La rivoluzione digitale avanza e ci sono oggi settori che più di altri sono investiti dalla necessità di ripensamenti strategici del loro business. Fra questi, due dei maggiormente interessati sono il mercato dei servizi Tlc e quello dei media, che condividono in modo forte problematiche quali la churn prevention (prevenzione dell’abbandono) e la necessità di fornire sempre nuovi servizi, il più possibile personalizzati.
Su come sia possibile sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla Digital Transformation in questi mercati, ZeroUno ha organizzato una Tavola Rotonda con un numero selezionato di manager di imprese Tlc e media.
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“In questi settori – premette Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno – assistiamo a una fase di forte turbolenza nell’evoluzione dei modelli di business e degli scenari competitivi. Si prendono in considerazione tecnologie come le real-time analytics e l’Internet-of things (IoT), si verificano contaminazioni fra mercati diversi, mentre il consumer esonda nelle aziende e assume un ruolo sempre più rilevante nella definizione e nello sviluppo di prodotti e servizi”. Da parte sua, Paolo Pasini, responsabile della Unit Sistemi Informativi e direttore dell’Osservatorio Business intelligence di Sda Bocconi, esordisce sottolineando come, “non c’è ancora una definizione unanime di Digital Transformation. Con due nuove ricerche stiamo cercando di analizzare quali siano le aree più sensibili e i possibili modelli organizzativi. Per quanto riguarda le aree sensibili, una è la strategia aziendale. Secondo noi, infatti, non si dovrebbe parlare di strategie digitali ma di strategie aziendali che si declinano anche in modalità digitale. Altre aree sono le roadmap, le competenze, il marketing e Crm, la multicanalità e il concetto di Persona, la velocità e il controllo. In questo contesto c’è da sottolineare che le funzioni aziendali guardano all’It come al pivot del cambiamento”.
Cultura e tecnologia
La tecnologia non è l’elemento mancante per sviluppare strategie digitali. Per Giovanbattista Angelini, Customer Insight Manager e Demand Manager Sviluppo Digitale di Rcs Media Group, “il problema è semmai stare dietro alla sua evoluzione; nel farlo va tenuto presente che digitalizzare non equivale in automatico a monetizzare. Ed è bene ricordare che l’It può fornire Big Data e tool, ma poi servono esperti di strategie e data scientist che sappiano cosa farne”. Il problema del ritorno sugli investimenti in innovazione è reso ancora più complesso, secondo Federico Luperi, Direttore Innovazione Nuovi Media dell’agenzia di notizie AdnKronos, “dal fatto che in Italia, nel mercato business-to-consumer, c’è una forte tendenza a considerare certi beni e servizi come commodity di cui usufruire gratis”.
Diversa è la propensione ad acquistare contenuti se ci si rivolge a community di professionisti, come fa notare Carlo Capalbo, Direttore Tecnologie Informatiche del Il Sole 24 Ore: “Avvocati e commercialisti pagano volentieri i nostri servizi digitali di informazione e aggiornamento perché sono necessari per il loro lavoro”. Il punto, quindi, interviene Francesco Maselli, Direttore Tecnico di Software Ag “sta nella parola valore. Se si riesce a proporre servizi differenziati effettivamente utili, si troverà qualcuno disposto a pagarli”.
Emergenza data quality
La qualità dei servizi erogati, e soprattutto la corretta analisi delle opportunità che il mercato offre, non può prescindere dalla qualità dei dati dei clienti, un problema emerso chiaramente nel dibattito. Molto spesso i dati sono duplicati, non normalizzati e dispersi in silos informativi. “I clienti – sostiene Marco Cossu, Responsabile Digital Customer Management di Wind – devono essere visti in modo olistico. Se i canali di contatto non sono allineati, e trasmettono messaggi e offerte in maniera incoerente, i clienti iniziano a dubitare di ciò che comunichiamo loro”. Un altro errore identificato nella discussione è attribuire troppa importanza alla mera velocità. “Se un utente – esemplifica Raffaele Gamberini, Direttore Sistemi Informativi di La Feltrinelli – compra un libro di Alessandro Baricco, non possiamo proporgli immediatamente un'altra opera dello stesso autore. Per questo motivo abbiamo messo a punto degli algoritmi che ci permettono di evitare questi errori”.
Un aiuto a razionalizzare i dati sui clienti arriva dall’integrazione fra applicazioni digital e sistemi transazionali. “La nostra soluzione di churn prevention – racconta Capalbo – si basa su un customer database che attinge dati dall’Erp, li analizza e attiva le applicazioni di recommendation”. La massima efficacia di questo tipo di analisi si ottiene mappando i dati rilevati da attività social con i dati transazionali: è inutile, per un sito di e-commerce, continuare a proporre al visitatore diversi modelli di TV al plasma se questi, oltre ad avere effettuato ricerche relative a questo prodotto, lo ha già poi acquistato (difficilmente acquisterà un altro TV in tempi brevi). “La proposition di Software Ag – afferma Antonio Nisco, Account Executive di Software Ag – cerca di partire da quello che i clienti hanno già in casa.
L’importante è definire una strategia di ottimizzazione e avere le tecnologie e la competenza per farlo”. Aggiunge Maselli: “Software Ag è come una Svizzera del software. La nostra tecnologia, interamente basata su open standard, permette di realizzare uno strato per industrializzare l’informazione presente in azienda. Un aspetto oggi quanto mai importante”.
Una testimonianza dell’importanza dell’integrazione dei dati e dei processi arriva da Fastweb. “Con l’obiettivo di creare una visione olistica del cliente – racconta Alessandro Perrino, Business Development Manager dell’operatore Tlc – abbiamo fatto confluire tutte le strutture di marketing, strategy e business development in un’unica organizzazione dedicata alla customer experience”.
Ogni cliente è diverso dall’altro, anche se in passato è stato inserito in una segmentazione standard. Secondo Luperi, “bisognerebbe analizzare i reali comportamenti di acquisto di ogni singolo cliente e attuare offerte sempre più mirate”. È quello a cui stanno pensando in Vodafone. “La sfida – spiega Stefano Takacs, al momento della Tavola Rotonda Head of European Data Base Operations Vodafone Servizi e tecnologie, oggi Direttore Network Operations, Wind – è abbandonare le segmentazioni standard e cercare di identificare delle ‘community’ virtuali di clienti che condividono modi di usare la tecnologia. Il rischio da correre è smontare modelli che prima funzionavano, spostare soltanto revenue da un servizio a un altro o fare addirittura flop.
Per perseguire questo nuovo approccio occorrono strumenti che permettano di analizzare in tempo reale informazioni provenienti da diversi touch point, come applicazioni, social network e così via. Un problema da tenere in considerazione, comunque, non è solo la velocità di digitalizzazione dell’azienda ma anche quella dei clienti”. A questo proposito, i segnali sono così evidenti che avventurarsi in qualche azione disruptive può valere effettivamente la pena.