MILANO – La capacità analitica è il motore della digital enterprise. Ma come si diventa un’azienda data-driven che prende decisioni sull’evidenza dei numeri? La ricetta di Qlik, società specializzata in soluzioni di business intelligence, con oltre 36mila clienti nel mondo, dalle grandi aziende quali Vodafone e Intesa San Paolo alle startup come Live Story, parte innanzitutto dal cambio di mindset.
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IL CASO UTENTE – Social e intelligence in Live Story per vendere di più |
Al convegno milanese Visualize your world, Francesco del Vecchio, Senior Director Presales Emea della multinazionale, ha riportato i risultati di una ricerca interna: “Il 65% dei manager basa le decisioni sull’intuito, anche se contraddette dalle analisi. Il 55% ha poca fiducia nella qualità dei dati e per il 51% non c’è sufficiente disponibilità di informazioni”.
In questo contesto, servono soluzioni che permettano sia la data governance (per assicurare la pulizia e la gestione di dati multi-source) sia la smart visualization (perché utenti senza background specifico possano fruire della Bi self-service).
Data governance e smart visualization
“Al management – ha dichiarato Rosagrazia Bombini, VP & Managing Director Italy di Qlik – spesso arrivano dashboard statici, mentre diventa necessaria l’esplorazione autonoma e dinamica dei dati, con possibilità di drill-down”. La direzione informatica deve detenere il controllo sulle informazioni, garantendone contemporaneamente la libera consultazione:
”Bisogna mantenere la governance, non la dittatura sui dati – ha suggerito Davide Salmistraro, Manager Consulting and Services Alliances, Italy della società -. Soluzioni come Qlik Sense [piattaforma applicativa per l’analisi visuale, ndr] garantiscono la gestione centralizzata dei dati da parte degli amministratori It, mettendo a disposizione degli utenti finali strumenti di business intelligence intuitivi, facili da usare in autonomia”. “Il cuore di Sense – ha aggiunto Bombini – è il motore di indicizzazione associativa brevettato [Qix Associative Indexing Engine, ndr], che analizza i dati senza percorsi precostituiti, ma con la massima libertà di correlazione e semplicità d’uso. Si abilita così la condivisione del processo decisionale, per cui le scelte vengono fatte nell’interesse di tutta l’organizzazione e non soltanto a livello di singola unità”.
Competenze e cambio culturale
Ma gli analytics implicano soprattutto un salto culturale: “Bisogna abituare le persone a fare domande – ha affermato Bombini -, mentre il management deve favorire la circolazione delle informazioni all’interno dell’azienda”. “Le iniziative vincenti – ha sottolineato del Vecchio – richiedono la sponsorship dall’alto, ma non è l’approccio top-down che crea cultura analitica. Bisogna fare leva su figure come gli attivisti dell’informazione (maniaci di Excel, stagisti matematici…) da coinvolgere sui progetti”.
Ma quali competenze servono per ottenere insights utili? “Non solo data scientist – ha concluso Bombini -, che lavorano sui numeri, ma anche uomini di business che conoscono i processi aziendali e i Kpi da misurare per raggiungere gli obiettivi. Servono insomma Data Business Analyst”.