Business Intelligence: gioie e dolori

La Business intelligence piace alle aziende ma le barriere sono ancora molte. Come analizzare e interpretare correttamente i dati perché risultino davvero utili? Se ne è parlato al Business Analytics Gallery, l’evento di Sas Institute

Pubblicato il 28 Lug 2008

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ROMA – Nei workshop dedicati alla Business Intelligence, spesso emerge come sia difficile per il top management estrarre contenuti in grado di supportare adeguatamente tutte le fasi del processo decisionale. Il disagio diventa progressivamente più evidente con l’aumentare dei dati aziendali, che, se non correttamente integrati nei processi di business, rischiano perfino di determinare strategie sbagliate.
In questo scenario, i benefici derivanti dagli strumenti evoluti di Bi e dalle analisi predittive sono apprezzati da manager ed imprenditori. Eppure, nonostante i ritorni siano convincenti ed i rischi limitati, per sviluppare nuovi progetti, applicando modelli matematico-statistici (Analytics), occorre superare resistenze e barriere. Degli ostacoli incontrati nel processo di diffusione della Bi si è discusso durante la seconda edizione dell’evento “Business Analytics Gallery”, organizzato a Roma da Sas Institute (www.sas.com), la company americana a capitale privato, fondata dal professore di statistica Jim Goodnight oltre trenta anni fa.
Nell’introdurre il dibattito “Il manager e l’analisi dei dati: sogno o incubo ?”, Walter Lanzani, direttore marketing della società italiana, ha sottolineato come “l’idea di Sas di competere sugli Analytics non è nuova; è invece unica la scelta di integrare in un solo ambiente dati e rappresentazioni (dalla recente partnership con Teradata è scaturita la piattaforma It con le funzioni analitiche incapsulate direttamente nei server proprietari)”.
“I vantaggi sono molteplici, ad iniziare dall’aumento dell’integrità dei dati e dell’efficienza dei processi, fino alla rapidità del rilascio in produzione”, spiega Lanzani. “Per capitalizzare le esperienze di Bi, Sas ha costituito i Competency Center, gruppi di lavoro specializzati che operano direttamente presso le aziende clienti supportando i manager nell’ottenere una migliore conoscenza dei processi aziendali, scoprire nuovi trend, individuare le decisioni giuste e massimizzare il ritorno degli investimenti”.
Alcuni dirigenti, tuttavia, risultano piuttosto “ancorati ai modelli decisionali di successo del passato e hanno paura delle novità” ha notato Fulvia Bertaccini, executive & corporate coach di Organization Development Consultant (www.orgdct.com). “Essi temono particolarmente che, tra le conseguenze del cambiamento, vi sia anche una svalutazione del proprio ruolo all’interno dell’azienda. Preoccupazioni simili, certamente condivisibili e comprensibili, diventano inconsistenti appena però si rileva il valore aggiunto determinato dall’adozione di modelli innovativi”.
Significativo, in tal senso, il caso Unicredit (www.unicreditbanca.it). Natalia Vai, vice direttore generale Unicredit Processes & Administration, ha descritto come, nella loro esperienza, sono stati modificati i modelli culturali interni e “vinti i sospetti nei confronti di un eccesso di informazione e di controllo”.
“Poiché in realtà ad usufruire della Bi era anche il front-office – spiega Vai, – per tutti gli skill è stato necessario facilitarne l’accesso, personalizzando le interfacce e gestendo la prolificazione dei modelli con una visualizzazione grafica intuitiva delle statistiche. Migliorando la distribuzione delle informazioni, le persone hanno acquisito consapevolezza e sono diventate utenti più evoluti”, commenta Vai. “Nel nostro caso, la grande quantità di dati ed il loro ciclo di vita sono stati convertiti in conoscenza”.
L’esigenza di interpretare i dati e di capire certi fenomeni, con chiarezza e velocemente, è ricorrente nelle aziende sia pubbliche sia private. A volte le competenze per esaminare i dati sono già presenti nelle grandi imprese, ma, come ha osservato Antonella Dassiè, senior consultant Analytic Consulting The Nielsen Company (www.nielsen.com), “è sempre meglio evitare la definizione di modelli troppo complessi. Il cambiamento, infatti, a volte è considerato come una minaccia e può trasformarsi in un incubo che ingessa ogni innovazione”.

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