Banche: nel 2016 il convitato di pietra sarà il Credito

Il sistema bancario italiano sta evolvendo verso un modello misto tradizionale-digitale. Le condizioni economiche sono favorevoli, ma occorre maggiore propensione al rischio nella relazione con il cliente. Che chiede Credito sulla base degli Analytics e dei Big Data.

Pubblicato il 01 Dic 2015

Il paziente sta meglio, ci sono le premesse per la ripresa. È questo lo stato clinico del sistema bancario italiano delineato nel corso dell’edizione 2015 del Banking Summit, organizzato da The Innovation Group. Dopo anni di emergenze e distonie per i processi di M&A, il sistema può finalmente dedicarsi allo sviluppo di servizi di Banking. “Per fare questo – sottolinea Ezio Viola, co-founder e managing director di The Innovation Group – occorre concentrarsi su alcune aree di trasformazione: efficientamento dei processi interni, sviluppo di sistemi omnichannel e migliore gestione del change management. Le “nuove” tecnologie digitali (social, mobile, big data e cloud) sono strumenti utili anche nel corporate banking, oltre ad essere specifici dei nuovi player e mondo Fintech [le startup che sviluppano soluzioni per il finance ndr]”. Sono il mezzo per realizzare un modello ibrido, quell’ambito di intersezione tra banca tradizionale e banda digitale.

Il quadro macroeconomico: è il tempo del Credito

Un momento dell’evento

Oggi la sfida del digitale non è diretta solo sui mezzi di pagamento, ma soprattutto sul credito. Ne è convinto Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, anche a fronte di un miglioramento delle condizioni macroeconomiche: “Siamo usciti dalla recessione, il cambio è più favorevole, c’è un minor costo dell’energia, è diminuito il gap con i Paesi Eurozone, la domanda interna è migliorata anche se più sui consumi che sugli investimenti. Infine, l’export è tonico: diminuisce verso gli emergenti, ma si consolida verso Usa e Ue. In questo quadro generale – sottolinea De Felice – la parola chiave per le banche nel 2016 è Credito, anche perché beneficiano di una posizione patrimoniale più stabile e di maggiore liquidità. È il momento che aumenti la propensione al rischio per contribuire ad aiutare le imprese a puntare allo sviluppo”. È su questi obiettivi che fa leva la sfida del digitale.

Il vantaggio del digitale nel fare Banking. All’estero
Il sistema bancario tradizionale italiano non è propriamente all’avanguardia, ma si sta muovendo. Guardare alle buone esperienze estere è sicuramente utile. La prima presentata al Summit è quella raccontata da Deniz Güven, Senior VP, Digital Channels di Garanti Bank, secondo istituto di credito in Turchia: 12 milioni di clienti di cui 2,8 milioni utenti Online Banking e 2 milioni Mobile Banking. “La Banca ha lanciato servizi di Internet Banking nel ’97 quando in Turchia c’erano 15 mila utenti Internet”. Per lo sviluppo di una coerente digitalizzazione, sottolinea Güven, occorrono una divisione dedicata, una forte motivazione della Direzione e il supporto di terze parti di valore per creare un ‘contextual banking’ e aumentare così le performance del servizio offerto. “I clienti vogliono il modello ibrido, afferma Gennaro Casele, Partner e Managing Director di Bcg-The Boston Consulting Group, e le direttrici su cui muoversi sono chiare: sviluppo interno, acquisizione di Fintech e adesione strategica di tutta la struttura, personale e direzione, a questo nuovo modello”, Il modello ibrido è vincente anche per Don Kock, Country Ceo di ING Bank Italia: “Le iniziative che portano a questo modello passano da una compenetrazione con il mondo Fintech, da sistemi di innovazione come il conferencing e la riorganizzazione del retail banking”. È necessario estendere le funzionalità per una consumer experience valida, ma servono propensione al rischio e passione per l’innovazione.

Il processo di digitalizzazione del sistema bancario italiano
Il Banking Summit 2015 è stato anche l’occasione per la presentazione di alcuni casi di digitalizzazione di gruppi bancari italiani. Il quadro è di ottimismo: il modello ibrido vincerà, ma i tempi di realizzazione saranno più lunghi del previsto. Il panorama generale lo presenta Romano Stasi, Managing Director di Abi Lab. Il sistema bancario nazionale investe e crede nel digitale: i budget stanziati sono sempre più cospicui. Le direttrici strategiche su cui si muove sono la multicanalità, il mobile e il remote banking, e, sul medio periodo, la gestione dei big data e le trasformazioni delle filiali. Le evoluzioni del contesto sono guidate da componenti esterne come le nuove normative EU e le nuove tecnologie, da diverse logiche di servizio e da una apertura verso il cliente grazie a sistemi di business intelligence e modalità di coinvolgimento e ascolto (chat).

“In Italia – conclude Stasi – forse è necessario pensare a differenziare l’offerta digitale sulla base degli skill della clientela”.

Proprio riferendosi a questo aspetto, Massimo Tessitore, Responsabile Direzione Multicanalità Integrata di Intesa Sanpaolo, racconta che la banca sta attuando un programma di trasformazione in ottica multi-channel e any-channel. “Il sistema ibrido è vincente: la nostra prospettiva è che l’online banking realizzi il ‘vecchio’ concetto di relazioni umane, ma in modo digitale”. La soluzione hybrid deve fare leva sui best asset del modello tradizionale, brand, solidità e territorialità. “Il grande problema rimane nei sistemi legacy: per questo stiamo cercando di cooptare startup con una specifica unità di screening”.

Anche in Unicredit è attivo un team di scandaglio del mondo Fintech. Massimo Milanta, Global Chief Information Officer di Unicredit Group delinea i tre pilastri su cui punta la banca: relazione con i clienti, quindi multicanalità, coerenza di interazione offline/online e uso dei canali Social; nuovi prodotti grazie alla conoscenza attivata dai big data; offerta di una esperienza digitale di alta classe migliorando la usabilità delle piattaforme. “Per le banche è sempre difficile fare slanci in avanti – afferma Giovani Sordello, Chief Operating Officer in Banca Popolare di Milano – ma noi ci stiamo provando con un percorso per integrare We Bank, la banca digitale controllata di BPM, con la struttura tradizionale”, per entrare globalmente in un’ottica di business ibrido e multicanale.

Il ruolo dei partner tecnologici
Quello bancario è per antonomasia un ambito estremamente complesso dove tutte le soluzioni tecnologiche sono coinvolte: sicurezza, identity e strong authentication, analisi e monitoraggio delle performance, strumenti distributivi e di gestione della relazione, nuove frontiere della banca digitale-multicanale. Tutto questo sta richiedendo alle banche di realizzare una strategia tecnologica integrata, un approccio alle soluzioni che guardi ai processi di innovazione in modo globale. Per quanto riguarda la sicurezza ad esempio, afferma Michele Lamartina, Country Leader di Ca Technologies, le banche devono avere il coraggio di attivare aree di test perché l’apertura del business, con i problemi dell’identity che ne derivano, implica una profonda revisione delle architetture. Sempre sui temi dell’identificazione e della strong autentication Telecom Italia, per voce di Enrico Trovati, Responsabile Marketing Business, auspica una opportuna congiuntura tra banche e Telco per dare vita ad una federazione che stabilisca come muoversi all’unisono in questo ambito.

Un approccio integrato può essere garantito accentrando le funzioni in un unico contenitor che copra tutte le attività della banca digitale-multicanale, sottolinea Gianni Racchetti, Financial Services Market Unit Consultant in Comdata, società specializzata nell’outsourcing, ma non può prescindere da nuove strategie di innovazione dei canali e dei prodotti che devono essere pensati per le necessità delle nuove generazioni, gli utenti del domani, come ricorda Dante Laudisa, Marketing & Communication Director in Gft Italia. Secondo Hewlett-Packard, afferma Gianni Rugginenti, Sales Manager Private Market Enterprise Group, l’ottica in cui muoversi è assolutamente quella open “dall’hardware al software, dalle gestione delle operation alla sicurezza, dai big data al cloud” perché solo così l’It delle banche sarà in grado di supportare le strategie in termini di sicurezza, velocità e flessibilità.


Servono i bankers per fare banking?

È Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia d’Impresa ed Economia Aziendale presso Sda Bocconi, a porre nel suo intervento questa domanda provocatoria.

Per Carnevale Maffè non ci sono dubbi: è necessario che scenda in campo un nuovo modello di banker, che raccolga la sfida prossima futura già evidenziata da Gregorio De Felice di Intesa Sanpaolo: il Credito. “I big data e l’analysis sono il nuovo modello di segmentazione dei processi, di gestione delle relazioni. Tutto erode il potere negoziale delle vecchie relazioni, dove il modello hybrid (fusione tra banca tradizionale e banca digitale, ndr) non significa convivenza ma specializzazione. Abbiamo una grande opportunità strategica che arriva con lo sviluppo delle social digital platform che offrono possibilità di una accountability indipendente. La nuova moneta è il Dato per dare credito a condizioni adeguate. Prima si scambia il Dato e poi l’Euro”. I nuovi soggetti che si pongono anche in concorrenza con il sistema bancario tradizionale sono ormai lo standard de facto perché offrono paradigmi che tolgono la ‘regolazione’ dal monopolio delle istituzioni: “Il futuro del banking è distribuito, decentralizzato e fondato su organizzazioni autonome, in cui un ruolo determinante lo avranno le applicazioni sviluppate dalle Fintech, le startup per il mondo finance.”.

Oggi il credito si basa sull’analisi dei dati in tempo reale, non più sulla presa visione dei conti economici e dei fatturati di fine anno. Realtà come Workinvoice e i-Faber, citate da Carnevale Maffè, sviluppano business sull’erogazione di credito e servizi alle aziende sulla base dell’analisi dei big data e dello streaming pressoché quotidiano degli andamenti economici e finanziari: “I flussi di dati danno la vera dinamica di rischio. È necessario che le banche presidino i flussi finanziari, investendo in tecnologia e cambiando il modo di relazionarsi con il cliente. Sono i dati che consentono una nuova segmentazione e classificazione nel rapporto transazionale”, conclude il docente.

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