I linguaggi di programmazione sono una lingua, un sistema di segni autoconsistente, in grado di descrivere il mondo. Attraverso questi segni costruiamo un testo in grado di descrivere un mondo definito nei suoi confini.
In questo senso vale l’analogia tra un testo letterario – poesia, romanzo – e un sistema informativo. Una poesia, un romanzo, sono “sistemi informativi”. Ma allo stesso tempo, possiamo dire, i sistemi informativi sono poesie, romanzi. Gli strumenti usati per “leggere” testi e poesie possono essere applicati ai sistemi informativi.
Questo è vero da un punto di vista grammaticale e sintattico: solo un testo depurato da errori (bug) funziona adeguatamente. E cioè produce senso: può essere decodificato correttamente da un interprete, sia esso un uomo o una macchina.
Non solo: il parallelo tra poesia e romanzo da un lato, e sistema informativo dall’altro, vale anche, e sopratutto, a livello semantico. Ora, un aspetto centrale della semantica è la retorica, intesa come “arte che tende a persuadere del giusto e dell’ingiusto attraverso appropriati strumenti linguistici”.
Il valore di un sistema informativo, non a caso, sta nel “dichiarare in modo persuasivo” lo stato di un mondo. E come nel caso del romanzo e della poesia la dichiarazione è realizzata attraverso un appropriato uso dei linguaggi di programmazione.
Non c’è un unico inequivocabile modo di descrivere gli stati del mondo. Delle possibili scelte retoriche, in informatica si è abituati ad usarne solo alcune: si cerca l’elisione, l’univocità del dato, la chiarezza, la trasparenza.
Ma la retorica ci parla anche dell’opposto: dei vantaggi della ridondanza, della ripetizione, dell’oscurità, della lacuna. Se in un romanzo troviamo del mistero, non lo consideriamo un bug. Il “non detto esplicitamente” in una poesia conta quanto, o più, di ciò che è chiaramente esplicitato.
Vi chiederete: dove vuole andare a parare?
Voglio arrivare a dire che siamo legati a una idea di sistema informativo dove l’unica retorica usata è quella dell’economia e della chiarezza. Cosa, in molti casi, giusta e doverosa. Se devo gestire il pay roll dei dipendenti mi serve un sistema informativo economico e non ridondante. Ma se voglio conoscere le persone che lavorano nella mia azienda, allora mi serve un’altra retorica: devo cercare di leggere ciò che è scritto tra le righe, ciò che è detto dicendo altro. Cosa significa l’informazione che una persona ha quarant’anni ed è entrata a lavorare con noi solo tre anni fa?
E cosa faceva prima? Cosa sa fare?
L’economia, la chiarezza, l’assenza di ridondanze, di fronte a queste domande, si rivelano un difetto. Meglio un sistema informativo ridondante, confuso, oscuro, frutto di apporti diversi (non solo le informazioni necessarie al pay roll, ma qualsiasi informazione accessibile).
Per dare all’ammasso di conoscenza la forma di discorso leggibile, io, direttore delle risorse umane, ed io, direttore dei sistemi informativi, dovremo lavorarci sopra, congiuntamente.
Ma siamo qui appunto per questo: non solo pagare mensilmente gli stipendi, ma scrivere e leggere insieme con i dipendenti dell’azienda quell’enorme romanzo che parla delle loro conoscenze, competenze, capacità, sogni.
* Francesco Varanini, autore di questa rubrica, è consulente, formatore, docente universitario del corso di laurea in informatica umanistica, Pisa – fvaranini@iol.it