Come massimizzare il capitale informativo aziendale. Per creare valore

A fronte delle sfide imposte dalla crescente complessità del mondo in cui oggi operano le imprese, la business intelligence si è evoluta e offre soluzioni in grado di svolgere analisi storiche e predittive su enormi volumi di dati da fonti e in formati eterogenei e di farlo a grandissima velocità. Ma per rendere la tecnologia un fattore di profitto e competitività occorre integrare i dati disponibili moltiplicandone il valore informativo e organizzarsi in modo da poter trasferire tale valore nelle attività aziendali.

Pubblicato il 10 Giu 2013

“La capacità di gestire la complessità che investe le imprese e la funzione It si esplica a tre diversi livelli" ha esordito Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, nell’introdurre l’incontro con gli utenti che, formulato come “Executive Cocktail” e sotto il titolo Massimizzare e integrare l’intelligence per creare valore, si è svolto a metà maggio a Milano in collaborazione con Information Builders. Di questi tre livelli, il primo è tecnologico, dato dalla complessità dei sistemi informativi e da fenomeni nuovi, come la consumerizzazione dell’It (tipo la pratica del Byod, ‘bring your own device’ in risposta alle esigenze di mobilità), che vi stanno confluendo. Esiste poi una complessità nella capacità di competere, che nasce dalle differenti strategie e dalla velocità di reazione e di esecuzione necessaria per cogliere le opportunità date da mercati e supply chain volubili e globalizzate. E c’è infine una complessità a livello organizzativo, che si articola nella gestione della struttura aziendale, delle risorse umane, della rete dei partner e, soprattutto, dei clienti e che vede, anche qui, il diffondersi di nuovi modi e strumenti per comunicare e collaborare.

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Tutti questi elementi di complessità hanno un denominatore comune: quello di esplicarsi in forma nativa digitale o di essere fortemente digitalizzabili. “È un mondo di dati che – prosegue Uberti Foppa – danno corpo alla nuova economia dell’Informazione, cioè alla capacità di articolare strategie e creare nuove opportunità di business (poiché questo è il nostro ambito) sfruttando, tramite un’organizzazione adeguata, le informazioni generate da tecnologie d’intelligenza e analisi”. Non è, questa, una realtà che sia sfuggita ai Cio e lo prova il fatto che in un comparto software stagnante, l’unico settore in crescita (del 4,2% con proiezione al 4,6% secondo Idc) sia appunto quello delle Analytics. “Ma oltre a potenti tecnologie capaci di mostrare opportunità o inefficienze nascoste – ha concluso Uberti Foppa – serve anche una nuova mentalità.

Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno

Una cultura di ricerca e analisi che non nasce dalla predisposizione o dalle doti professionali del singolo, ma dalla capacità dell’intera organizzazione aziendale di trasmetterla, con un organico disegno di diffusione, presso tutti coloro che sono chiamati a farne uso”.

La parola è quindi passata a Paolo Pasini, responsabile dell’unità Sistemi Informativi della SDA Bocconi, nonché direttore dell’Osservatorio Business Intelligence, il cui intervento è stato centrato su un tema oggi molto “caldo”, cioè la relazione tra i Big Data e il valore che questi possono dare all’azienda. Dopo avere premesso che l’analisi di dati aventi crescenti caratteristiche di volume, varietà di fonti e formati e velocità di raccolta, elaborazione e analisi costituisce il quarto e più alto grado di maturità nell’uso della BI in azienda (dopo l’analisi dei dati finanziari-transazionali, di quelli di vario tipo ma comunque strutturati e di quelli non strutturati), Pasini ha parlato dell’origine e dello sviluppo dei Big Data e ha elencato le principali fonti da cui proverrebbero, secondo un’indagine svolta di recente dall’Osservatorio BI su oltre 200 Cio e It manager d’imprese italiane, quei dati in grado di creare valore per il business.

Paolo Pasini, responsabile dell’unità Sistemi Informativi della SDA Bocconi, nonché direttore dell’Osservatorio Business Intelligence

Non sorprendentemente, al primo posto (54% delle citazioni) vi sono i social network e i social media, seguiti però quasi alla pari (52%) dai documenti digitalizzati e quindi (46 e 40%) dalle e-mail e dai dati transazionali, a dimostrare che la ricerca di conoscenza fa leva anche sui dati interni all’impresa. L’ordine riflette i benefici attesi, che sono in primo luogo poter meglio servire il business grazie alla possibilità di conoscere e prevedere il comportamento di clienti e mercati instabili. Poi poter costruire una piattaforma informativa che superi i limiti del classico Edw e permetta di integrare e analizzare velocemente grandi volumi di dati, strutturati e non, dando una visione approfondita della situazione trascorsa, di quella in atto e dei suoi sviluppi. Un punto che Pasini ha definito “cruciale” per creare quella “cultura di ricerca” invocata da Uberti Foppa, è il ruolo del management. Per quanto il Cio sia la figura più citata come prima interessata e responsabile d’una strategia d’analisi dei Big data, un quinto degli intervistati (che, ricordiamo, erano essi stessi Cio) ha sostenuto la necessità di un comitato interfunzionale. Una struttura che non a caso è risultata alla base di tutte le 25 case history studiate dall’Osservatorio e di cui il Cio era solo uno dei membri, assieme ai responsabili marketing, finance, produzione e altro, a seconda del settore d’impresa.

Rado Kotorov, Chief Innovation Officer di Information Builders

La tecnologia è tornata alla ribalta con l’intervento di Rado Kotorov, Chief Innovation Officer di Information Builders, software house di BI e Data Integration, sponsor dell'iniziativa di ZeroUno. Dopo una breve premessa sull’enorme valore delle informazioni per l’impresa, Kotorov ha fatto notare come in un qualsiasi processo di business chiunque vi sia coinvolto, all’interno come all’esterno dell’azienda (partner, clienti e fornitori), si trovi a prendere decisioni. Che saranno più o meno complesse a seconda dei diversi compiti e ruoli, ma che devono comunque potersi basare su informazioni tempestive, affidabili e accurate. Perché ciò sia possibile, massimizzando il valore del capitale informativo, occorre far leva sui fattori tecnologici abilitanti, che Kotorov identifica nelle tre “I” dell’integrazione delle fonti, della integrità dei dati e della intelligence (leggi: analisi) applicata, limitando il peso dei paralleli fattori inibitori, ossia la difficile accessibilità, l’incerta attendibilità e la complessità nell’uso delle analisi. Tali elementi, infatti, ostacolano l’adozione della Bi presso gli utenti inesperti, che, osserva Kotorov, sono poi il 70% di tutti quelli che, invece, avrebbero bisogno di utilizzarla.

Pur entro i limiti di tempo imposti dalla formula del “cocktail”, il dibattito, come sempre condotto da Uberti Foppa, tra i convenuti (oltre una ventina, quasi tutti Cio e It manager di altrettante imprese) e i relatori ha registrato interventi ricchi di contenuto. Diversi i temi affrontati, ma quello che più di altri ha tenuto banco è stato il difficile rapporto tra It e business soprattutto in un momento di profonda e rapida trasformazione come l'attuale. Un problema legato alla cultura aziendale e all’estrazione delle singole persone e molto sentito. E soprattutto un problema la cui criticità per il successo di ogni progetto di intelligence sui dati (non necessariamente big, ma anche solo diversi dai soliti) è stata evidenziata da quasi tutti i presenti, che pur essendo uomini It non hanno esitato a mettersi in discussione, ammettendo l’attuale egemonia del business nella promozione e guida dei progetti. Secondo Carlo Wolter, Cio e Amministratore Unico di Tecnimex, “Troppo spesso si bada al prodotto senza né capire il processo in cui va calato né verificare, oltre al significato del dato elaborato, il grado di comprensione e di utilizzo che potrà farne la persona cui è destinato”. E lo stesso vale per la scelta tra strumenti di analisi flessibili e manipolabili dall’utente e applicazioni che diano risultati già elaborati: “A un operatore può bastare una luce rossa o verde o due parole su un monitor, piuttosto che una videata d’informazioni che lo distragga dal lavoro”. Per altri utenti e altre decisioni, ovviamente non è così. “Ma questo non s’impara da nessuna parte e – conclude Wolter – spesso l’It, pur conoscendo molto bene gli strumenti, non ha la visione delle reali esigenze e da sola non sa dove arrivare”.

“Tutto dipende – ha osservato Nguyen Van Danh, Data Manager di Ipas Research – da chi decide il processo. Ottimo sarebbe che l’It facesse da pilota al business, ma sia per le tecnologie sia per l’organizzazione i conflitti rimangono”. A volte solo perché strutture di potere consolidate non danno spazio a un’It con nuove idee e solo un forte impegno del top management può cambiare le cose. Severo il giudizio di un It Operation Manager non citabile, che prende ad esempio la propria realtà per denunciare una situazione diffusa d’iniziative di BI promosse da singoli reparti e incapaci pertanto di dare tutti quei vantaggi che potrebbero derivare da un progetto di livello enterprise, con l’integrazione di tutti i dati disponibili.

“In questo momento – conclude conclude il manager – è il business che guida perché l’It va a velocità ridotta”. Una risposta positiva è venuta da Annarosa Farina, Responsabile Applicazioni – Progetti e Gestione di Fondazione San Raffaele: “Dovendo continuamente incrociare diverse dimensioni dei dati, ogni gruppo di analisi che fa capo a un reparto ha a bordo un data manager, che è una figura estremamente importante esattamente a metà tra l’It e il famoso business, che per noi è il ricercatore, il medico, lo scienziato”.

A queste e altre analoghe osservazioni hanno risposto sia Pasini sia Kotorov. Il primo ha parlato della profonda diversità di cultura esistente tra l’uso delle informazioni in ambito Erp e applicazioni business, dove servono all’efficienza, e in ambito BI, dove invece ci si deve chiedere non come, ma cosa le informazioni permetteranno di fare meglio, il che tra l’altro ne rende il Roi indeterminabile a priori. Quanto a Kotorov, dopo aver giustamente osservato come il rapporto It-Lob dipenda più che altro dal tipo di business, ha proposto l’istituzione di figure delegate alla conoscenza e uso dei dati (Data Scientist, Analyst o come lo si voglia chiamare), raccomandando però di fare presto a decidere perché è una professionalità molto richiesta e si possono non trovare più le persone adatte.

Tra gli interventi che hanno trattato aspetti più legati alla tecnologia, si segnala quello di Paolo Bramati, It Manager Consumer Italy di GlaxoSmithKline, che dopo avere parlato dell’importanza delle analisi in tempo reale ha aggiunto: “Quello che porterà un gran vantaggio è l’integrazione della business analytics nelle applicazioni business. Non più un sistema che estrae i dati dall’Erp li elabora e li fornisce a parte, ma che operi all’interno del sistema principale”, per poter appunto valutare i dati in contemporanea e nel contesto delle operazioni (realtime – in memory computing – ndr). Conferma Maurizio Galandrino, Focal Point Sviluppo e gestione architetture applicative e di integrazione di Snam Rete Gas, secondo il quale in realtà molto distribuite e poco “Erp-centriche” la necessità di avere informazioni in tempo reale o quasi verrà proprio dalle analisi in-memory o altre tecnologie di BI avanzate. Anche perché: “L’Erp è un elemento fondamentale della catena del dato; peccato però che questo venga estratto e manipolato a valle del processo in cui è usato mentre al business occorre averne una visione complessiva”. Interessanti infine due interventi che hanno esposto aspetti inerenti la realizzazione dei progetti di BI. Gianbattista Angelini, It Head of customer order management di Fastweb, a proposito della difficoltà di ottenere investimenti in progetti dal ritorno non facilmente calcolabile, ha parlato della possibilità di valutare soluzioni cloud “che permettono di partire con un investimento contenuto, dopo il quale scalare nel momento in cui si è convinti del risultato”. Mentre Marco Valioni, responsabile service management e Ict Governance di Sia, ha citato la possibile funzione del vendor (in genere e non solo di BI) quale intermediario nel dialogo tra business e It, aiutando quest’ultima a riprendere il proprio ruolo di "propositore" di valore. Una “chiamata in causa” alla quale Kotorov ha prontamente risposto dichiarando come il colmare il gap esistente tra business e it sia proprio uno dei compiti più complessi cui i vendor oggi devono essere davvero preparati.

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