Ibm e il computer quantistico: lavori in corso al Centro di Ricerca di Zurigo

Pura ricerca sperimentale ma anche calcolo computazionale basato su qubit e chip neuromorfici tra le aree di indagine del Centro di Ricerca di Ibm a Zurigo, sistemi che potrebbero rappresentare la base di nuovi e ancor più potenti elaboratori cognitivi. Tra un decennio potremmo già vedere il primo computer quantistico ‘standard’

Pubblicato il 11 Nov 2016

ZURIGO – Un centro di ricerca sperimentale dove lavorano un centinaio di scienziati provenienti da 45 paesi differenti e dal quale sono usciti ben 4 premi Nobel per la Fisica. È l’Ibm Research Center di Zurigo all’interno del quale, accanto agli scienziati che si occupano di ‘ricerca pura’, lavora un gruppo di ricercatori e professionisti in varie discipline (ingegneria, meccanica, elettronica, chimica, fisica, matematica, ecc.) che sta indagando le nuove frontiere della capacità computazionale e dei sistemi cognitivi. Vediamo in quali ambiti.

Di questo servizio fa parte anche il seguente articolo:
LA VISION – Ibm Research Center a Zurigo, ecco i traguardi raggiunti nella ricerca teorica e sperimentale


1) Quantum computing

Stefan Filipp

A lavorarci, tra gli altri, gli scienziati Stefan Filipp e Andreas Fuhrer che ci hanno condotto nel viaggio della scoperta del computing di domani che potrebbe rappresentare la nuova leva su cui rimodellare il business dell’offerta It hardware (non solo di Ibm) nonché aprire nuove frontiere nella ricerca medico-farmacologica (oggi i calcoli quantistici vengono impiegati per la crittografia ma l’elaborazione basata su qubit potrà in futuro risolvere problemi di fisica e chimica oggi irrisolvibili), rivelare nuovi aspetti dell'intelligenza artificiale (che potrebbero accelerare lo sviluppo di nuove e più potenti tecnologie), produrre nuovi sviluppi nella scienza dei materiali per trasformare la produzione industriale e consentire operazioni di ricerca su volumi massicci di dati. Nei laboratori di Zurigo nell’ultimo anno è stato raggiunto un importante traguardo superando quello che era considerato uno dei principali ostacoli allo sviluppo del quantum computing, ossia la capacità di identificare contemporaneamente entrambi i tipi di errori che si generano nel calcolo basato su qubit (bit-flip, un non intenzionale cambio di stato da 0 a 1 o viceversa; phase-flip, errore nel segnale; fino allo scorso anno non esisteva la possibilità di rilevarli entrambi ma solo uno alla volta e questo rappresentava un enorme limite nell’esecuzione dei calcoli). Filipp e Fuhrer hanno lavorato al disegno di un nuovo circuito (una griglia di 4 qubit), un microchip grazie al quale è stato possibile riconoscere i due tipi di errore simultaneamente.

Andreas Fuhrer

Ad oggi non esiste ancora un computer quantistico universale, tuttavia Ibm prevede che i primi processori quantistici di taglia media, da 50-100 qubit, saranno una realtà entro il prossimo decennio. “Uno smartphone potrebbe già oggi ospitare da 2 a 4 qubit”, ci fa sapere Fuhrer. “Fra le sfide ancora da superare ci sono la creazione di qubit di alta qualità, il loro raggruppamento in funzione della scalabilità della capacità di computazione (al fine di poter eseguire calcoli complessi in modo controllabile) ed il raffreddamento”. Le informazioni quantistiche sono molto fragili e necessitano di una protezione da qualsiasi errore causato da calore o radiazioni elettromagnetiche; basti pensare che oggi per misurare le attività sul processore quantistico, i segnali devono passare da un refrigeratore a diluizione criogenica [il suo processo di refrigerazione usa una miscela di due isotopi di elio, cioè due atomi di elio con differente numero di massa dovuta ad un diverso numero di neutroni presenti nel nucleo dell'atomo – ndr].

2) Chip neuromorfici

Manuel Le Gallo

A parlarci delle ultime novità raggiunte sul fronte dei chip neuromorfici, circuiti che imitano il funzionamento delle connessioni neurali di un cervello umano, è Manuel Le Gallo, co-autore di una recentissima pubblicazione scientifica (apparsa su Nature Nanotechnology) con la quale gli scienziati hanno presentato al mondo nuovi neuroni artificiali realizzati in laboratorio con materiali ‘phase change’ (a cambiamento di fase). I ricercatori hanno utilizzato il ‘germanio tellururo di antimonio’ [di derivazione dalla lega GeSbTe, germanio, antimonio e tellurio, materiale a transizione di fase usato nei dischi ottici riscrivibili – ndr], materiale che mostra due stati stabili (uno cosiddetto amorfo, senza una struttura definita, ed uno cristallino, dotato quindi di struttura) che non serve per salvare informazioni ma per abilitare sinapsi, come avviene tra i neuroni biologici. Mediante una serie di impulsi elettrici, questi neuroni artificiali mostrano una progressiva cristallizzazione del materiale ma ciò che risulta davvero innovativo è il cambiamento di carica elettrica tra l’interno e l’esterno del chip (chiamato ‘proprietà integrate-and-fire’ che nel cervello umano accade per esempio quando si tocca qualcosa di caldo e costituisce la base del calcolo basato su eventi). Partendo da queste scoperte, gli scienziati di Ibm stanno lavorando alla strutturazione di ‘popolazioni di centinaia di neuroni artificiali’ utilizzandole per gestire segnali complessi e veloci; questi neuroni artificiali stanno mostrando di poter sostenere miliardi di cicli di trasformazione con un consumo energetico molto basso: l’energia richiesta per l’aggiornamento di ciascun neurone – cioè per il suo cambiamento di fase – è meno di 5 picojoule [unità di misura dell’energia che corrisponde a un milionesimo di milionesimi di joule, cioè 10-12 joule – ndr] con un consumo medio minore di 120 microwatt; per avere un termine di paragone, 60 milioni di microwatt rappresentano la potenza di una lampadina di 60 watt.

Numerose popolazioni di neuroni artificiali di questo tipo (ad alta velocità ed a basso consumo energetico) potrebbero rappresentare la base hardware di nuovi processori e la chiave di volta nella creazione di sistemi di calcolo neuromorfici ad elevata densità. Ipotizzando altre applicazioni, ogni singolo neurone potrebbe essere utilizzato per rilevare modelli e scoprire correlazioni in real-time nei flussi di dati che caratterizzano gli eventi; nell’ambito IoT i sensori potrebbero raccogliere e analizzare volumi di dati sulle condizioni climatiche per effettuare previsioni più accurate; in campo finanziario i neuroni artificiali potrebbero essere impiegati per identificare modelli nelle transazioni finanziare e far emergere eventuali difformità.

3) Cognitive System

Il team per la diagnosi delle malattie rare del centro di ricerca della Rhon-Klinikum

Nel nostro viaggio alla scoperta di cosa vedremo tra qualche anno sul piano delle nuove tecnologie non poteva mancare l’intelligenza artificiale con i sistemi cognitivi basati sull’ormai noto Watson. In questo caso usciamo dall’ambito della pura ricerca sperimentale per entrare in quello della ricerca applicata dato che Watson trova già oggi spazio in numerosi progetti che vanno dal campo medico a quello industriale. A Zurigo siamo stati testimoni di un interessante progetto che vede Watson applicato alla diagnosi delle malattie rare.

Il centro di ricerca della Rhon-Klinikum (una delle più grandi aziende private del settore healthcare in Germania, con 5 sedi ospedaliere e centri di ricerca interni che collaborano con le principali università del paese) sta avviando un progetto pilota (inizierà alla fine di quest’anno) per applicare Watson in funzione di ‘cognitive assistant’ all’interno di un centro per le malattie non diagnosticate e rare. Il progetto pilota arriva dopo mesi di ‘preparazione’ nei quali medici e tecnici (It e scienziati) hanno lavorato per creare la verticalizzazione di Watson, un sistema cognitivo in grado di interagire in linguaggio naturale, ragionare, apprendere e operare all’interno del contesto delle malattie rare. Molti dei pazienti affetti da patologie non diagnosticate hanno una lunga storia medica che include un’enorme quantità di dati non strutturati (test di laboratorio, report clinici, prescrizioni farmacologiche, radiografie, report patologici, ecc.); solitamente i medici che incontrano i pazienti devono quindi effettuare una lunghissima indagine preliminare prima di poter comprendere e poi diagnosticare una malattia, fase ancor più complicata quando si tratta appunto di patologie rare o mai diagnosticate in precedenza. Ed è qui che interviene Watson al quale verranno ‘dati in pasto’ tutti questi dati (anonimizzati nel rispetto della privacy dei pazienti) che dovrà analizzare (sfruttando le Api di Watson nel cloud di Ibm) cercando anche le corrispondenze linguistiche, dato che riceverà documenti in lingua tedesca ma avrà un bacino di fonti internazionali (tutte le pubblicazioni medico-scientifiche, i referti dei medici a livello mondiale, i documenti messi a disposizione da altri centri di ricerca, ecc.) attraverso le quali ‘scovare’ le informazioni utili per arrivare alla diagnosi. Quest’ultima spetterà in fase finale sempre al medico, ma tutta la fase investigativa, grazie a Watson, potrà essere ridotta da mesi a pochi giorni, aprendo quindi nuove opportunità per le cure tempestive (Watson potrà essere impiegato anche nella fase successiva, ossia quella dell’identificazione della terapia più opportuna).

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