Big data analytics, come disegnare la data-driven enterprise

Dal webinar organizzato da ZeroUno con Intel, la disamina del Politecnico di Milano mostra luci e ombre dello scenario della nuova business intelligence e degli advanced analytics

Pubblicato il 20 Dic 2016

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Il webinar “Analytics-ready infrastructure: verso una vera data-driven enterprise”, organizzato di recente da ZeroUno con la collaborazione di Intel, mette al centro il ridisegno delle architetture informative a supporto dei processi analitici.

Di questo servizio fanno parte anche i seguenti articoli:
LA TAVOLA ROTONDA VIRTUALE – L’Italia degli analytics, ecco lo status quo
L'OFFERTA – Quali infrastrutture a supporto della big data analysis?

L’interesse delle aziende verso big data e analytics cresce confermato dai numeri.

I relatori del webinar, da sinistra: Nicoletta Boldrini, giornalista di ZeroUno, Paolo Pellegrini, Senior Consultant e Responsabile della Practice Data-Driven di Innovation P4I – Partners4Innovation e Carmine Stragapede, Direttore Generale di Intel Italia

“Secondo Gartner – ha riportato Nicoletta Boldrini, giornalista di ZeroUno, aprendo la diretta – nel biennio 2016-2017 il 76% delle aziende americane ha pianificato investimenti nel settore. Tuttavia, il 60% dei progetti pilota rischia di fallire o non avere seguito”. Serve quindi costruire una data-strategy, che permetta la trasformazione sotto il profilo tecnologico (storage, architettura dati, soluzioni analitiche ecc.), dei processi e delle relazioni It-Lob.

A che punto sono le aziende italiane?

Un valore complessivo di 905 milioni di euro, con una crescita del 15%: è il mercato degli Analytics in Italia che risulta dagli ultimi dati presentati dall’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano che ha visto il coinvolgimento di 952 organizzazioni italiane di differenti dimensioni (149 grandi imprese e 803 Pmi). La scomposizione del dato ci mostra ancora una forte predominanza del segmento Business Intelligence con un valore di 722 milioni di euro (+9% in un anno), ma se i Big Data risultano ancora ancora marginali come valore (183 milioni di euro) sono però il segmento a più elevato tasso di crescita (+44%). Sono soprattutto le grandi imprese che rappresentano il mercato di riferimento con l’87% della spesa complessiva.

Carlo Vercellis, Responsabile scientifico dell'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

“La crescita del mercato Analytics conferma come la capacità di diventare una ‘data driven company’ non sia più un’opzione per le imprese, ma una necessità per rispondere ai repentini cambiamenti del mercato – ha commentato Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio –. Governare i Big Data è ormai una priorità non solo per ottimizzare i processi, ma anche per sviluppare nuovi prodotti e servizi, per cogliere le opportunità derivanti dalla monetizzazione dei dati. In questo senso, dotarsi di nuove competenze di data science e di strutture organizzative innovative rappresenta una sfida non più prorogabile”.

Andando più nel dettaglio, la Ricerca ha evidenziato il tasso di diffusione dei diversi modelli di riferimento di analytics nelle grandi aziende del campione:

  • è ormai consolidata la diffusione di descriptive analytics (l’insieme di strumenti orientati a descrivere la situazione attuale e passata dei processi aziendali e/o aree funzionali; tali strumenti permettono di accedere ai dati secondo viste logiche flessibili e di visualizzare in modo sintetico e grafico i principali indicatori di prestazione) presenti nell’89% delle organizzazioni con l’utilizzo a regime nell’80% dei casi.
  • grande interesse è riservato ai predictive analytics (strumenti avanzati che effettuano l’analisi dei dati per rispondere a domande relative a cosa potrebbe accadere nel futuro; sono caratterizzati da tecniche matematiche quali regressione, forecasting, modelli predittivi, ecc) presenti nel 59% dei casi, anche se sono ancora confinati solo in alcuni ambiti applicativi o in fase di pilota (29%)
  • ancora poco diffusi i prescriptive analytics (tool avanzati che, insieme all’analisi dei dati, sono capaci di proporre al decision maker soluzioni operative/strategiche sulla base delle analisi svolte) che risultano presenti solo nel 23% delle aziende
  • fanalino di coda gli automated analytics (capaci di implementare autonomamente l’azione proposta secondo il risultato delle analisi svolte) che non superano il 10% di presenze.

Nonostante buona parte dei dati emersi sia positiva, dalla Ricerca risulta evidente che il processo di trasformazione delle tradizionali imprese italiane in “big data enterprise” è ancora lungo: soltanto l’8% ha raggiunto un buon livello di maturazione, mentre il 26% ha appena iniziato il percorso e il 66% si trova in una situazione intermedia.

Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

“Le grandi imprese si stanno muovendo nella direzione giusta, con una maggiore attenzione da parte del top management e una spesa crescente nei Big Data e negli Analytics nel loro complesso. È giunto il momento, oggi, di guidare il cambiamento, per liberare valore dai Big Data. – ha commentato Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio –. Lo stesso non si può dire delle Pmi, che coprono oggi solo il 13% del mercato e solo nel 34% dei casi hanno dedicato a sistemi di Analytics una parte del budget ICT 2016: per le piccole realtà emerge ancora un ritardo nella creazione di competenze e modelli di governo delle iniziative di analytics e una limitata conoscenza delle opportunità”.

Per completare il quadro generale, l’Osservatorio riporta dati interessanti sulla valorizzazione diretta dei dati: i 32% delle imprese italiane dichiara di acquistare dati da integrare con quelli raccolti direttamente per la Data Monetization, la generazione di nuovi ricavi attraverso la vendita o lo scambio dei dati. Il maggiore ostacolo alla Data Monetization, in particolar modo quella di tipo diretto, è l’autorizzazione del trattamento per le finalità dichiarate, la cui definizione è un momento cruciale, in cui è necessario avere chiaro lo scopo dell'analisi ed è necessario dichiarare la finalità di vendita dei dati raccolti.

Infine, le competenze: nel 2016, tre grandi aziende italiane su dieci dichiarano di contare nel proprio organico figure di data scientist, una quota stabile rispetto allo scorso anno. Ma aumenta la consapevolezza di questo ruolo che oggi nel 7% dei casi viene codificato formalmente (contro il 4% nel 2015).

Cos’è l’azienda guidata dai dati

Cos'è una Data Driven Company – fonte: presentazione di Paolo Pellegrini, Senior Consultant e Responsabile della Practice Data-Driven di Innovation P4I – Partners4Innovation

Torniamo ora all’evento organizzato da ZeroUno nel quale Paolo Pellegrini, Senior Consultant e Responsabile della Practice Data-Driven di Innovation P4I – Partners4Innovation, ha aiutato i presenti a capire, prima di tutto, cosa significa essere una data-driven company: “Sono le aziende che utilizzano i dati per qualsiasi decisione, a tutti i livelli, capaci di ricavare insights sul proprio business – ha chiarito Pellegrini -. I passaggi sono: esplorazione del dato attraverso strumenti di visualization; sviluppo di modelli e algoritmi predittivi per efficientare i processi, anche attraverso automatismi; data-monetization, grazie alla rivendita delle informazioni o allo sviluppo di nuovo business”. Gli asset costituenti sono: forte commitment del management per una trasformazione omnicomprensiva; ridisegno dei processi e organizzativo (istituzione di cantieri verticali e funzioni ad hoc); new capabilities trasversali per estrarre valore dalle informazioni; dati multi-source, interni ed esterni all’azienda; tecnologie infrastrutturali e applicative; algoritmi per generare insights, previsioni e automatismi.

Sul tema delle competenze Pellegrini ha puntualizzato che “manca un modello organizzativo consolidato, per cui le funzioni legate ai dati risiedono a seconda dei casi tra le Lob oppure sotto al Cio o al Cdo”. Il data scientist è una figura ancora poco diffusa: è presente solo nel 4% delle aziende italiane con una collocazione precisa, mentre nel 26% dei casi manca una stretta definizione di ruolo.

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