Mercati

Big Data: Fast & Smart i trend evolutivi

Assestandosi su quota 1,4 miliardi di euro, il mercato Analytics in Italia conferma il trend di crescita (+26%) rilevato lo scorso anno. Crescono le iniziative di fast data, dove l’analisi dei dati viene svolta in real time integrando diverse fonti informative, e i big data vengono analizzati in modo sempre più smart tramite machine intelligence. L’anteprima dei dati dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano nell’intervista rilasciata a ZeroUno da Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, e Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca

Pubblicato il 21 Nov 2018

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Il Convegno annuale dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano rappresenta un importante momento di confronto e approfondimento sull’approccio delle aziende italiane all’analisi dei dati per il business e sui principali trend che si evidenziano in questo strategico ambito. ZeroUno ha incontrato, a pochi giorni dal Convegno, Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, e Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca, per avere un’anteprima sui risultati 2018.

Già nella ricerca dello scorso anno era emerso come i Big Data Analytics, inizialmente appannaggio di poche imprese lungimiranti e proattive, venissero utilizzati da un bacino più ampio di realtà, forti di una notevole sponsorship da parte del Top Management, avendo dato prova di essere un’innovazione di successo e una necessità per sopravvivere alla competizione presente sul mercato: “Mentre le piccole e medie imprese appaiono in ritardo, tra le grandi aziende – spiega Vercellis -si è diffusa la convinzione che sia giunto il momento dell’azione, non più posticipabile a un futuro indefinito. Parallelamente sono cresciute le organizzazioni che hanno inserito al proprio interno professionalità qualificate per la gestione degli analytics, quali data scientist, data engineer, data architect e data analyst e introdotto modelli organizzativi in grado di aumentare in modo pervasivo le opportunità di innovazione derivanti dagli analytics, uniformando scelte tecnologiche e meccanismi di coordinamento”.

Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano

Grazie a questa nuova consapevolezza e alle evoluzioni organizzative e tecnologiche, le aziende risultano più pronte rispetto al passato nell’offrire risposte più rapide alle richieste del business aziendale. “Le progettualità in corso – prosegue Vercellis – mostrano una crescita rilevante di iniziative che possiamo definire di fast data, dove l’analisi dei dati viene svolta in real time, integrando diverse fonti informative. Inoltre, oggi, i Big Data devono essere analizzati in modo sempre più smart, per offrire insight innovativi basati su algoritmi di machine intelligence in grado di apprendere nel tempo sulla base dei dati con cui vengono alimentati. Cambia quindi la prospettiva rispetto al passato; oggi la sfida si sposta sulla reattività in termini di velocità nell’offrire risposte al business e nella capacità di adattarsi ed apprendere rispetto al contesto esterno”.

Il mercato Analytics: una crescita del 26%

I dati dell’Osservatorio rilevano che il mercato Analytics in Italia nel 2018 raggiunge poco meno di 1,4 miliardi di euro, confermando ancora una volta il trend di crescita che lo sta accompagnando da anni, con un tasso previsto del +26%. Nel 2015, infatti, il mercato ammontava a 790 milioni di euro. “È indubbio – prosegue il Responsabile Scientifico – che nei 3 anni intercorsi le aziende abbiano maturato consapevolezza sul tema e l’abbiano concretamente trasformata in investimenti, sperimentazioni e progetti. Tuttavia, il processo che porta a un approccio diffusamente maturo è tutt’altro che compiuto. A conferma di ciò, le PMI sono ancora responsabili di una quota esigua del mercato, fermandosi solo al 12% dello stesso, mentre il vero motore della crescita è affidato alle Grandi Imprese (sopra i 249 addetti), che ne rappresentano l’88%”.

Per dare una vista di dettaglio delle direttrici di spesa in Analytics, i ricercatori del Politecnico hanno scomposto la spesa complessiva in 3 voci principali: risorse infrastrutturali (21%), software (45%) e servizi (34%). Per quanto riguarda la prima voce, le infrastrutture possono essere acquisite fisicamente, con un modello di erogazione on premises, oppure in cloud, attraverso un modello a consumo, da un provider esterno all’organizzazione che si prende carico dell’erogazione del servizio e tra i trend emergenti Vercellis segnala che “questa scelta è compiuta con sempre maggior convinzione dalle aziende, pronte a sfruttare la maggior flessibilità che quest’approccio è solitamente in grado di garantire”.

Criticità all’adozione di progetti di Analytics

“Intraprendere un percorso di adozione di Analytics al giorno d’oggi – interviene Piva – rimane una strada che presenta degli ostacoli, nonostante nel corso degli anni siano diminuite sia la complessità sia l’incertezza nei confronti di questo tipo di progettualità grazie all’aumento di strumenti a disposizione delle imprese e a una conoscenza più diffusa del fenomeno”. La difficoltà più grande, espressa dal 53% di grandi aziende che hanno intrapreso progetti di Analytics, rimane, come evidenziato anche lo scorso anno, la mancanza di competenze e figure organizzative interne. Mentre, con rispettivamente il 45% e 36%, quote sostanzialmente invariate rispetto al 2017, vi sono difficoltà legate all’integrazione dei dati e nello stimare ex-ante i benefici dell’investimento.

Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano

“Una notizia positiva – segnala il Responsabile della Ricerca – è il significativo abbassamento di aziende che si scontrano con una mancanza di commitment da parte del top o middle management: lo scorso anno più della metà di aziende si è trovata ad affrontare questo scoglio che quest’anno invece è testimoniato dal 27% di aziende”.

Il 22% dichiara che una difficoltà sia stata la necessità di investimenti troppo elevati e, a dimostrazione che il tema delle competenze non riguarda solo i team interni alle aziende, il 18% ha trovato difficoltà nel reperire dall’esterno professionalità con l’adeguato mix di competenze (in leggero calo rispetto il 2017); il 16% ha affrontato difficoltà legate alla gestione del dato a causa di dati di scarsa qualità o poco affidabili e il 14% ha trovato software poco usabili o soluzioni tecnologiche obsolete per gli utenti. “Sorprendentemente, considerando che il 2018 è stato anche l’anno in cui il GDPR è diventato applicabile, all’ultimo posto, con il 10%, vi sono le problematiche di security e privacy”, sottolinea Piva.

Figure professionali dedicate alla Data Science

“La scarsità di competenze nell’ambito della Data Science, e più in generale nella capacità di manipolazione dei dati, caratterizza il fenomeno dei Big Data fin dagli albori”, ricorda Piva, che aggiunge: “Nonostante le aziende siano sempre più consapevoli di quanto sia inadeguato un approccio ‘technology-first’, la mancanza di competenze interne rimane il principale elemento di freno allo sviluppo di progettualità di Big Data Analytics”. A dimostrazione di ciò, il 77% delle grandi aziende dichiara un sottodimensionamento in termini di risorse umane dedicate alla Data Science.

“Oltre al disequilibrio tra domanda e offerta, le aziende si scontrano con la ricerca di ruoli poco standardizzati, dei quali non si conoscono le core skills. Per questo motivo, la Ricerca 2018 – spiega Piva – ha approfondito il tema delle figure professionali non soltanto attraverso i dati di diffusione, ma anche attraverso l’analisi delle offerte di lavoro presenti su Linkedin, al fine di ottenere insight più qualitativi sulle principali competenze e attività svolte” . Queste le principali evidenze emerse:

Data Scientist – La figura del Data Scientist ha ormai superato la fase di hype e sta entrando nel concreto dell’attività quotidiana di molte aziende. Nel 2018, il dato sulla diffusione di questo ruolo all’interno delle grandi organizzazioni registra un ulteriore, seppur leggero, incremento. Le grandi aziende che hanno al proprio interno, formalizzata o meno, almeno una figura di Data Scientist sono il 46% (+1% rispetto al 2017).

Data Engineer – L’estrazione e la consegna degli insight sono vincolate a una serie di attività preliminari che consistono nella progettazione dell’infrastruttura e nella costruzione e manutenzione della data pipeline. Tali operazioni sono responsabilità del Data Engineer, ruolo di assoluta rilevanza, a lungo sottovalutato a favore del più popolare Data Scientist. Nel 2018, il 42% delle grandi aziende italiane dichiara di avere al proprio interno un Data Engineer.

Data Analyst – Il Data Analyst, che si occupa di ricercare evidenze quantitative all’interno di grandi moli di dati, supportando in tal mondo le decisioni di business, è presente nel 56% delle grandi aziende italiane e circa la metà (44%) delle aziende che non hanno ancora questa figura prevede di inserirla entro il 2019.

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