusione, secondo i dati di monitoraggio aggiornati periodicamente dall’AgID, veda al momento 57.613.478 FSE attivi e 357.210.690 referti digitalizzati.

Come è aumentato l’uso del FSE nell’epoca della pandemia

“Ci aspettiamo che l’utilizzo e la conoscenza del Fascicolo siano aumentati nel corso degli ultimi mesi – afferma Chiara Sgarbossa, direttrice dell’Osservatorio -, proprio perché il Fascicolo Sanitario Elettronico è uno degli strumenti attraverso cui i cittadini possono scaricare i loro referti, compresi quelli dei tamponi, e anche il Green Pass”. Ciò nonostante, non deve sorprendere la differenza tra quanto registrato dall’AgID in termini di attivazione di FSE e il suo uso effettivo da parte degli italiani. “Sebbene il Fascicolo sia attivo in tutte le Regioni – chiarisce infatti Sgarbossa -, in realtà in molte di esse le aziende sanitarie non lo alimentano di documenti. Di fatto i cittadini di molte Regioni, se entrassero all’interno del proprio Fascicolo, non troverebbero i propri referti, le lettere di dimissione, i verbali di Pronto Soccorso ecc.”.

Chiara Sgarbossa, Direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano

La mappa regionale, in tal senso, non ricalca la vulgata che vorrebbe un Sud sempre indietro rispetto a un Nord sempre avanti. “Se da un lato abbiamo Regioni come la Sardegna dove la percentuale di aziende che alimenta il Fascicolo è dell’87%, o la Puglia con il 57% e la Sicilia con il 52%, dall’altro abbiamo la Liguria con solo il 16% o Bolzano con percentuali praticamente nulle, in linea con Basilicata, Calabria, Campania, Marche e Molise”. Il problema dell’“alimentazione” del Fascicolo Sanitario Elettronico non è recente. Lo aveva contemplato, ad esempio, il Decreto Rilancio 2020, convertito nella legge 77 del 17 luglio 2020, estendendo le tipologie di dati sanitari e socio-sanitari che dovevano confluire nel FSE anche a quelli provenienti dalle aziende private che erogano prestazioni out of pocket, ovvero sostenute direttamente dal cittadino.

L’interoperabilità al centro del Fascicolo Sanitario Elettronico

Claudio Franzoni, Partner della Practice Healthcare Innovation di P4I, è convinto che la vera criticità sulla strada del Fascicolo Sanitario Elettronico dipenda dal fatto che si stia affrontando il suo sviluppo principalmente in chiave top-down e non sufficientemente bottom-up. “Anche se il PNRR prevede investimenti importanti per la creazione delle architetture e delle tecnologie – sostiene Franzoni – la questione è che poi le aziende sanitarie hanno pochi dati digitali da trasmettere o, per lo meno, una buona parte delle aziende sanitarie italiane non ne ha ancora a sufficienza”.

Claudio Franzoni, Partner della Practice Healthcare Innovation di P4I

Questo vulnus non deriva dalla presenza di più sistemi sanitari regionali. “In Israele non ne hanno 20, ma 5 di diversa natura, eppure è stato preso come riferimento per la campagna vaccinale ed è un riferimento internazionale per l’interoperabilità. Il compito del governo centrale è quello di dare delle regole chiare per far sì che ci sia l’interoperabilità tra le informazioni e che il cittadino italiano, indipendente dalla Regione di residenza, abbia accesso alle sue informazioni. Dal punto di vista tecnologico questo non è un problema e i fondi del PNRR sicuramente possono servire a tale scopo per il FSE 2.0. Lo stato dell’arte, tuttavia, è che si sta viaggiando non a 2, ma 3 velocità. Ci sono Regioni virtuose che hanno connesso tutte le strutture sanitarie, ce ne sono altre che ne hanno connesse solo alcune e altre ancora in regime di sussidiarietà nei confronti di Sogei, la società ICT in house del ministero dell’Economia e delle Finanze, che trasmettono pochissimi dati. Orientare fondi anche al completamento della digitalizzazione delle aziende sanitarie sarebbe ottimale”.

FSE, un data lake per l’analisi e il miglioramento delle prestazioni

La pandemia ha accelerato i processi verso una maggiore interoperabilità tra i sistemi sanitari regionali. L’incremento nell’utilizzo del FSE come piattaforma su cui far transitare i referti dei tamponi e i Green Pass ne è un chiaro esempio. Ha permesso di far capire anche come debba essere inteso correttamente. “Bisogna immaginare il futuro Fascicolo Sanitario Elettronico come un data lake, un grande contenitore di dati – continua Franzoni -, per questo è importante essere in grado di raccogliere anche i dati di campo. Ad esempio, attraverso i servizi di telemonitoraggio e di telemedicina è possibile raccogliere grandi volumi di dati che, aggregati, poi potranno essere convogliati in motori di intelligenza artificiale per costruire algoritmi per il machine learning che permettano di realizzare delle predizioni. Per fare un’analogia, nella Formula 1 oggi viene adoperata la tecnologia digital twin, derivata dall’avionica, per le attività di simulazione. Una macchina di Formula 1 possiede in pratica dei sensori che raccolgono in tempo reale tutta una serie di informazioni che sono processate dai motori di intelligenza artificiale durante la gara. Immaginiamo di fare lo stesso per la salute dei cittadini. Oltre a curare meglio grazie a dei modelli applicabili al singolo paziente, si possono condurre delle sperimentazioni senza impatto clinico su quantità significative della popolazione”. Che non sia fantascienza, è lo stesso PNRR a indicarlo, quando esplicitamente dichiara che il Fascicolo Sanitario Elettronico dovrà diventare uno “strumento per le ASL che potranno utilizzare le informazioni cliniche del FSE per effettuare analisi di dati clinici e migliorare la prestazione dei servizi sanitari”.

Perché il Fascicolo Sanitario va integrato con la telemedicina

“Le piattaforme di telemedicina – rimarca in conclusione Chiara Sgarbossa – devono essere certamente integrata con il Fascicolo. Tant’è vero che lo sviluppo della piattaforma nazionale di telemedicina si trova all’interno della Componente 2 (Innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, ndr) della Missione 6 del PNRR. I referti che vengono prodotti da una televisita, ad esempio, dovranno confluire nel Fascicolo e, dall’altro lato, i documenti e i dati relativi a un paziente presenti sul FSE potranno essere utili per i medici che devono curare un paziente in telemedicina. Tra i dati che potrebbero confluire sul Fascicolo ci sono anche quelli legati al telemonitoraggio dei parametri clinici. In questo caso, è importante distinguere tra dati raccolti da dispositivi certificati per questo scopo e quelli raccolti, ad esempio, dai wearable in mano al paziente e che nella maggior parte dei casi non sono certificati come dispositivi medici. Si tratta, in questo ultimo caso, di dati meno affidabili e di qualità e difficilmente utilizzabili in ambito medico”.

FSE e telemedicina, nelle intenzioni del PNRR, dovrebbero contribuire a colmare quei divari regionali che soprattutto in ambito sanitario non possono sussistere all’interno di un Paese moderno. “Lo scopo – tiene a evidenziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza – è garantire alle persone, indipendentemente dalla Regione di residenza, dalla fase acuta alla fase riabilitativa e di mantenimento, un’assistenza continua e diversificata sulla base dello stato di salute”. Uno scopo per raggiungere il quale “il potenziamento del Fascicolo di sanità elettronica attraverso la costituzione di un repository nazionale, lo sviluppo di piattaforme nazionali (telemedicina) e il rafforzamento di modelli predittivi assicurerà strumenti di programmazione, gestione e controllo uniformi in ogni territorio”. Fra qualche anno sapremo se queste parole del PNRR si sono tradotte in fatti concreti.

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