Executive Dinner

Cognitive systems: dove si sta sperimentando?

Marketing, gestione del rischio, supply chain sono le aree dove le aziende stanno prevalentemente indirizzando i progetti pilota che vedono l’impiego delle tecnologie di intelligenza artificiale e cognitive. Le difficoltà tuttavia non sono banali; ‘fidarsi’ degli algoritmi non è così facile come sembri e inserire in azienda le competenze adeguate richiede cambi organizzativi, anche dei modelli di governance

Pubblicato il 22 Mag 2017

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Nel corso di un recente Executive Dinner che ZeroUno ha organizzato insieme a Dedagroup sul tema dei cognitive systems e del loro ‘potenziale’ quale elemento di accelerazione della trasformazione digitale delle aziende, Marco Bellinzona, Analytics & Cognitive manager di Dedagroup, ha fornito al pubblico alcune evidenze su dove e come si stiano maggiormente sfruttando queste tecnologie. “Un’azienda che opera nel mondo della distribuzione B2C di prodotti elettronici, a seguito di un aumento delle richieste della clientela sul portale di eCommerce, ha implementato un chatbot per gestire meglio l’help desk ed i servizi di customer care; oggi il sistema gestisce il 60% delle richieste che prima venivano gestite dal team di customer support non solo con risultati evidenti sulla riduzione dei costi ma anche sul miglioramento del rapporto con i clienti”, racconta Bellinzona.

Di questo servizio fa parte anche il seguente articolo:

LO SCENARIO – Sistemi cognitivi: ‘prepararsi’ per sfruttarli in azienda

“C’è poi un caso di una realtà del mondo finanziario che aveva bisogno di un sistema più efficace per garantire un adeguato supporto alle persone nella conoscenza delle procedure interne; in questo caso il sistema analizza documentazione e manuali ‘al posto’ della singola persona, che per conoscere una procedura pone semplicemente una domanda al sistema ed ottiene la risposta”.

Gli esempi di Bellinzona stimolano il dibattito e la curiosità in sala, alimentata sicuramente anche dalle testimonianze riportate da Tiziano Barizza, responsabile Information Technology di Banca Etica, il quale ha raccontato ai colleghi quali sono le valutazioni che l’istituto sta effettuando nell’avvio di un progetto pilota che vede l’impiego di un chatbot come strumento di supporto alla clientela, e di Pino Omodei Salè, direttore Operations di Messaggerie Libri che ha invece descritto come la sua azienda, nell’ambito di un complesso percorso di trasformazione dei sistemi It, stia esplorando le potenzialità degli advanced analytics per migliorare il proprio business e rimanere concorrenziale sul mercato.

Lino Pascale, Supply Chain manager di Adler Ortho, chiede se vi siano già casi concreti di applicazione dei sistemi cognitivi nelle aree di attività della catena di approvvigionamento, distribuzione, logistica.

“Le tre aree su cui si stanno maggiormente concentrando le implementazioni in questo momento sono marketing, gestione del rischio e supply chain”, è la prima risposta fornita da Marco Guida, Associate Partner McKinsey Analytics, cui fa eco Bellinzona riportando nuovamente un concreto caso di utilizzo:

“Un’impresa che opera nel campo della ristorazione, in particolare nella vendita/distribuzione di pasti alle mense, aveva bisogno di ottimizzare i processi di approvvigionamento; tipico progetto di advanced analytics e demand forecast ma – descrive Bellinzona – sfruttando algoritmi di machine learning è stato possibile analizzare anche grandi moli di dati non strutturati (per esempio le previsioni meteo, la geolocalizzazione) che hanno permesso di raggiungere risultati superiori rispetto ad un progetto tradizionale di analytics”.

L’approccio black box preoccupa le aziende

Un paio di partecipanti alla discussione hanno quindi evidenziato una problematica che ha animato la discussione: “Fidarsi del modello black box – è stato detto – per un’azienda industriale non è facile; accettare che un capo di abbigliamento o un pacco si trovi in un determinato luogo perché lo ‘dice’ un algoritmo non è banale da spiegare al business”.

Ciò a cui ci si riferisce è il processo attraverso il quale un sistema cognitivo giunge ad una conclusione/decisione: “Non sapere come un algoritmo prenda una decisione richiede una fiducia intrinseca nel sistema cui le aziende non sono ancora abituate”, hanno rimarcato gli intervenuti.

“È proprio per questo che si devono identificare gli use case in azienda – risponde Guida -. Bisogna partire da un progetto pilota attraverso il quale ‘testare’ i risultati; questo implica anche lo sviluppo di nuove competenze come il ruolo del cosiddetto ‘translator’ che sappia trasferire correttamente al business le potenzialità: la fiducia si costruisce solo attraverso i risultati ma all’inizio ci si deve fidare degli algoritmi, ecco perché il ‘translator’ diventa fondamentale”.

A testimonianza della reale concretezza dello sfruttamento di questi sofisticati sistemi cognitivi arriva anche l’esperienza di Francesco Oggionni, It manager Emea di Novartis Farma: “Nel mondo farmaceutico l’analisi dei dati ‘reali’ di utilizzo dei farmaci da parte delle persone (e non quindi quelli degli studi clinici più tradizionali), con relativa segmentazione della popolazione e dei pazienti, richiede algoritmi molto sofisticati. L’obiettivo è poter valutare non solo l’efficacia del farmaco sulla malattia ma anche l’efficienza del prodotto rispetto all’utilizzo dello stesso da parte della popolazione (dati che servono poi ai governi per definire le proprie strategie e piani in ambito sanitario)”.

Oggionni riprende poi il tema delle competenze offrendo la sua visione: “Ciò che chiede il business è la semplificazione della descrizione di come funzionano gli algoritmi (che è esattamente il ruolo del ‘translator’): se si riesce a spiegare in modo semplice al business cosa fanno gli algoritmi allora i top manager si fideranno della logica del black box”.

A caccia di competenze…

Ciò su cui insiste Oggionni, cui fanno eco anche altri professionisti al tavolo come Lucio Gallina, Regional It manager di Bosch, Nicola Salvemini, It Architecture Senior Manager Business Intelligence and Digital Marketing Area di Fastweb, Gianbattista Angelini, Head of Digital and Data Technology di Rcs Mediagroup, è l’importanza dei centri di competenza/eccellenza.

“Bosch si definisce ormai una società informatica – spiega Gallina – ed impiega moltissime risorse (economiche e competenze professionali) nell’ambito della ricerca e della sperimentazione con l’obiettivo primario di identificare non solo le opportunità tecnologiche in sé ma anche le modalità attraverso le quali introdurle efficacemente in azienda. Il nostro gruppo ha deciso di ristrutturarsi partendo dal chiedere ai dieci top manager – che guidano oltre 400mila persone in oltre 140 paesi – cosa avrebbero voluto dall’It nei prossimi anni e da lì si è partiti con una nuova strategia che ha visto l’It suddividersi in più gruppi: uno centralizzato cui fa capo la governance dei sistemi attorno al quale ruotano molteplici centri di competenza specifici per tematiche e progettualità. Abbiamo per esempio un centro dedicato al tema dei Big Data Analytics, un altro specifico sull’IoT fino a spingerci verso centri di innovazione come quello che abbiamo dedicato alla sperimentazione delle auto a guida autonoma dove l’intelligenza artificiale (area nella quale Bosh ha investito aprendo tre differenti centri di competenza nel mondo) assume un ruolo di prim’ordine”.

Entrando nel vivo del tema delle competenze Salvemini porta al tavolo della discussione un’importante riflessione: “le aziende sono a caccia di figure nuove come quelle dei Data Scientist da qualche anno ormai, ma è molto difficile reperirle sul mercato. Da un lato sono le imprese stesse che non sanno bene cosa cercare e come selezionare le figure che servirebbero all’It (a volte poi si ‘scade’ nella ricerca del neolaureato che però deve essere anche esperto e preparato), dall’altro c’è mancanza di offerta. Una situazione che potrebbe ribaltarsi se non amplificarsi con la ricerca delle nuove competenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale e dei sistemi cognitivi. Come si può cambiare un’azienda e avviare percorsi di digital transformation affidando un simile onere a qualche neolaureato?”.

“Noi abbiamo ragionato su un centro di eccellenza interno – gli fa eco Oggionni – mettendo insieme competenze multidisciplinari ‘attingendo’ dalle varie linee di business dell’azienda, andando quindi a cercare le competenze tra i colleghi”.

…e di tecnologia

A chiusura di evento Oggioni e Angelini hanno offerto ai colleghi alcuni spunti interessanti anche sui possibili percorsi tecnologici da avviare a sostegno di modelli di business nuovi che nei sistemi cognitivi (e nelle infrastrutture a sostegno) potrebbero avere in un futuro non troppo lontano un motore di competititivtà.

“Sul fronte tecnologico abbiamo ridefinito le architetture con la logica del Data Lake, focalizzando l’attenzione su temi quali la qualità e l’ownership del dato, la compliance e la governance (del dato e dei sistemi)”, fa presente Oggioni. “Sul piano della governance i progetti hanno una gestione ed un controllo centralizzati (a livello internazionale) ma l’esecuzione e ancor più la possibilità di sperimentare godono di una certa autonomia locale”.

“Credo che la risposta tecnologica per l’implementazione di un sistema cognitivo in azienda debba necessariamente passare da un modello di gestione dei dati basato su Data Lake – invita a riflettere Angelini in chiusura di evento -. Bisogna tuttavia porre la massima attenzione agli step intermedi; noi siamo riusciti a implementare un’infrastruttura di Data Lake (attraverso la quale siamo oggi in grado di sviluppare progetti di advanced analytics per il marketing) in soli quattro mesi perché abbiamo in realtà lavorato prima alla ridefinizione del master data management e del modello di governance. La rapidità con la quale oggi è possibile non solo avviare progetti It ma anche iniziare a raccoglierne i frutti in tempi brevi è oggi una possibilità facilmente coglibile grazie a infrastrutture ed architetture disponibili in cloud”.

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