Le balanced scorecard e chi le usa in Italia

Un’indagine su un campione di società italiane dimostra come l’uso delle balanced scorecard sia ancora poco diffuso. talvolta perché la metodologia non interessa, ma il più delle volte semplicemente perché non è conosciuta. Eppure il bisogno di superare i tradizionali indici economici è sentito: si tratta allora di far cogliere alle imprese il valore delle bsc come strumento di misura delle performance aziendali e di comunicazione delle strategie

Pubblicato il 02 Nov 2004

Nel biennio 1990-91 Robert Kaplan, della Harvard Business School di Boston, e David Norton, del Norton Nolan Istitute, svolsero una ricerca su un gruppo di imprese americane di successo per verificare quali parametri riguardanti le loro attività queste aziende misurassero effettivamente. L’indagine era basata sull’ipotesi che le sole variabili economico-finanziarie non fossero sufficienti a spiegare le performance ottenute da queste aziende. Performance che solo un approccio più ‘bilanciato’, che considerasse anche altre variabili e di diverso tipo, poteva giustificare.
Questa, in estrema sintesi, l’origine della metodologia (o ‘management system’, come alcuni preferiscono definirlo) cui è stato dato il nome di ‘Balanced Scorecard’, e che si è in effetti rivelata un potente strumento in grado di consentire, alle aziende che lo adottano, di tradurre le proprie strategie in un insieme di obiettivi operativi capaci di influire in modo decisivo sulle loro performance globali.
Recentemente questo strumento è diventato un componente importante di quell’insieme di processi, sistemi e metriche impiegati per monitorare e gestire le performance aziendali noto come Bpm (Business Performance Management), che si propone di aggiungere valore alle attività di business d’un’azienda attraverso una continua attenzione sul come questa definisca e implementi le sue strategie, legandole in modo più diretto all’attività delle singole persone e tenendo presenti, oltre alla dimensione economico-finanziaria, anche quelle relative al mercato in cui opera l’impresa, alla gestione dei processi interni e alla capacità di apprendere e di innovare (dimensione, quest’ultima, collegata ai cosiddetti ‘asset intangibili’ dell’azienda, che vanno dalla capacità e motivazione delle persone alla forza del brand’). Il tutto integrato e bilanciato all’interno di un ‘framework’ che, definendo le relazioni di causa-effetto esistenti tra i diversi aspetti, consenta di anticipare le conseguenze che certe azioni potranno avere sui parametri ad essi collegati, e quindi su una o più parti della struttura aziendale stessa.

Alberto Bubbio
professore associato di Economia Aziendale e responsabile del corso di Programmazione e Controllo presso l’Università Carlo Cattaneo-Liuc di Castellanza


L’indagine e il campione
Nonostante gli innegabili benefici della metodologia, l’utilizzo della Balanced Scorecard (Bsc) in Italia è ancora piuttosto limitato. Come osserva Alberto Bubbio, professore associato di Economia Aziendale e responsabile del corso di Programmazione e Controllo presso l’Università C.Cattaneo-Liuc di Castellanza (www.liuc.it), che assieme a Massimo Solbiati, consulente di direzione e docente di Programmazione e Controllo della stessa Università, ha coordinato la ricerca di cui intendiamo parlare, “Il ritardo con il quale le nostre imprese adottano gli strumenti di management che arrivano d’oltre oceano si misura più o meno in dieci anni. Si sperava che la diffusione delle tecnologie informatiche accelerasse questo processo, ma non è stato così. Per quanto riguarda in particolare la Bsc la nostra impressione è che questi dieci anni ci siano tutti. Anche se dobbiamo riconoscere l’esistenza di qualche segnale positivo.”
Per capire come le aziende italiane misurano e analizzano le loro performance; quali sono quelle che si avvalgono della metodologia Bsc e a quali settori di industria appartengono; quali sono le funzioni aziendali coinvolte e qual è il reale ritorno sull’investimento, all’inizio del 2004 sono state contattate dal Bpm Lab dell’Università (vedi riquadro) 250 imprese di varie dimensioni (40 sono quelle quotate in Borsa, in Italia o all’estero) e di diversi settori: 171 aziende manifatturiere, 55 società di servizi e 24 imprese di grande distribuzione. Molte aziende del campione hanno chiesto l’anonimato, altre hanno acconsentito ad essere citate. Tra queste, industrie come Agfa-Gevaert, Boehringer, Dow Italia, Lavazza e Shell Italia e Star; istituti come Banca Intesa, Popolare di Lodi e Global Refund Italia; retailer come Gruppo Coin e Unes Centro.
Delle 250 aziende contattate, 106 (il 43% del campione) hanno risposto ad interviste telefoniche, mentre 54 hanno anche riempito un dettagliato questionario che era stato loro inviato. “Una ‘redemption’ sufficientemente significativa – fa notare Bubbio – anche perchè riteniamo che un certo numero di aziende non abbiano risposto in quanto probabilmente non avevano nulla da dire, o forse non avevano nemmeno chiara l’idea di che cosa fosse una Bsc.”

Un’azienda su quattro le usa o le userà
Dalla rilevazione risulta che 19 delle 106 imprese che hanno partecipato alla ricerca (il 18% quindi del ‘sotto-campione’) utilizzano già la Balanced scorecard. A queste vanno aggiunte altre 9 aziende che, pur non avendolo ancora introdotto, hanno manifestato un elevato interesse nei confronti dello strumento ed hanno dichiarato di essere intenzionate ad usarlo nel prossimo futuro.
Questo porta al 26% (28 su 106) la quota delle aziende positivamente orientate nei confronti della Bsc. “Un valore – commenta Bubbio – che riteniamo non si discosti troppo dalla realtà. È probabile anzi che la percentuale delle aziende che, pur non avendo ancora introdotto la Bsc, sono interessate a farlo, potrebbe essere anche maggiore”. Infatti, usano la metodologia Bsc anche imprese non di grandi dimensioni, il che sta a significare che la Bsc viene percepita come uno strumento che può veramente aiutare a gestire ogni tipo di azienda. “L’applicazione della Bsc – ribadisce Bubbio – non è tanto legata alla dimensione dell’impresa quanto, per così dire, alla ‘materialità’ del suo operato. Quanto più questo è immateriale, tanto meno gli strumenti di tipo economico-finanziario riescono a metterlo in evidenza, e di conseguenza tanto più diventa necessario ricorrere alla Bsc.”

Ma i più non le conoscono
Delle rimanenti 78 aziende, quelle che non usano né intendono usare la Bsc, 20 hanno dichiarato di non essere interessate alla metodologia, mentre ben 56 (il 55%) hanno dichiarato di non sapere di che cosa si tratti. Una percentuale sorprendente, se si pensa che il 90% delle persone intervistate si occupa di pianificazione o di controllo di gestione. Questo si può attribuire o a carenze di formazione e di aggiornamento, o al fatto, come ipotizza Bubbio, “…che gli strumenti di performance management oggi disponibili sono tali da richiedere, da parte di chi li dovrebbe utilizzare, conoscenze e capacità che non sono ancora molto diffuse. Le aziende o le persone ne sembrano intimorite e hanno la sensazione di non essere ancora in grado di potersene servire.”
C’è tuttavia un altro punto ancora più sorprendente o, come dice Bubbio, ‘sconfortante’: solo il 12,5% delle società del campione che sono quotate in Borsa utilizza la Bsc. “Riteniamo inevitabile – è il commento di Bubbio – che ci si debba preoccupare di rendere oggetto di ‘due diligence’ i sistemi di gestione delle società quotate, come si sono recentemente espressi gli organi di controllo della Borsa italiana. Questa tra l’altro è una delle ragioni per cui nella nostra prossima ricerca cercheremo di analizzare in dettaglio le relazioni esistenti tra pianificazione strategica, controllo di gestione e pratiche di corporate governance.”
Istruttivi anche i motivi forniti dalle aziende che hanno compilato il questionario per spiegare il fatto di non essere interessate alla Bsc: la scarsa conoscenza dello strumento è il primo, con il 31% dei casi; seguono: ‘utilizzo di altri indicatori’ (23%), ‘strumento inadatto al tipo di azienda’ (17%), e poi, via via, la ‘complessità di messa a punto di un sistema di obiettivi integrati’, la ‘mancanza di cultura aziendale’ e il fatto di avere ‘altre priorità’.

Dagli indicatori alla mappa strategica
“Negli ultimi anni – fa notare Bubbio – si è parlato molto di Key performance indicator e anche di ‘non financial indicator’, con il risultato che questi indicatori sono stati adottati da molte aziende. Ciò è da considerarsi positivo, in quanto tali imprese hanno capito che non è sufficiente affidarsi al solo modello contabile e che i tradizionali indicatori economico-finanziari non sono più sufficienti a realizzare un efficace sistema di controllo di gestione. Le segnalazioni fornite da questi indicatori sono infatti sempre in ritardo, e non sono in grado di dire perchè le cose stanno andando in un certo modo. Ciò che manca è il salto di qualità consistente nel mettere gli indicatori considerati in rapporto tra di loro e nel cercare le relazioni di causa-effetto esistenti tra le variabili che si ritengono strategicamente importanti. Ricerca che si traduce nella creazione della cosiddetta ‘mappa strategica’ dell’azienda.”
Significativo è poi il fatto che il 14% delle aziende che utilizzano la Bsc appartenga al settore manifatturiero, il 27,5% a quello dei servizi e 35,5% alla grande distribuzione. Percentuali che confermano come siano proprio le aziende che hanno la necessità di tenere sotto controllo variabili che non vengono prese in considerazione dai tradizionali modelli contabili a sentire maggiormente la necessità di questo tipo di strumento. In effetti, nei servizi e nella distribuzione l’importanza degli asset intangibili è senz’altro superiore che nell’industria. Senza trascurare il fatto che le aziende di settori più ‘giovani’ del tradizionale manifatturiero possono anche essere quelle maggiormente disponibili all’innovazione.

Come e perchè la bsc entra in azienda
La maggior parte delle aziende che ha deciso di adottare la Balanced scorecard lo ha fatto con progetti che hanno spesso coinvolto in un lavoro di team tutto il management. Non solo, quindi, la direzione generale, la direzione amministrativa e la pianificazione e controllo (presenti comunque nel 93% dei casi), ma anche la direzione commerciale e le risorse umane (nel 67%) e il marketing e la direzione della produzione (nel 60%).
“Nelle imprese il lavoro di squadra è considerato sempre più fondamentale – nota Massimo Solbiati – anche se in Italia questo modo di operare non è, a dire il vero, ancora così diffuso. Il fatto che la Bsc tenda a far lavorare le persone insieme, sopratutto nella fase di creazione delle mappe ‘causa-effetto’, deve essere quindi visto come un valore aggiunto della metodologia. Questo peraltro emerge anche dalla nostra ricerca: il risultato ritenuto più interessante, con il 30% dei consensi, tra quelli offerti dalla Bsc è infatti la possibilità di allineare la gestione operativa dell’azienda con i suoi obiettivi strategici. Un fatto molto importante, perchè significa che il management riesce in tal modo a darsi un orientamento univoco. Segue, col 15%, l’aspetto ‘condivisione della strategia’, che si lega a sua volta all’allineamento strategico. La definizione della strategia è infatti il punto di partenza, mentre la condivisione è il punto d’arrivo.”
A proposito, infine, della possibilità di una maggiore diffusione futura della Bsc, il 36% di chi ha compilato il questionario si è espresso positivamente, il 18% negativamente e il 43% ha dichiarato di non sapere che cosa dire. Le risposte, nella maggior parte dei casi, sono state tuttavia accompagnate da valutazioni positive sullo strumento. Le posizioni negative sono motivate chiamando in causa ‘la gestione complessa e i tempi lunghi richiesti’ (il 6% dei casi), la ‘scarsità di risorse economiche’ (2%), e le ‘peculiarità dell’azienda’ (2%).
Secondo Bubbio, comunque, le prospettive delle Bsc devono considerarsi buone: “Potrebbero addirittura avere il ruolo che è stato quello del budget negli anni ‘50, a patto che si riesca a far capire alle aziende la loro reale portata di strumenti di comunicazione delle strategie e di misura delle performance.”


Bpm: un fenomeno da tenere d’occhio
Il Business Performance Management è considerato da parte dei principali vendor di soluzioni di Business intelligence la più importante evoluzione del settore. È comprensibile quindi che quelli più specificamente orientati cerchino di capire quale sia la propensione delle aziende nei confronti degli strumenti per la misura e il controllo delle prestazioni. OutlookSoft (www. outlooksoft.com; tel. 02.66711030) ha così deciso di finanziare la creazione, presso l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Liuc), di un Osservatorio sulle pratiche manageriali nelle imprese italiane, che è stato chiamato Bpm Lab, per sottolineare appunto il fatto che i temi delle sue indagini saranno strettamente legati al mondo del Bpm. La prima fase delle attività del Bpm Lab prevede la realizzazione di tre ricerche. La prima, cui è dedicato questo articolo, sulla diffusione dell’impiego delle Balanced Scorecard in Italia. La seconda, i cui risultati saranno disponibili a fine anno, sui collegamenti tra pianificazione strategica, controllo di gestione e ‘corporate governance’. La terza, infine, prevista per la primavera 2005, dedicata alla normativa Basilea 2. L’attività del laboratorio non si arresterà tuttavia qui ed è previsto che più avanti nel tempo verranno affrontati anche altri aspetti del Bpm.

Balanced scorecard: le esperienze utenti
Claudio Antonelli – “Balanced Scorecard per l’area IT: esperienze” – Editore Franco Angeli – Prezzo: 19,50 euro – Data di pubblicazione: agosto 2004

La letteratura manageriale è ormai satura di contributi riguardanti gli aspetti concettuali della Balanced Scorecard. Sono invece quasi inesistenti, almeno in Italia, descrizioni di effettive realizzazioni di successo. Questo può dipendere in parte dall’ancora limitata diffusione di questa metodologia, ma sicuramente è anche conseguenza del fatto che pur sembrando semplice, almeno sulla carta, progettare un sistema di Bsc, risulta poi piuttosto difficile implementarlo in modo efficace. Claudio Antonelli, partner di MAST, società di consulenza direzionale ed esperto di management dei Sistemi Informativi, con il libro “Balanced Scorecard per l’area IT: esperienze” appena pubblicato, ha voluto concorrere a colmare questo ‘gap’ raccogliendo le descrizioni delle esperienze di sei aziende di diversi settori d’industria: Ferrero, Mediaset, Osram, Schneider Electric, Sigma-Tau e Solvay.
L’idea è quella di proporre dei percorsi operativi basati sulle reali esperienze di chi ha già affrontato il problema, che possano servire da riferimento alle aziende che intendano sviluppare progetti analoghi.
Anche se il libro si rivolge ai Direttori Generali, Responsabili dell’Organizzazione, Responsabili della Pianificazione e Controllo, e anche ai Consulenti di Direzione, i suoi destinatari privilegiati sono i Direttori dei Sistemi Informativi, perchè, dice Antonelli: “mettere realmente l’It al servizio della creazione del valore è la loro vera missione ed è anche la prospettiva di utilità di questo libro”

Claudio Antonelli
partner della societa’ di consulenza direzionale mast

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