Nell’attuale contesto di trasformazione digitale e passaggio in quella che molti analisti chiamano quarta rivoluzione industriale, il data scientist sta emergendo come la figura professionale più importante per dare valore ai dati aziendali. Non è infatti uno scherzo rendere utili i dati che, in quantità sempre maggiori, l’azienda acquisisce ogni giorno dai moderni sistemi di fabbrica, dagli impianti distribuiti sul territorio, dai sensori IoT integrati nei prodotti consumer, così come dalle interazioni che i clienti hanno con i canali di contatto: negozi, call center, app mobili, siti web e di e-commerce.
Ai dati generati all’interno dell’azienda si aggiungono inoltre i dati provenienti da molteplici fonti esterne, sia pubbliche sia a pagamento. È il caso, per esempio, dei dati demografici e geospaziali che possono essere impiegati per ottimizzare la distribuzione dei prodotti così come i budget delle campagne di pubblicità sul territorio. Non vanno dimenticati i dati testuali contenuti in e-mail, blog e discussioni social, molto importanti per conoscere il gradimento dei clienti sui marchi e prodotti dell’azienda e dei concorrenti e poter decidere le azioni più efficaci.
Il data scientist di per sé non è una figura nuova, ma l’evoluzione degli analytics e la forza dirompente dei big data hanno messo in luce un problema di competenze. Le competenze di data/business analyst ‘tradizionali’, dove la conoscenza del dato e l’attività di analisi sono indirizzate a determinare i requisiti di business che alimentano i sistemi di reporting, di dashboarding, di analisi Olap, ecc., tendono a non essere più sufficienti in scenari aziendali e di mercato molto complessi e dinamici, dove il concetto stesso di business requirement sfuma e non ha senso ragionare su schemi predeterminati ma, piuttosto, sulla comprensione/analisi della complessità ragionando, in termini di decision making, sulla previsione e anticipazione.
Competenze del data scientist: cosa deve sapere
Cominciamo a dire cosa non sono i data scientist: non sono una ‘banale’ evoluzione dei business analyst; non sono data o information manager; non sono business o marketing startegist; non sono management controller o responsabili business intelligence… non sono nulla di ciò che l’IT conoscesse prima del loro ‘arrivo’ sulla scena.
Oggi sappiamo bene che i data scientist devono avere competenze di carattere economico e tecnico più elevate e hanno una capacità doppia di applicare algoritmi avanzati ai dati, ma anche un’abilità nell’elaborazione di decisioni di business basate su quei dati superiore a quella delle altre figure professionali oggi conosciute.
Queste persone devono avere una buona competenza statistica, conoscenze e capacità It, abilità di business; questa esigenza potrebbe far pensare che non sia cambiato nulla rispetto alle figure di data/business analyst che comunque devono coniugare esattamente questi tre differenti ambiti di competenza. In realtà, stiamo parlando di figure completamente diverse perché differente è il peso della conoscenza di ciascuna disciplina.
Per svolgere il proprio lavoro, il data scientist deve quindi unire le competenze matematiche e statistiche con quelle tecniche e di programmazione necessarie per interrogare e rendere fruibili le basi dati. Deve sapere come tradurre in algoritmi analitici le richieste di informazioni che servono al business per rendere l’azienda competitiva sui mercati tradizionali e digitali. Alle conoscenze di linguaggi come SQL, R e di ambienti d’analisi big data come Hadoop e Spark, il data scientist deve oggi affiancare l’esperienza con le piattaforme di servizi analitici in cloud e con le tecniche emergenti di machine learning (ML) e intelligenza artificiale (AI).
Infine, i data scientist devono avere delle abilità di business , questo perché le dinamiche aziendali di oggi e la complessità entro cui si muovono, sia sotto il profilo organizzativo/gestionale sia dal punto di vista del go e time to market, sono elementi che non hanno paragoni con il passato e sono suscettibili di mutamenti e revisioni continue. “Ecco perché è di estrema rilevanza la provenienza di questi data scientist – osserva Paolo Pasini, Associate Professor of Practice, Information Systems and IT Management di SDA Bocconi – se provengono dal marketing strategico, per fare un esempio, per cui sono già abituati a nuove dinamiche internazionali di digital and social marketing, a lavorare congiuntamente con le line of business e il management, e si arricchiscono delle competenze statistiche e It, hanno buone probabilità di sopravvivenza. Al contrario, chi proviene dal mondo matematico/statistico o It ha davanti a sé una ‘complessità mostruosa’ nel comprendere le dinamiche di business e di mercato, quindi non rappresenta probabilmente la figura più adatta a ricoprire il ruolo di data scientist”.
Come mettere ML e AI al servizio di questa figura
ML e AI sono oggi le risorse più importanti per riuscire ad aumentare il livello di automazione nei processi d’impresa e realizzare attività che richiedono decisioni in tempo reale, basate sui dati. È il caso, per esempio, dei servizi di manutenzione preventiva, realizzati inviando i team d’assistenza laddove un impianto, un sistema di produzione o un apparato cliente stia manifestando i segni premonitori di un guasto, in base all’esperienza già acquisita ed elaborata da sistemi ML.
Allo stesso modo, algoritmi intelligenti, addestrati con gli esiti delle transazioni già realizzate, decidono in tempo reale quali sconti e opzioni di cross-selling proporre al cliente durante la navigazione del sito di e-commerce aziendale, riducendo l’invasività delle proposte e garantendo i più alti tassi di conversione.
AI e ML sono inoltre utili al lavoro del data scientist e alla fruizione dei dati. Operazioni di estrazione e di pulizia dei dati provenienti da fonti diverse richiedono operazioni manuali, che assorbono al data scientist gran parte del tempo, possono oggi essere in parte automatizzate, grazie alle capacità interpretative e di trasformazione dei dati di sui sono dotate le più recenti piattaforme analitiche.
La maturità delle tecniche di AI/ML applicate alla comprensione del linguaggio naturale, sia testuale (nelle chatbot) sia parlato, rendono fruibili dati analitici e indicatori di performance (KPI) in tempo reale in modo più semplice e direttamente ai fruitori come, per esempio, un team di vendita o il board aziendale impegnati in riunione. Capacità sofisticate di AI applicate al riconoscimento delle immagini e dei flussi video provenienti dalle telecamere, rendono possibile contare quante persone si soffermano davanti a una vetrina o entrano in un negozio, esaminare le espressioni facciali, le caratteristiche relative a sesso, età e interesse verso specifici prodotti. Informazioni di cui l’azienda può oggi disporre e che il data scientist può elaborare per renderle di grande valore per strategie e azioni di business.
Come diventare data scientist: corsi e formazione
Stiamo parlando, in sostanza, di figure ‘molto ricche’ sul piano delle competenze, quindi anche difficilmente reperibili. “Si tratta di persone che, negli Stati Uniti, lavorano a fianco dei CEO, hanno un MBA nel curriculum e ottime capacità imprenditoriali e manageriali. Persone inserite nel top management aziendale (quindi anche con stipendi elevati) e presenti nel board”, precisa Pasini. “In Europa e in Italia si sono delineati solo da qualche anno i percorsi formativi adeguati”.
“La formazione deve modellarsi in un mix armonico ed equilibrato di discipline orientate in particolar modo al business management con un’importante inclinazione allo sviluppo e potenziamento delle capacità analitiche, privilegiando però la trasversalità di vari domini di conoscenza piuttosto che la specializzazione profonda”, conclude Pasini.
Ed è proprio la mancanza di competenze adeguate il fattore discriminante numero uno che impedisce alle aziende di cogliere, per esempio, le opportunità offerte dai big data e dall’analisi e comprensione della complessità dei mercati.