Come rimanere competitivi nell’era della digital transformation e della data driven economy? Durante i Digital360 Awards 2018 Marco Pozzoni, Country sales director, NetApp Italia ha disegnato l’identikit dell’azienda “Data Thrivers”, l’azienda cioè, dice Pozzoni, “in grado di sfruttare meglio la digital transformation, che magari è partita prima dei competitor nell’intraprendere un percorso di digitalizzazione e che è stata in grado, nel proprio mercato, di creare una certa disruption”.
Questo identikit, che si sostanzia in un elenco delle caratteristiche che accomunano i Data Thrivers, indipendentemente dal verticale in cui operano, è stato tracciato da NetApp attraverso la collaborazione con IDC; “Un recente studio che abbiamo commissionato per indagare il grado di maturità di 800 aziende medio-grandi Usa ed europee e capire quali sono le ‘chiavi di successo’ di quelle che hanno dimostrato di saper sfruttare meglio la digital transformation”.
Aziende “Data Thrivers”: le chiavi di successo
Ecco dunque l’identikit descritto, tenendo presente che delle aziende prese in esame nello studio solo l’11% è risultato “Data Thrivers”, ed è dunque provvisto delle seguenti “chiavi di successo”:
- I dati sono diffusi in modo uniforme in tutta l’organizzazione e non centralizzati nel data center come tradizionalmente avviene: “Significa avere una strategia per il management del dato il più possibile olistica: indipendentemente dalla fisicità del dato stesso [ovvero a prescindere da dove questo effettivamente risiede-ndr], bisogna essere in grado di accedervi e gestirlo in maniera completamente seamless [senza soluzione di continuità-ndr]”, dice il manager. I Data Thrivers in sostanza sfruttano database on premise, cloud pubblici e privati in modo intelligente e sono in grado di armonizzare questa infrastruttura ibrida in modo tale che gli utenti possano lavorare con tutte le informazioni che circolano nell’azienda mantenendo una user experience ottimale.
- I dati sono considerati un asset; è una sottolineatura non scontata se si considera, come spiega Pozzoni, che “ancora molte imprese, anche quando hanno un database abbastanza consolidato, non hanno persone al loro interno capaci di estrapolare informazioni davvero utili dai propri dati”. Il tema è dunque anche di competenze, oltre che di tecnologie.
- IT e Business lavorano all’unisono: l’IT manager è in grado di dialogare con le Lob e capire, insieme a queste, come trarre valore dai dati raccolti, quali informazioni è utile estrapolare; questa capacità di dialogo, di scambio, e in generale l’approccio culturale e organizzativo dell’azienda volto a favorire la cooperazione tra le diverse aree aziendali, è sempre ben consolidato nei Data Thrivers.
- “Data maps” per ottenere visibilità e controllo sui dati stessi: nel loro cooperare IT e Lob devono “definire delle ‘mappe’ in grado di offrire una migliore visibilità e un miglior controllo su tutta l’infrastruttura [e sullo stato dei dati all’interno di questa infrastruttura-ndr]; è un passaggio indispensabile per poter portare avanti progetti in ambito analytics, big data, AI, basati sull’elaborazione dei dati.
- La qualità dei dati è una priorità: “È un punto fondamentale – dice Pozzoni – Non basta ‘avere tanti dati’; a monte l’impresa si deve assicurare che questi siano di qualità; perché di fatto ‘posso recuperarne quanti voglio’ da Facebook e Twitter, ma se poi non si riesce ad aggregarli e fare un cleaning attento, di fatto rimane solo una marea di informazioni molto scadenti”.
I Data Thrivers, grazie al loro approccio, riescono a ottenere risultati decisamente migliori rispetto alle aziende che non hanno altrettanta abilità nel gestire dati e processi correlati, sia in termini di capacità di acquisire nuovi clienti sia di efficienza operativa e crescita delle revenue (figura 1).
E tuttavia sono ancora molte le realtà che possiamo far rientrare nelle categorie definite dallo studio IDC “Resisters” e “Survivors” (il 52% del panel, figura 2 e figura 3), entrambe prive di una strategia di business allineata alla digital transformation, sebbene con gradi di consapevolezza diversi rispetto all’urgenza di elaborarne una.
Per queste realtà può essere utile, oltre all’elenco fatto, la figura 4, contenuta nel report IDC “Data-driven DX Framework”, con i consigli della società di ricerca per una trasformazione su più livelli che coinvolge le persone, i processi e le tecnologie.
NetApp: all-flash, servizi cloud, HCI
Sul piano tecnologico come cambia l’infrastruttura delle aziende che si aprono alla Digital trasformation per favorire una gestione ottimale dei dati? L’as a service (in chiave Iaas, Paas e Saas) e l’hybrid cloud sono una tendenza ormai consolidata (figura 5), tendenza che NetApp, (vendor che sempre più si sta smarcando dall’identificazione come fornitore di Nas-Network attached system, ambito in cui l’azienda è nata) ha accolto e sviluppato negli ultimi anni; NetApp oggi si posiziona come vendor di tecnologia con un’offerta che spazia dai sistemi all-flash a quella dei servizi cloud, passando per l’HCI, Hyperconvergence Infrastructure.
Con questo “cambio di pelle” il vendor segue le tendenze di mercato che vedono queste soluzioni diffondersi e quelle di networked storage ridursi, come ben rappresentato dalla figura 6.
“Già da 3 anni a questa parte NetApp ha deciso di adottare un nuovo ‘mantra’ che definiamo ‘Data Fabric’ – commenta Pozzoni – Indipendentemente da dove siano posizionati i dati, in un data center on premise, piuttosto che in un cloud privato o pubblico [Google, Microsoft, Amazon sono tutti partner NetApp-ndr] il nostro obiettivo è mettere in campo un approccio edge-to core-to cloud per cui l’utente non si deve più preoccupare di dove si trova l’informazione, semplicemente deve fare in modo che questa sia sempre disponibile e accessibile”.