Se gli eventi estremi si fanno sempre più estremi e anche più frequenti, diventa necessario investire tempo, fondi e talenti per cercare di minimizzare i danni creati. Alle persone, agli edifici, all’ambiente, a intere regioni. Alcune sono più colpite di altre e la crisi climatica, amplificando il rischio di incendi e uragani, tra le altre cose, le sta mettendo in ginocchio, cambiandone le sorti, anche dal punto di vista sociale ed economico.
Anche chi non nasce con una vocazione da non profit, soprattutto se ha a cuore la propria immagine, in tali condizioni di continua allerta sente il dovere di fare la sua parte. Una big tech come Google, per esempio, ha creato il Progetto Bellwether.
Velocità di calcolo, tempo di salvare vite
Di fronte al raddoppio di disastri naturali, nell’arco solo dell’ultimo ventennio registratosi negli Stati Uniti, l’azienda ha messo a disposizione la propria esperienza e le tecnologie sviluppate negli anni, per supportare i soccorritori. Hanno bisogno di nuovi strumenti per identificare i danni alle infrastrutture critiche e intervenire in modo più immediato, ma non possono farlo senza l’aiuto dell’innovazione digitale. Si tratta, tra l’altro di una priorità, visto che “le vite umane dipendono dalla loro velocità di portare soccorsi”.
L’attuale attrezzatura a disposizione è spesso causa di ritardi: ore o giorni sprecati, che possono provocare danni incalcolabili e, soprattutto, non riparabili a posteriori, in differita. È necessario rendere più rapida e affidabile la valutazione dei danni, essenziale per comprendere l’impatto dell’evento e seguirne man mano l’evoluzione. Il primo passo per pianificare azioni veloci, ma anche efficaci, per impedire alla fretta di far nascere interventi confusi e poco utili, se non dannosi.
Il progetto di Google interviene proprio in questa fase delicata, e la vuole rivoluzionare. Finora si è sempre speso molto tempo nell’identificare le immagini esatte delle aree più colpite dai disastri naturali, per poi correlarle con quelle delle infrastrutture circostanti ed etichettare tutte le caratteristiche rilevanti. Una procedura inevitabile per poter evidenziare i danni significativi e inviare queste informazioni alle squadre di primo soccorso.
Da adesso in poi, con il Progetto Bellwether, si può invece contare su un vero e proprio “motore di previsione”. Lo possono fare per primi gli operatori della Defense Innovation Unit (DIU). Questa unità speciale del Dipartimento della Difesa, incaricata di integrare le tecnologie commerciali in fase iniziale nelle operazioni del Dipartimento stesso, ha infatti avviato una partnership con Google, per risolvere le inefficienze del processo della Guardia Nazionale.
Dalla valutazione dei danni, alla previsione dei disastri
Nel giro di nove mesi, è stato realizzato un prototipo che sfrutta l’intelligenza artificiale e il machine learning per analizzare le immagini aeree delle scene colpite da eventi estremi. E lo fa in pochi secondi, mostrando agli operatori di soccorso lo stato delle infrastrutture critiche, attingendo anche alle risorse geospaziali di Google per capire l’aspetto dell’area prima del disastro.
L’output consiste in comode mappe etichettate che la Guardia Nazionale può usare per capire come intervenire in modo più rapido ed efficace, organizzando al meglio le proprie risorse. Una vera e propria rivoluzione per chi deve salvare vite umane. Una rivoluzione che non è ancora terminata. Con lo stesso strumento, Google assicura che sarà presto possibile prevedere il rischio di incendi “fino a cinque anni nel futuro”. Un’utopia? Un sogno? Vedremo. Ma anche solo provare a ottenere indicazioni in merito, potrebbe essere un ottimo contributo che l’AI può dare a chi ogni giorno mette in gioco la propria vita per salvare quella di altri. Un ottimo risultato per un’alleanza non scontata tra pubblico e privato, la cui efficacia viene potenziata dalla scelta di coinvolgere direttamente chi agisce nei fatti, sul campo. Il solo ad avere alcuni tipi di competenza e a conoscere le criticità nemmeno lontanamente immaginabili da chi non è in prima linea nei soccorsi ma resta seduto in ufficio, o in smart working.