Cloud e Pmi: i fattori frenanti l’adozione

Elevata attenzione nei confronti di un fenomeno, il cloud, percepito come possibile supporto per far fronte alla difficile contingenza economica ma anche per beneficiare di un’innovazione tecnologica difficilmente accessibile per le pmi. permangono però dubbi, falsi miti e perplessità.

Pubblicato il 12 Lug 2013

Spesso le tecnologie informatiche vengono interpretate dalle Pmi italiane come un utile supporto alle operation e ai processi amministrativi e solo raramente come leva competitiva su cui investire per migliorare il valore complessivo dell’impresa.
Un approccio poco strategico alle tecnologie è dettato in parte dalla scarsa comprensione dei benefici che le aziende ne potrebbero derivare e, in parte, dal momento congiunturale che sposta l’asse delle priorità su temi come l’elevata pressione fiscale, l’eccessiva burocrazia e il fenomeno del credit crunch che, di fatto, sta incidendo sulla redditività e nella capacità di autofinanziamento.
La somma di un atteggiamento culturale poco incline all’investimento in tecnologie e di una contingenza economica sfavorevole ha, nel corso degli ultimi anni, generato:
– fenomeni di riduzione, se non azzeramento per le aziende più piccole, degli investimenti in Ict;
– una rincorsa spasmodica al contenimento dei costi Ict;
– un generale invecchiamento del parco infrastrutturale e applicativo presente nelle Pmi italiane.
Peraltro, per quanto concerne la componente applicativa, gli stessi fornitori delle soluzioni, soprattutto le piccole software house locali, non riescono più a garantire gli stessi ritmi di investimento del passato in R&D per fare evolvere la loro offerta (multipiattaforma, multilingua, mobile, security, cloud, ecc.) e il business dei loro clienti.
In questo contesto il cloud computing può giocare un ruolo rilevante perché risponde contemporaneamente all’esigenza di tenere sotto controllo i costi Ict (utilizzando canoni o pay per use) e di beneficiare di tecnologie infrastrutturali e/o applicative allo stato dell’arte. E non solo. Il cloud permette alle aziende di disimpegnare competenze di tipo prettamente tecnologico/sistemistico a favore di skill iscrivibili a un contesto di Governance.
È quindi lecito domandarsi: hanno le Pmi italiane recepito questi concetti chiave legati al cloud? Stanno adottando servizi cloud in qualsivoglia ambito infrastrutturale, applicativo o di piattaforma? Li stanno seriamente valutando?
Secondo un’indagine campionaria su un panel di 200 aziende svolta di recente da NetConsulting sembra proprio che l’attenzione nei confronti del cloud da parte delle Pmi italiane, con livelli differenti di maturità, sia elevata e che “cloud computing” sia diventata una “keyword” da tenere sotto stretta osservazione.
L’adozione attuale o prevista del cloud riguarda una percentuale di medie aziende oscillante tra il 33,2%, se si considerano le realtà con progetti già terminati o in corso e con iniziative previste per il 2013, e l’80,8%, se si includono anche le aziende che stanno prendendo in forte considerazione la possibilità di adottare questo nuovo modello di utilizzo dell’It più avanti nel tempo, oltre il 2013. Tali percentuali scendono, rispettivamente al 27,5% e al 72,8%, nel caso di realtà di piccole dimensioni, tradizionalmente meno propense all’innovazione tecnologica. A ulteriore conferma di quanto il cloud rappresenti ormai una priorità tecnologica a tutti gli effetti, la quota di imprese (soprattutto quelle di medie dimensioni) assolutamente non interessate all’utilizzo del cloud risulta decisamente trascurabile. In base a queste indicazioni raccolte sul campo, è possibile ipotizzare che i servizi cloud, con le dovute tempistiche, rappresenteranno un’importante modalità di fruizione delle tecnologie per le Pmi italiane. La velocità di adozione dei servizi cloud è invece legata da una parte alla capacità da parte dei cloud provider di garantire un’elevata qualità dei servizi offerti e, dall’altra, dal fatto che vengano sciolti alcuni dubbi che a oggi rappresentano i principali ostacoli all’adozione di servizi cloud da parte delle Pmi italiane.

Sicurezza e cloud: resistenze culturali
In prima istanza si posiziona il tema legato alla sicurezza e alla privacy dei dati. In tal senso, al netto di una normativa ancora da ottimizzare che vincola per alcuni settori la presenza del dato all’interno del territorio italiano, ci sembra che i timori delle aziende siano più di tipo culturale che tecnologico.

Alcuni miti da sfatare: il Cloud è sicuro?

Fonte: NetConsulting 2013

Diventa infatti complesso sostenere che, in genere, le Pmi siano in grado singolarmente di gestire la privacy e la protezione dei dati in modo migliore di un provider specializzato. Spesso, anche in termini di sicurezza fisica, le infrastrutture e le applicazioni delle Pmi italiane sono soggette a elevata vulnerabilità.
Nel dettaglio, le principali problematiche di security cui devono far fronte le Pmi italiane sono:
– l’inadeguatezza delle configurazioni e delle facility dei data center, che molto spesso non si collocano allo stato dell’arte;
– la mancanza di piani di contingenza anche in risposta alla compromissione dei server, all’uso non adeguatamente controllato degli hot spot Wi-Fi, peraltro spesso non aggiornati nelle soluzioni software che ne regolano il funzionamento;
– la scarsa presenza di attività di Intrusion Detection;
– i costi elevati delle licenze connesse ai firewall e alla gestione delle patch.
Con l’avvento dei dispositivi mobili e di fenomeni che prevedono un utilizzo sempre più promiscuo delle tecnologie a uso privato e aziendale, l’ambito della security diventa ancora più importante, date le possibili ricadute sul brand e sul business delle aziende.
La gestione della sicurezza nelle architetture di cloud computing risulta, al contrario, ottimale non solo in confronto alle criticità evidenziate all’interno dei sistemi informativi delle Pmi ma anche in assoluto grazie sia ad aspetti tecnici sia a elementi legati alle competenze delle risorse umane dedicate alla gestione delle infrastrutture:
– dal primo punto di vista, vale la pena segnalare come i data center su cui poggia gran parte delle architetture cloud beneficino di elevati investimenti in Ricerca & Sviluppo e siano Tier 3/4, ovvero soddisfino tutti i requisiti tecnici richiesti in termini di ridondanza, availability, consumi energetici, raffreddamento e fault-tolerance, presentino soluzioni di sicurezza estese a transazioni e comunicazioni nonché ampie possibilità di ridondanza funzionali al Disater Recovery;
– per quanto riguarda le risorse umane, da segnalare la presenza di team esperti in ambito sicurezza in grado di mettere in pratica relative policy e metodologie.

Complessità nell’integrazione tra soluzioni on premise e cloud
Un secondo freno all’adozione di servizi cloud è legato al timore che l’integrazione con le soluzioni on premise non sia semplice. Tale tematica appare particolarmente critica nel caso di applicativi sviluppati ad hoc o di pacchetti fortemente customizzati che potrebbero richiedere uno sforzo aggiuntivo in fase di start up del progetto. L’effort necessario per effettuare la transizione verso il cloud di una quota parte dei sistemi e soluzioni aziendali è una fase che va valutata e gestita attentamente. In questo senso l’attenzione è da porre sul fornitore di servizi che sempre più deve essere in grado di gestire la transizione e l’integrazione tra mondi ibridi.
Per gestione della transizione si intendono tutte quelle attività, a impronta consulenziale, che permettono a una Pmi di capire cosa è conveniente delegare ai servizi cloud e cosa no. La transizione va poi gestita dal punto di vista operativo, provvedendo, laddove necessario e richiesto, a una integrazione tra i sistemi rimasti on-premise e i servizi cloud adottati. Non si pensi dunque che implementare servizi cloud significhi semplificare al punto di non avere l’esigenza di gestire l’integrazione con l’ausilio di servizi professionali qualificati. È quindi importante che il fornitore di servizi utilizzato incorpori le competenze necessarie per poter gestire un ambiente infrastrutturale e applicativo che, in futuro, avrà sempre più una connotazione ibrida.

Rispetto degli sla ma anche timore di "omologazione" applicativa
Un ulteriore timore manifestato dalle aziende che stanno valutando i servizi cloud è legato all’effettiva continuità del servizio (rispetto degli Sla), elemento importante al crescere della criticità dei servizi adottati in cloud.
Il tema della qualità del servizio riteniamo che rappresenti un punto nodale del cloud. Da una parte infatti, chi offre servizi di questo tipo deve garantire livelli prestazionali eccellenti e limitare le indisponibilità dei servizi, essendo consapevole che la leva della penale non è tra quelle preferite dalle aziende; dall’altra le Pmi stesse dovrebbero effettuare delle valutazioni legate alla criticità dei servizi adottati per capire come adeguarsi dal punto di vista dell’upgrade della componente Tlc.
Altro fattore di freno è legato alla percezione che il cloud garantisca una scarsa possibilità di customizzazione delle applicazioni, timore tipico delle aziende italiane e soprattutto di quelle di piccole e medie dimensioni che ritengono tradizionalmente che le loro esigenze non possano essere adeguatamente soddisfatte attraverso soluzioni standard.
Su questo punto è necessario considerare due approcci. Il primo è quello che prevede un utilizzo del cloud in modalità dedicata, consentendo di beneficiare della flessibilità infrastrutturale e al contempo di erogare servizi applicativi customizzati.
Il secondo approccio è invece quello che spinge le aziende ad assecondare maggiormente le best practice proposte dai sistemi applicativi (fruendo quindi di applicazioni standard offerte in modalità cloud). In questo secondo caso si ottimizza, scontando un po’ in personalizzazione, la gestione della componente applicativa.
Seguono, nell’elenco delle criticità citate dalle Pmi italiane, le difficoltà legate alla necessità di adottare nuove metriche di pricing, e, parallelamente, quelle derivanti dal bisogno di formulare strumenti di monitoraggio del servizio che rendano più agevole il controllo del rispetto degli Sla.
Infine, alcune aziende hanno indicato l’assenza di business case che possano mettere in luce i benefici effettivi che altre imprese hanno ottenuto dall’adozione del cloud. Questo timore, in cima alle risposte delle aziende solo un paio di anni fa, sta oggi velocemente calando in termini di percezione della problematica.
La scelta di implementare servizi cloud da parte delle Pmi italiane passa dunque anche dal fatto che prendano coscienza di quali sono i corretti punti di osservazione da valutare con attenzione, con la consapevolezza di quella che è la loro situazione attuale e di quello che è stato il loro percorso evolutivo.
Sicuramente il cloud rappresenta una modalità di approccio alle tecnologie che va valutata a fondo, in quanto potrebbe portare contemporaneamente benefici economici e semplificazione tecnologica per l’azienda. Non esiste però un univoco e corretto approccio al cloud, ma ne esiste uno corretto per ogni specifica azienda.
Per valutare l’implementazione di servizi cloud riteniamo sia necessario che le Pmi si facciano accompagnare da un partner che sia solido in termini di dimensioni e situazione finanziaria, che sia capace di supportare il percorso di crescita dell’azienda con un’offerta adeguata alle dimensioni e che sia in grado di dare garanzie rispetto a tutti i fattori di freno che sono stati analizzati ed esplicitati dalle Pmi in prima persona.

* Vittorio Arighi è Practice Leader di NetConsulting

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