Fondata nel 1936 a Varese dai fratelli Arnaldo, Luigi ed Ermanno Bassani come ‘Ticino Interruttori Elettrici’, in origine per produrre minuterie metalliche destinate a impieghi vari e dal 1948 specializzatasi nel campo dei componenti elettrici per abitazioni, l’azienda conosce una crescita rapida e continua, sull’onda di una domanda che dalla prima ricostruzione postbellica si salda a un boom edilizio che, in Italia, prosegue con poche oscillazioni sino a tempi a noi vicini. Nel 1989 la ‘Bassani Ticino’, come dal ’74 si era poi chiamata, entra infine far parte del gruppo francese Legrand e adotta il nome con il quale da più di 25 anni è universalmente conosciuta, cioè BTicino, dove la ‘B’ iniziale resta a ricordare i fratelli fondatori.
Per quanto faccia parte di un gruppo multinazionale da 4,5 miliardi di euro e sia presente in una quantità di mercati esteri fra Europa, Sud America, Africa, Asia e Australia, la BTicino resta una realtà tutta italiana, con sede principale a Varese, dove tra tecnici, operai e impiegati amministrativi e commerciali lavorano circa 1200 persone, e stabilimenti e sedi operative in Lombardia (a Erba, Ospedaletto Lodigiano e Azzano San Paolo), in Piemonte, Abruzzo e Campania. La sua produzione copre praticamente tutto il settore degli apparati a bassa tensione, quelli che troviamo negli uffici e nelle case. Si parte dagli interruttori e deviatori, che con le prime serie ad incasso hanno fatto conoscere l’azienda negli anni ’50 e con quelle modulari hanno imposto negli anni ’60 concetti e misure (come la scatola rettangolare) divenuti standard di fatto. Poi vi sono i Salvavita, un brevetto del ’65 che da cinquant’anni è sinonimo di interruttore automatico differenziale. E, com’è naturale, vi sono le canaline e i quadri di controllo per piccoli e grandi impianti, che estendono questo tipo d’offerta sul piano per così dire orizzontale. Sul piano verticale invece, quello cioè delle funzioni, vi sono i dispositivi multifunzione, lanciati nell’85 con le serie Living e tecnologicamente rinnovati nel ’96 (Living International), per arrivare, nel 1998, a MyHome, il primo sistema che si può definire di domotica. Una strada che è stata in seguito potenziata integrando negli impianti elettrici i videocitofoni e che nel 2006, con l’adozione del protocollo OpenWebNet, si è aperta al controllo degli apparati domestici via internet anticipando, in un certo senso, l’era dell’Internet of Things.
Un sistema per far ordine in casa
Con un’offerta così ampia, e tenendo presente che ogni prodotto viene realizzato in numerose varianti di disegno, colori e materiali e che, in quanto fabbricante primario, di ogni singolo articolo a catalogo esiste una ‘distinta base’ che ne elenca tutti i più minuti componenti sino all’ultima rondella, è facile intuire come il numero dei codici da gestire e controllare per far marciare la supply chain, le linee di produzione, il magazzino e, ultimo ma più importante di tutti, la distribuzione e vendita, sia praticamente sterminato.
È il problema che si è trovato a dover risolvere Giuseppe Parola, che nel suo ruolo di direttore industriale della società è responsabile dell’andamento di otto siti di produzione, distribuiti in varie località, che sono specializzati per prodotto e quindi fanno cose diverse con diverse tecnologie. “Quando sono rientrato in Italia [dopo cinque anni come country manager dell’Australia – ndr], la prima cosa che ho notato è che mi arrivavano otto report diversi sul prodotto del giorno prima, che il report dell’efficienza mi arrivava un mese dopo, quando non serviva più, e, in breve, che tutti i dati di cui avrei avuto bisogno erano lenti nell’aggiornamento, non standardizzati tra un sito e l’altro e spesso in formati dove il drill down era impossibile. Si è partiti quindi con l’idea di avere un report standardizzato per ogni sito, aggiornato quotidianamente, e sul quale si potessero fare drill down e analisi aggregate. Da qui ci siamo poi, per così dire, allargati cercando di avere oltre al dashbord uno strumento di analisi”. Uno strumento, aggiunge Parola, che evitasse il proliferare delle soluzioni fai-da-te e garantisse l’unicità del dato.
Nello stendere i requisiti per quello che sarà l’Operations Dashboard di Bticino sono state coinvolte più funzioni (logistica, acquisti, qualità e finanza tra le principali) per decidere quanto doveva essere compreso nelle schermate del sistema di analisi, cercando di riutilizzare e condividere quanto già fatto e tenendo presente che le basi dati c’erano già, fornite dall’Erp e da un data warehouse costruito negli anni e che, ricorda Parola “…è stato portato su più data mart per rendere più performante il sistema. Per sviluppare il report con l’occhio dell’utente e non con quello dell’informatico – prosegue il nostro interlocutore – ho scelto una persona del mio staff, un metodista, che in poche settimane ha disegnato un modello abbastanza completo, che comprende il prodotto di ieri, le distinte base, i cicli, l’aggregato dei costi e dei dati di acquisto e quant’altro necessario per fare un’analisi su un certo sito piuttosto che su una certa famiglia di prodotti”.
Una fonte di produttività
La soluzione identificata si basa su QlikView, piattaforma analitica di ‘business discovery’, come la definisce il produttore Qlik, che presenta più di una particolarità. In primo luogo la sua tecnologia si basa sulla ricerca associativa, un principio che s’ispira ai meccanismi della nostra mente nell’associare nomi ed entità e che permette di strutturare le analisi in modo molto più flessibile che nel classico drill down. È inoltre possibile sviluppare in poche ore semplici applicazioni calibrate su specifiche necessità e facili da modificare, combinare e condividere con altri. Ciò può essere fatto anche dallo stesso utente finale, senza passare dall’It. Infine è possibile accedere ai dati e svolgervi analisi in profondità tramite dispositivi mobili. Quest’ultima interessante caratteristica è oggi alla base di un esperimento pilota avviato in un sito produttivo fornendo un device mobile (Apple iPad, nel caso) a chi opera in reparto. Oggi però gli utenti sono limitati a figure di più alto livello: responsabili di sito e loro assistenti, responsabili e assistenti di produzione, metodisti e ingegneri di produzione e poi pianificatori e acquisitori. Un centinaio di persone in tutto.
L’implementazione della piattaforma analitica è stata interamente realizzata in casa, dall’It BTicino, a parte qualche suggerimento del fornitore per renderla più performante in modo da velocizzare operazioni di analisi e visualizzazione che, come s’è detto, considerano una grande quantità di elementi. Non vi è stato alcun problema tecnologico e dopo sei mesi di testing il sistema è da tre mesi entrato in produzione in tutti gli stabilimenti. Poco per avere un riscontro oggettivo sui risultati ma abbastanza per avere un buon feeling: “Qualcosa – dice Parola – già si può vedere”. Non è poi escluso, come del resto era già stato ipotizzato e analizzato sin dalle prime fasi di selezione del prodotto, che la piattaforma QlikView venga estesa dalla produzione ad altri ambiti aziendali.
Diverso il discorso per il cambiamento culturale, che ha invece creato qualche difficoltà. “Quella più banale – spiega Parola – è data dall’indurre all’uso della tecnologia persone non abituate a lavorare con i dati. Occorre alzarne il livello di professionalità insegnando loro che i fenomeni vanno circostanziati, un concetto ovvio ma che non è scontato. Abbiamo però gente giovane che può imparare. Piuttosto, è importante per tutti capire cosa si può fare con uno strumento del genere e a cosa può servire, un compito facile per la parte dashboard, più complesso per la parte analisi”.
In effetti, saper usare bene uno strumento che per creare vero valore comporta, come giustamente notato, non solo la conoscenza del ‘come’ fare ma anche e soprattutto quella del ‘cosa’ fare, non s’impara in un giorno. Ma anche considerando solo il cammino fatto, nell’esperienza di BTicino l’applicazione dell’analisi alla produzione si traduce, conclude Parola, “in una sorgente di produttività, perché nel momento in cui, dal confronto tra benchmarking e dati attuali o da qualsiasi altra informazione rilevo delle incoerenze, lo strumento stesso mi dà subito l’idea di dove andare ad indagare e se intervenire per un miglioramento”.