Qualcuno ha sostenuto che il momento più critico di una rivoluzione non è tanto il suo inizio, ma quello in cui raggiunge gli obiettivi che si era prefissati. La cosiddetta ‘rivoluzione digitale’ è sicuramente un notevole esempio di questo assunto, se è vero ciò che affermano i ricercatori dell’Università di Berkeley (California) i quali, dopo aver stimato i numeri che misurano l’esplosione dei dati che caratterizza l’era in cui viviamo, sono giunti alla conclusione che nel corso degli ultimi quattro anni non solo è stata generata più informazione di quanto non sia accaduto in tutta la precedente storia dell’umanità, ma che oltre il 90% di questa informazione è stata prodotta direttamente sotto forma di ‘bit’.
Anche la continua evoluzione dei mezzi di comunicazione sta accelerando la trasformazione dei cosiddetti ‘contenuti’ dai tradizionali formati analogici a quelli digitali. Ognuno di essi – che riguardino la televisione o la radio, il cinema o la stampa, per non parlare di Internet – vede ormai una o più fasi della loro produzione passare attraverso qualche forma di elaborazione digitale. Ma c’è di più. Anche se il volume dei dati memorizzati in forma digitale avrebbe ormai superato – secondo chi ha fatto questi calcoli – la decina di milioni di terabyte (un terabyte vale 1000 gigabyte), ve ne sarebbe una quantità alcune migliaia di volte maggiore, ancora di tipo analogico, che si sta seriamente pensando di convertire.
La rivoluzione digitale sembrerebbe insomma aver raggiunto i suoi obiettivi, con una non trascurabile conseguenza tuttavia: tra i maggiori problemi che si dovranno affrontare (e risolvere) nel corso dei prossimi anni, non vi sarà tanto quello del poter disporre dei dati necessari a supportare le diverse attività umane, quanto quello del come far fronte alla loro enorme abbondanza.
La vera sfida consisterà quindi nel riuscire a mettere a punto le tecnologie e gli strumenti che permetteranno di sfruttare tutto ciò che di utile – in termini di informazione e di conoscenza – è contenuto nei dati in tutte le forme in cui si possono presentare: numeri, testi, suoni, immagini fisse e in movimento. Degli strumenti e delle tecnologie che consentiranno cioè di memorizzarli, accedervi, spostarli, manipolarli e proteggerli. Di quelle che permetteranno di selezionarli, descriverli, valutarli e analizzarli. E, infine, di quelle che consentiranno di presentarli in modo tale da migliorare la nostra capacità di comprenderli e utilizzarli.
L’altro aspetto rilevante del problema, qualora lo si consideri da un punto di vista più strettamente aziendale, è che – come affermano concordemente gli analisti – l’80% delle attività di business si baserebbe su dati e informazioni non strutturate (Gartner), che l’85% dei dati verrebbe ormai archiviato in formati di tipo non strutturato (Butler Group), e che il volume dei contenuti non strutturati starebbe crescendo, a seconda del settore di industria, con tassi annui che vanno dal 65% al 200% (Gartner).
L’ascesa dell’Enterprise Content Management
A causa tuttavia della loro intrinseca natura, i dati non strutturati non solo sono difficilmente classificabili in modo efficiente, ma spesso non è neppure così semplice capire qual è il loro reale valore, rendendone di conseguenza problematico l’utilizzo nei normali processi di business.
Inoltre, se per quanto riguarda i dati strutturati esiste ormai un’offerta di strumenti e di soluzioni ampia e differenziata, per quelli che non lo sono la proposta è per il momento meno estesa, anche se negli ultimi anni l’interesse dei vendor (si veda il più recente ‘Magic Quadrant’ di Gartner in figura 1) per quest’area applicativa è andata crescendo, per cui si sta assistendo a un rapido sviluppo di un’intera categoria di software, costituita da prodotti apparentemente distinti ma in realtà tra loro correlati – di solito catalogati sotto la denominazione ‘ombrello’ di Enterprise Content Management (Ecm) – che rispondono ai nomi di Enterprise Document Management (Edm), Web Content Management (Wcm), Digital Asset Management (Dam), Enterprise Records Management (Erm), Collaboration Content Management (Ccm) ed Enterprise Portal.
In effetti il mercato dell’Enterprise Content Management considerato nella sua globalità, comprendendo quindi l’insieme dei software per la gestione dei contenuti, quelli relativi al loro accesso attraverso i portali, e includendo anche i relativi servizi e la manutenzione, alla fine del 2004 valeva circa 6,5 miliardi di dollari a livello mondiale, mentre il suo tasso di crescita nei prossimi anni viene stimato aggirarsi attorno al 12%. Per questo tipo di applicazioni, in realtà, non sta crescendo solo l’interesse dei vendor, ma anche quello delle aziende, come ha messo in evidenza la più recente edizione (pubblicata nel dicembre del 2004) dell’ormai tradizionale ‘Cio Survey’ di Morgan Stanley (www.morganstanley.com/institutional/techresearch) dalla quale risulta come, almeno negli Stati Uniti, il Content Management stia continuamente guadagnando posizioni nella scala delle priorità degli investimenti, posizionandosi ormai solo dopo la Security, il Crm, l’Application Integration e addirittura prima della Business Intelligence, a conferma della sempre maggiore attenzione che le aziende hanno nei confronti della gestione e della razionalizzazione del loro patrimonio informativo.
Tra le capacità di questi software vi sono infatti quelle di aggiungere ‘intelligenza’ ai diversi tipi di dati non strutturati, provvedendo a categorizzarli, collegarli, personalizzarli e proporli in modo mirato agli utilizzatori sulla base di specifici profili di interesse, o rendendone comunque l’accesso e l’estrazione rapida ed efficiente.
Altri software consentono invece di gestire i processi di esame, revisione a approvazione dei contenuti secondo regole predefinite, sfruttando per questo capacità di ‘workflow’ e di ‘information lifecycle management’. Altri infine offrono la possibilità di ‘pubblicare’ i ‘contenuti’ sui più diversi canali: pagine Web, documenti testuali, fax, messaggi destinati ad ogni tipo di dispositivi wireless.
In sostanza si tratta di software che, opportunamente combinati, sono in grado di gestire in modo più o meno completo quella che viene definita la catena del valore dei contenuti (‘content value chain’) la quale, partendo dalla creazione, che può comprendere anche la loro conversione dal formato analogico a quelli digitali, e dopo essere passata attraverso le diverse fasi sopra ricordate, giunge alla loro distribuzione finale.
Quadrante Magico delle soluzioni Ecm
Fonte: Gartner, 2004
Ecm ed esigenze di business
Ma come è possibile definire strategie di gestione dei contenuti capaci di tener presenti le molteplici esigenze di business delle aziende? In effetti, anche se la necessità di gestire in modo più efficiente i contenuti incomincia ad essere diffusamente riconosciuta, non sempre appare altrettanto evidente quali, tra le tecnologie e le soluzioni di Enterprise Content Management disponibili sul mercato, sia più opportuno adottare. Una difficoltà di scelta che è la conseguenza del non dover più considerare i dati e le informazioni non strutturate come sottoprodotti di limitato interesse delle varie attività aziendali, ma piuttosto come ‘asset’ dai quali ricavare benefici nettamente superiori rispetto a quelli ottenibili semplicemente ottimizzando la loro gestione.
In questa ottica le soluzioni possono essere anche estremamente diverse: dal migliorare il funzionamento di una ‘supply chain’ attraverso l’utilizzo di tecniche di ‘collaboration content management’ che coinvolgono in modo diretto le aziende produttrici e i loro fornitori, al predisporre la documentazione completa e articolata – che può essere costituita anche da decine di migliaia di pagine delle più svariate origini – che una casa farmaceutica deve sottoporre agli enti a ciò preposti per ottenere il nulla-osta alla commercializzazione di una nuova molecola. Senza dimenticare i complessi problemi di aggiornamento della documentazione tecnica che affliggono la maggior parte delle aziende manifatturiere, o quelli sostanzialmente analoghi riguardanti la creazione e la manutenzione dei cataloghi – magari anche on-line – delle aziende che operano nel settore della grande distribuzione.
Inoltre, accanto alle esigenze più tipicamente di business, a spingere le aziende all’utilizzo di applicazioni di content management, hanno avuto in questi ultimi tempi un ruolo determinante anche le recenti regolamentazioni in materia di trattamento delle informazioni, o quelle riguardanti la ‘corporate governance’ come il ‘Sarbanes-Oxley Act’ Usa, il ‘Combined Code on Corporate Governance’ britannico, o la direttiva dell’Unione Europea sul Market Abuse relativa alle situazioni di conflitto di interessi, o le normative attinenti il settore finanziario, come il ‘Basel II Capital Accord’. Regolamentazioni che, avendo in modo più o meno diretto un impatto sul ciclo di vita di dati e informazioni stanno inducendo le imprese ad avviare quei processi di ottimizzazione dei contenuti che, molto probabilmente, la sola ‘awarness’ non sarebbe stata in grado di motivare.