Il concetto di Business Analytics (BA) non è nuovo; lo stiamo rivalutando e nobilitando in virtù delle dinamiche di mercato globali che hanno puntato i riflettori sulla necessità di riuscire a effettuare analisi avanzate, capaci di generare dati, informazioni, conoscenza in grado di aiutare il business a prevedere eventi futuri o valutare le conseguenze inerenti scelte e modalità di intervento/operazioni di business. “La BA è sempre stata una disciplina riconducibile all’interno della Business Intelligence (BI)”, precisa Paolo Pasini, responsabile dell’Osservatorio Business Intelligence di Sda Bocconi School of Management. “Ciò che oggi è cambiato, è la necessità (e opportunità) di integrare modelli previsionali di vario genere e di catturare anche informazioni non strutturate, superare il tradizionale limite dei modelli dati predefiniti configurando una nuova generazione di piattaforme di intelligence che consentano analisi più libere, più navigabili, più esplorative e improvvisabili”.
Dagli anni ’90 a oggi, sostanzialmente, il modo di fare Business Intelligence attraverso l’uso delle tecnologie non è cambiato. “Esistono due vie principali – descrive Pasini -. Da un lato, è possibile acquistare sul mercato dei tool specifici (reportistica, analisi multidimensionale, tool di query, ecc.); dall’altro, si può seguire la via delle application, cioè l’utilizzo di soluzioni che fanno analisi (applicazioni dette appunto ‘analytics’). La differenza tra le due vie sta nel fatto che mentre il tool è una sorta di ‘scatola vuota’ che mette a disposizione dell’azienda, a seconda della tipologia di tool di BI, ambienti di sviluppo, funzionalità di reporting, ecc., negli analytics, al contrario, vengono ‘cablate’ delle logiche applicative per svolgere dei processi di analisi di costruzione di KPI, di previsione e di supporto alle decisioni all’interno delle aziende (per esempio, è possibile effettuare l’analisi dei dati della supply chain, l’analisi del risk management, del demand management, del budgeting e forecasting, e molto altro)”.
In ambito BA oggi abbiamo due differenti filosofie di pensiero (che poi sono portate avanti da vendor molto diversi): “Da un lato – precisa Pasini – ci sono i sostenitori degli analytics così come li abbiamo descritti finora; dall’altro, ci sono i sostenitori delle soluzioni cosiddette ‘predittive’, cioè di analytics che oltre ad avere modelli di analisi preconfigurati, hanno anche sistemi di statistica molto sofisticati al loro interno che possono essere sfruttati per funzionalità di simulazione e previsione”.
Tuttavia, ci tiene a precisare Pasini, “la distinzione è puramente commerciale e non concettuale”. La vera distinzione concettuale sta nel fatto che parliamo ormai più spesso di applicazioni di Business Intelligence e non più di tool (anche se in moltissime realtà prevale ancora la necessità di tool tecnologici specifici) e, quindi, di soluzioni che nascono con modelli di dati predefiniti (e anche adattabili), algoritmi di analisi e statistica già preconfigurati, modelli e logiche già disponibili che permettono alle aziende di fare analisi di dettaglio anche senza avere al proprio interno personale specializzato (matematici, statistici, ecc.).
“Quello che è interessante notare oggi sul mercato è che ciò che sta cambiando è il ‘mix’. Guardiamo cosa sta accadendo oggi all’interno delle aziende: prendendo in esame organizzazioni medio-grandi, all’interno delle quali il livello di maturità e conoscenza della BI è superiore ed è anche maggiormente sentita l’esigenza di avere tecnologie di supporto in quest’ambito, notiamo sempre di più l’utilizzo congiunto di sistemi di BI ‘tradizionale’ insieme ad applicazioni più evolute come quelle di BA: il portafoglio applicativo della Bi si viene così a comporre con un mix ragionato di strumenti e di package applicativi di BI coerenti con i vari livelli di cultura e caratteristiche organizzative, di costi e tempi sostenibili, di obiettivi tattici e strategici delle varie aree aziendali utenti”.
Un mix che va governato
La “composizione” di questi due differenti modi di fare BI sta generando una serie di effetti conseguenti. “Da un lato, l’introduzione degli analytics ha portato a una ‘rivalutazione’ del ruolo dell’utente – osserva Pasini -. Notiamo, anche grazie all’Osservatorio Business Intelligence, un’accresciuta responsabilizzazione degli utenti non solo nella scelta delle soluzioni tecnologiche ma anche nella gestione dei progetti e dei budget (vediamo sempre di più che progetti e scelte di BI e BA sono sotto la responsabilità delle singole line of business e aree funzionali dell’azienda, e non dell’It), spostando così il baricentro dei ruoli della BI dalla funzione sistemi informativi un po’ di più verso l’utente. Dall’altro, è divenuto inevitabile e fondamentale focalizzarsi sulla governance specifica della Business Intelligence (BI Governance)”.
Soprattutto in realtà e organizzazioni che hanno “esperienza” con la BI, con alle spalle una decina d’anni di maturità con progetti, tool e sistemi differenti, si pone il problema della BI Governance, intesa come la capacità di coordinare in un unico framework la gestione e il controllo, la strategia, l’organizzazione, i processi, le operazioni di misurazione, valutazione, ex-ante e ex-post della BI aziendale, nonché tutti gli aspetti tecnologici legati ad architetture e infrastrutture di supporto, oltre a quelli di sourcing delle risorse, degli asset e degli skill collegati alla BI.
“Gli analytics stanno spingendo un po’ di più, rispetto alla BI del passato, gli aspetti e le problematiche della BI governance – spiega Pasini – perché si è iniziato a ragionare in una logica di ‘portafoglio di soluzioni e servizi di BI’ e, quindi, si è palesata la necessità del governo dell’intero portafoglio e di tutto ciò che vi ruota attorno”.
Da qui nasce, ovviamente, tutta una serie di problematiche che vanno dalla standardizzazione delle architetture all’identificazione corretta di ruoli, skill e responsabilità interne ed esterne (BI sourcing); dal finanziamento dei progetti alla manutenzione delle applicazioni e dei sistemi, fino alla definizione di un piano strategico di governance.
“Oggi l’offerta tecnologica di mercato è estremamente varia e vasta, nonostante il processo di concentrazione dei software vendor avviato oramai da diversi anni – sottolinea Pasini – ed è impensabile che un’azienda ‘sposi’ in toto un unico fornitore. Soprattutto in aree così delicate come quelle della BI e dei BA; le aziende tendono a scegliere di volta in volta la soluzione più adatta alle loro specifiche esigenze, sulla base di analisi funzionali e tecniche condotte con l’utente che, come già detto, assume un ruolo decisivo in questa scelta. È quindi naturale ritrovarsi con un insieme di tecnologie e soluzioni che aumentano le criticità di integrazione e governo”.
“Non solo, governance significa anche avere capacità di scelta – aggiunge ancora Pasini -. Oggi scegliere quale analytics è più adatto o meno alle proprie necessità, richiede delle buone capacità di analisi funzionale. Significa comprendere in dettaglio quali sono le caratteristiche della soluzione applicativa, quali sono le logiche in essa contenute, quali le capacità funzionali. Sistemi di analytics complessi richiedono una scelta ponderata e oculata, oltre a una indiscutibile e cruciale capacità di implementazione della soluzione (progetto) e di change management successivo”, conclude Pasini.