Il mondo dei Big Data Analytics e della Business Intelligence non ha ancora conosciuto battute d’arresto; il suo sviluppo prosegue con tassi di crescita anno su anno a due digit che, anche nel 2015 per il mercato italiano, si aggireranno tra il 18 e il 22%. “La nota positiva non viene tanto dai numeri quanto dall’aumento delle esperienze di ‘tipo business’, ossia dei progetti che escono dalla fase prototipale ed entrano in esercizio direttamente nelle line of business”, commenta Carlo Vercellis, Full Professor of Computer Science al Politecnico di Milano e Responsabile dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management dell’ateneo milanese. “Si tratta di una buona notizia non soltanto dalla prospettiva del mercato Ict (Ict vendor, service provider, system integrator, ecc.), ma anche dal lato della domanda perché significa che le applicazioni stanno crescendo e maturando e gli investimenti in questa direzione sono ritenuti, da parte delle aziende, opportuni ed efficaci, soprattutto in ottica di miglioramento della qualità dei processi decisionali”.
Secondo Vercellis l’Italia ha superato ‘lo scoglio’ iniziale, quello cioè del tempo in cui, all’arrivo sul mercato di nuove tecnologie, le aziende reagiscono per lo più ‘stando alla finestra a guardare’ e gli early adopter ‘sperimentano’ più per cercare di comprendere la tecnologia in sé piuttosto che sulla base un disegno strategico di fondo. “Fino allo scorso anno si percepiva ancora questa prospettiva ‘emulativa’, un po’ da retroguardia, dato che le aziende investivano sui Big Data Analytics più per ‘rimanere al passo’ con le evoluzioni tecnologiche che non per reale esigenza di business”, conferma Vercellis. “Ciò che invece ho iniziato a percepire più frequentemente negli ultimi 12 mesi è un nuovo livello di maturità: molte realtà aziendali hanno iniziato a ragionare su un vero e proprio framework di Big Data Analytics alla cui base vi sono logiche di ‘data monetization’ ed esigenze di competitività aziendale”.
Le aziende stanno dunque investendo in questa direzione “consapevoli che dall’analisi predittiva, dalla simulazione di scenari o del monitoring in real-time dei mercati (così come delle vendite, delle campagne promozionali, dei rischi, ecc.) ne deriva una nuova forza competitiva”, aggiunge Vercellis.
Chi vuole ‘capire’ i Big Data
Dalla fotografia che emerge dalle analisi dell’Osservatorio, le aree di business che in questo momento hanno maggior ‘sete’ di analisi sui Big Data, in particolare sui dati non strutturati, sono il Marketing e le Vendite: “Benché non siano affatto discipline uguali è innegabile che siano complementari tra loro, dato che tra gli obiettivi annoverano in primis l’aumento dei ricavi e l’ampliamento del market share”, spiega Vercellis. “Il valore delle analisi predittive e in real-time per queste linee di business si esprime anche sul fronte della fidelizzazione e della valorizzazione del cliente, soprattutto nella gestione della user experience multicanale”.
Al secondo posto emerge in modo sempre maggiore il valore delle analitiche sui Big Data nell’ambito della gestione del rischio. “Risk management, attribuzione dei crediti, identificazione di frodi in ottica preventiva sono altre discipline e attività che stanno sicuramente traendo un beneficio economico dalla comprensione dei dati”, sostiene Vercellis; “si tratta di enti ed organizzazioni che utilizzano meno marcatamente i dati esterni all’azienda ma che comunque necessitano di nuovi strumenti analitici soprattutto per tutto ciò che concerne la correlazione di eventi e la simulazione di scenari”.
Infine, si nota un nuovo fronte di crescita in ambito Risorse Umane, “anche se percentualmente il peso degli investimenti di Big Data Analytics in questa direzione è decisamente minore rispetto agli altri ambiti citati”, ammette il responsabile dell’Osservatorio. “Diciamo che questa è un’area nuova per questo tipo di analisi, anche se non mancano interessanti casi soprattutto sul fronte della gestione dei talenti, dei percorsi formativi e di crescita professionale delle persone”.
Interesse crescente verso la ‘capacità predittiva’
Analizzando in dettaglio i percorsi tecnologici avviati dalle aziende italiane monitorate da Vercellis sia attraverso l’Osservatorio sia attraverso una diretta attività progettuale, ciò che appare evidente è l’interesse crescente verso l’analisi predittiva, ossia la capacità, attraverso gli opportuni strumenti tecnologici, di avviare complesse analisi su grandi moli di dati destrutturati e la correlazione di eventi in grado di ‘restituire’ informazioni utili al management per prevedere ipotetici scenari, ossia per capire quanto si riuscirà a vendere un prodotto o servizio, quali saranno i clienti fedeli e quali ‘a rischio’ di infedeltà o insolventi, ecc.
Ma c’è ancora qualche freno
Nonostante il trend di crescita testimoni il costante interesse e l’aumento della spesa in progetti di questo tipo, è alquanto curioso notare che “le aziende non sono ancora in grado di utilizzare a pieno i propri dati interni – sottolinea Vercellis -: le imprese che analizziamo attraverso la nostra survey, anche le più ‘illuminate’, stimano di utilizzare soltanto il 40% dei dati presenti all’interno dei sistemi informativi aziendali. Non solo, nei progetti di Big Data Analytics soltanto il 10-15% dei dati analizzati proviene da fonti esterne (open web, canali social, ecc.)”. Secondo l’opinione di Vercellis questi dati riflettono quello che in Italia rappresenta uno degli scogli maggiori allo sviluppo dell’analisi di dati destrutturati esterni all’azienda: “si tratta di un problema di tipo legale, perché le stringenti leggi sulla privacy del nostro paese ‘intimoriscono’ le aziende. L’utilizzo dei dati dei profili social degli utenti, per esempio, anche se si tratta di profili pubblici, visibili quindi da tutti e non soltanto dalla cerchia di amici e follower, non è così diffuso come nei paesi anglosassoni e il tema dei ‘confini’ della privacy è tutt’ora molto dibattuto”.
I casi di successo
Guardando infine in concreto ai casi di successo registrati dalle aziende italiane, Vercellis descrive alcuni interessanti progetti differenti tra loro per ‘natura’ ma accomunati da un unico fil rouge: il valore di business generato dall’analisi dei dati.
“Nell’ambito del Marketing abbiamo osservato alcune realtà del settore Retail che, sfruttando i dati sulla geolocalizzazione dei clienti, riescono a lanciare campagne promozionali in real-time invogliando gli utenti all’acquisto di determinati prodotti o servizi direttamente nel negozio in cui già si trovano fisicamente o situato nelle loro vicinanze”, descrive Vercellis. “Fermo restando che è sempre l’utente a dare o meno il consenso all’utilizzo dei dati sulla propria posizione tramite smartphone, l’analisi di questi dati, incrociati con eventuali dati interni del Crm aziendale che raccolgono le preferenze o le abitudini di acquisto del cliente, genera un valore da entrambe le parti: per l’azienda diventa un modo per fidelizzare il cliente e incrementare le vendite, mentre nell’utente vi è la percezione del servizio personalizzato e contestualizzato”.
Va da sé che oltre alle finalità di ‘promozione in store’ il Marketing sta sfruttando forse più di ogni altra funzione aziendale l’analisi dei dati destrutturati per capire il ‘sentiment’ degli utenti rispetto ad un tema, un prodotto, un servizio e studiare quindi azioni e campagne mirate che risultino più efficaci rispetto agli approcci generalisti del passato. “Quello che notiamo è senz’altro il consolidamento di pratiche di Geo-Marketing in tempo reale dove la geolocalizzazione diventa uno strumento di supporto anche per le transazioni online, soprattutto in segmenti di mercato come quelli del Travel e dell’ospitalità alberghiera”, sostiene Vercellis.
Altri esempi di applicazioni già in esercizio in Italia riguardano il mondo assicurativo e bancario: “molto interessanti sono i progetti che coniugano i Big Data con un altro importante fenomeno che si sta lentamente concretizzando anche in Italia, quello dell’IoT – prosegue ancora il professore del Politecnico -; nel mondo assicurativo sono ormai abbastanza diffuse le ‘scatole nere’ installate sulle autovetture (l’Italia è seconda soltanto agli Stati Uniti rispetto a questa tendenza e già oggi si contano oltre 4 milioni di autovetture dotate di ‘black box’) dalle quali se ne ricavano dati sullo stile di guida dell’utente con conseguente calcolo del premio assicurativo in modo personalizzato”.
Come accennato precedentemente, anche il segmento della gestione del rischio sta traendo particolare beneficio dalle tecnologie delle analisi predittive, soprattutto nelle pratiche di ‘credit scoring’ e nel calcolo delle probabilità di insolvenza in attività come, per esempio, il rilascio di fidi bancari o l’apertura di mutui e prestiti finanziari, nonché per il monitoring real-time degli eventi per prevenire frodi.
Seppur ancora poco diffusi, iniziano infine a vedersi in Italia anche casi di Big Data Analytics nel mondo Hr, soprattutto “nella raccolta di profili per supportare le attività di recruitment – conclude Vercellis -; abbiamo visto realtà che hanno sviluppato applicazioni ad hoc per correlare le caratteristiche degli individui rispetto alle potenzialità in termini di efficacia (produttività) ed efficienza una volta inseriti nei contesti aziendali, in modo da inserire le persone giuste nel contesto più corretto valorizzandone al meglio le potenzialità. Si tratta per lo più di agenzie di recruitment che attraverso questo tipo di analisi riescono poi a definire un portfolio di servizi ampio ed accurato per i loro clienti”.