ZURIGO – Nato nel 1956, il centro di ricerca di Ibm situato a Zurigo rappresenta un’eccellenza mondiale nell’ambito della ricerca teorica e sperimentale non necessariamente legata all’It e quasi del tutto ‘scollegata’ dal business della multinazionale americana. È proprio questa la sensazione che
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GLI AMBITI DI AZIONE – Ibm e il computer quantistico: lavori in corso al Centro di ricerca di Zurigo |
abbiamo avuto visitando pochi giorni fa il centro: ciò che si cerca lì dentro, si teorizza, si sperimenta è così ‘in là’ nel futuro che non è detto che si concretizzi proprio nel settore delle tecnologie It.
Un esempio concreto di quanto affermiamo è rappresentato dal microscopio a effetto tunnel (strumento per lo studio delle superfici a livello atomico); sviluppato nel 1981 da Gerd Binnig e Heinrich Rohrer proprio nei laboratori di Zurigo, fruttò ai due scienziati il premio Nobel per la Fisica nel 1986, anno in cui per altro Binnig, insieme ad altri due colleghi, Calvin Quate e Christoph Gerber, diede poi vita al microscopio a forza atomica (Afm), oggi uno dei principali strumenti di manipolazione della materia su scala nanometrica. “L’Afm consente di vedere i legami molecolari della materia e come questi si modificano in base a sollecitazioni o fattori esogeni, come le onde elettromagnetiche per esempio, arrivando a determinare, atomo per atomo, la composizione della superficie”, ci dice il ricercatore Niko Pavlicek. L’Afm non è solo uno strumento diagnostico ma funge da ‘laboratorio nel laboratorio’ perché “mediante il suo utilizzo gli scienziati stanno per esempio studiando le catene molecolari delle proteine per capirne le forze che tengono insieme le loro strutture e come avvengono le modifiche sui singoli atomi (sperimentazioni dalle quali potrebbero poi derivare applicazioni di varia natura, per esempio nell’ambito della ricerca medica)”.
E dopo 30 anni dal primo Nobel (nel 1987 al centro di Zurigo altri due scienziati hanno ricevuto il Nobel, sempre per la Fisica: K. Alex Muller e J. Georg Bednorz premiati per la scoperta della superconduttività ad alte temperature di cui oggi possiamo vedere le applicazioni nelle apparecchiature mediche di risonanza magnetica, per esempio) gli scienziati Peter Nirmalraj e Bernd Gotsmann hanno segnato un ulteriore passo avanti nell’ambito dell’imaging atom-by-atom e delle misurazioni atomiche analizzando e dimostrando come si strutturano livelli molecolari liquidi in 2D (utilizzando un microscopio a effetto tunnel in un ambiente liquido a temperatura controllata, da cui è poi derivata la recentissima invenzione del cosiddetto ‘scanning probe thermometry’, una sonda attraverso la quale è possibile ricavare la mappatura della temperatura di funzionamento dei dispositivi nanometrici aprendo così nuove strade anche nell’ambito della ricerca dei sistemi di raffreddamento).
Un italiano alla guida di un gruppo di giovani ricercatori
Oggi il centro svizzero ospita un centinaio di scienziati di 45 nazionalità differenti ed è diretto dall’italiano Alessandro Curioni; nel 2011 è stata inaugurata una nuova ‘ala’ intitolata a Binning e Rohrer, The Binning and Rohrer Nanotechnology Center, che si occupa di nanoscienze. Durante la nostra visita abbiamo scoperto a cosa stanno lavorando i ragazzi di oggi (terminologia doverosa dato che l’età media dei ricercatori è di 25-26 anni) di cui possiamo dare evidenza:
1) diagnostica di precisione via mobile: si stanno mettendo a frutto tutte le conoscenze del centro nell’ambito della nanoelettronica per lo sviluppo di mini stick grazie ai quali sarà possibile effettuare diagnostica di precisione su campioni biologici (per esempio sui microfluidi come il sangue), leggendone i risultati su uno smartphone. “Pensate ai risvolti che si potrebbero avere nella gestione delle epidemie se si riuscisse a diagnosticare la malaria in tempi rapidissimi”, invita a riflettere Emmanuel Delamarche, lo scienziato che sta guidando la ricerca nel campo della diagnostica di precisione al centro di Zurigo.
2) Internet of body (wearable device e sistemi cognitivi per l’assistenza medica domiciliare): un wearable device abbinato ad ‘cognitive hypervisor’ in grado di comportarsi come se fosse un infermiere a domicilio, interagendo in linguaggio naturale, suggerendo al paziente come comportarsi e chiamando in real-time il medico in caso di necessità. È questo ciò a cui sta lavorando la ricercatrice Rahel Straessle con un mix di competenze che vanno dalle nanotecnologie (l’hypervisor si presenta fisicamente come un piccolo sistema hardware, a forma di dodecaedro, che sta sul palmo di una mano), al machine learning e cognitive system, passando per IoT, mobility, analytics.
Quelle gestite dal centro di ricerca di Zurigo sono attività di pura ricerca sperimentale che tuttavia vedono, tra gli altri, potenziali ambiti di applicazione all’interno di fenomeni di digitalizzazione diffusa nelle aziende e nella società.