Contributo Editoriale

Non solo ChatGPT: come l’Intelligenza Artificiale può aiutare le aziende a migliorare

L’AI non coincide esclusivamente con i modelli LLM, ma si declina in varie tecnologie. Come dimostra l’esperienza di Beta 80 Group, sponsor dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, che se ne serve nell’ambito della Business Intelligence, dell’automazione e del monitoraggio esteso. A colloquio con Mario Caramello, Program Manager della società

Pubblicato il 14 Nov 2023

ChatGPT e AI

Quando oggi si parla di Intelligenza Artificiale scatta una sorta di riflesso pavloviano che tende a far coincidere l’AI esclusivamente con ChatGPT o con i modelli LLM (Large Language Model) che stanno alla sua base. Eppure, le tecnologie riconducibili in questo contesto sono diverse, non solo quelle che si riferiscono alla Generative AI. Solo per citare le principali su cui da qualche anno si focalizzano le ricerche dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano si va dall’Intelligent Data Processing ai Recommendation System, dalla Computer Vision all’Intelligent RPA.

Una suddivisione che il Politecnico propone anche in funzione degli investimenti che stanno caratterizzando il mercato italiano in ciascuna di queste aree. Beta 80 Group è uno degli sponsor dell’Osservatorio. In tale veste, porta la sua competenza nell’automazione, negli Advanced Analytics, nel process mining ecc., offrendo un punto di vista privilegiato che consente di confrontare gli esiti della ricerca con le rilevazioni empiriche a fianco delle imprese. Lo spiega bene Mario Caramello, Program Manager di Beta 80: “Le aziende di per sé non sono particolarmente interessate all’AI in quanto tale, ma in quanto strumento che le abilita a ottenere, ad esempio, delle automazioni o le aiuta a digitalizzare una parte dei processi interni e di business”.

I tre pilastri dell’Intelligenza Artificiale in Beta 80

Nel caso di Beta 80, le attività relative all’Intelligenza Artificiale si articolano in tre segmenti. Uno poggia sull’elaborazione evoluta dei dati nell’ambito della Business Intelligence, con il ricorso ad esempio ad analisi predittive o altre analisi raffinate. Il secondo pilastro verte sull’automazione e sulla digitalizzazione dei processi di business. Il terzo, infine, si concentra sul monitoraggio esteso di infrastrutture, applicazioni e servizi.

Sebbene si tratti di sfere in cui l’AI interviene in modo differente, vi sono delle costanti che le accomunano e che travalicano i confini stessi dell’Intelligenza Artificiale. Vale a dire, l’efficacia della soluzione a beneficio dello scopo che si intende conseguire. Basti pensare al process mining, un approccio che si serve della data science per mappare i flussi di lavoro con l’obiettivo di migliorarli. Quindi, prima di implementare qualsiasi forma di automazione, il process mining è necessario per comprendere quali sono i task che si candidano a essere “automatizzabili”.

“Gli strumenti moderni di process mining hanno al loro interno una componente AI che permette di estrarre dati dai log degli applicativi del cliente per poi elaborarli e far vedere esattamente che cosa accade in azienda” sottolinea Caramello. Il contributo dell’Intelligenza Artificiale a corredo di questa funzione di “estrazione” potrebbe apparire a prima vista meno dirompente di quello che fa ChatGPT nella stesura di un testo. Al contrario, l’ottimizzazione che ne deriva per la redistribuzione dei carichi di lavoro e per il saving delle aziende è certamente superiore a quanto potrebbe apportare la creatura di OpenAI.

Maggiore efficienza e risparmio con il monitoraggio

Stesso discorso vale per il monitoraggio. Ormai sono tantissimi gli eventi che i sistemi di monitoring raccolgono, eventi tipicamente tecnici che quasi sempre riguardano un singolo elemento dell’applicativo, della rete, di una macchina e così via. Grazie agli algoritmi di AI si riescono a individuare dei pattern e ad anticipare fenomeni che potrebbero verificarsi in futuro. O, ancora, si possono ricevere indicazioni su come migliorare l’utilizzo delle risorse, specialmente in ambienti cloud come quelli verso cui le aziende si stanno muovendo.

Occorre un monitoraggio avanzato per sapere se si sta consumando troppa CPU rispetto a quella che serve o su come gestire al meglio i consumi legati a ogni cloud provider. Certo, questa seconda opportunità è tale in presenza di un numero di nodi o di macchine virtuali abbastanza elevato, dai 150 in su. Per situazioni meno complesse, il classico foglio Excel è più che sufficiente. Così come la rincorsa della novità a tutti i costi non è detto che sia foriera di maggiore efficienza e risparmio per le aziende.

“Il nuovo serve, se serve davvero” dice Caramello, invitando non tanto a non usare gli strumenti di AI, che ormai sono diventati un fattore strategico competitivo, piuttosto a porre maggiore attenzione alla “gestione del ciclo di vita dell’algoritmo o alla sua implementazione”, invece che all’ultima versione del servizio cognitivo rilasciata dal vendor.

AI, livelli di adozione tra grandi imprese e PMI

Secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio, il 34% delle grandi aziende ha già implementato un progetto di AI, mentre tra le PMI la percentuale scende al 15%. Dati sostanzialmente sovrapponibili all’esperienza sul campo condotta da Beta 80 che, però, aggiunge un ulteriore elemento di approfondimento. Le dimensioni delle organizzazioni implicano anche una differenza sulla tipologia di interlocutore. Non è solo il reparto IT quello con cui ci si interfaccia per introdurre soluzioni di Intelligenza Artificiale. Sempre più spesso anche le funzioni di business vengono coinvolte, proprio per il focus posto sui risultati piuttosto che sulla specifica tecnologia.

Il paradosso è che in realtà altamente strutturate talvolta l’IT possa avere un ruolo conservativo, mentre viceversa in alcune piccole imprese funga da spinta propulsiva all’innovazione. “Nelle piccole aziende, che magari sono più caute perché hanno meno risorse, si possono sperimentare forme di automazione come la registrazione delle fatture e degli ordini o altre a supporto del CRM. Poi non è detto che queste sperimentazioni vadano oltre la prima fase” esemplifica Caramello, che sintetizza anche quali caratteristiche di solito ricorrono nel manager che decide di adottare l’AI.

Da una parte ovviamente la vocazione all’innovazione, dall’altra una propensione al rischio, perché “comunque si mettono in discussione i modelli tradizionali nel fare le cose e si vanno a toccare i metodi di lavoro nelle persone”. Persone che, soprattutto dopo l’avvento di ChatGPT, vanno rassicurate sul fatto che un bot non prenderà il loro posto. Ai manager “illuminati” spetta anche questo compito.

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