Quarta rivoluzione industriale “ladra” di posti di lavoro? Se da anni gli analisti tentano di diffondere rassicurazioni davanti ai timori di una spietata concorrenza da parte di robot e macchine intelligenti, è altrettanto vero che scardinare l’atavica paura di ritrovarsi senza occupazione resta compito arduo. Tutti i grandi cambiamenti industriali hanno provocato allarmismi sul futuro, fanno notare gli esperti. Eppure, i tempi recenti sono costellati di ricerche che danno conto di un diffuso scetticismo in questo senso: una fra tutti, l’indagine Eurobarometro, che nel 2017 attestava al 72% la quota di cittadini europei preoccupati del fatto le nuove tecnologie possano “rubare i posti di lavoro alle persone”. Un nuovo studio offre una prospettiva decisamente più articolata rispetto a quella citata.
Focus sui knowledge worker
Il comune denominatore delle indagini sul tema mette in luce una duplice percezione del problema in ambito aziendale: da un lato i lavoratori con i loro timori, dall’altro il management, che da sempre nutre invece fiducia nell’automazione e la considera positiva anche in termini di impatto sulla forza lavoro. Una dicotomia piuttosto netta, sempre attestata dalle rilevazioni, che però oggi pare assumere un più complesso livello di articolazione in seguito ai risultati di un nuovo studio. Il primo, probabilmente, a concentrare l’attenzione sui knowledge worker e a indagare quanto sia tra loro sedimentata la convinzione che l’AI possa davvero prendere il loro posto.
Autori dell’indagine, che prende il titolo di “Limitless: The Positive Power of AI”, sono gli analisti di Cloudera, i quali hanno coinvolto 2.213 decisori aziendali, dei quali 54% CxO, e 10.880 knowledge worker in Stati Uniti, EMEA, India e APAC. Obiettivo: analizzare il cambiamento di atteggiamento in azienda nei confronti di AI, Machine Learning (ML) e Data Analytics, ponendo un focus particolare sui “lavoratori della conoscenza”, ovvero sulla forza lavoro per la quale la conoscenza rappresenta il principale input e output dei processi (dalla soluzione di problemi all’orientamento degli eventi, sino all’analisi di dati e la formulazione d idee innovative). Un aggregato di lavoratori che, in termini quantitativi, rappresenta una delle porzioni più numerose del mondo produttivo attuale, superando operai, impiegati e contadini messi insieme.
Intelligenza artificiale e Machine learning: due potenti alleati
Quel che emerge va, inaspettatamente, controcorrente rispetto alle percezioni attestate dagli studi precedenti. E mette in luce un fatto inedito: l’esplosione nel volume di dati ha reso AI e ML un filo conduttore per molti ruoli lavorativi, oltre che un potente alleato. Più della metà dei knowledge worker intervistati afferma infatti che le proprie attività quotidiane sono state automatizzate da AI (55%), ML (51%) e Data Analytics (63%) negli ultimi 12 mesi con vantaggi tangibili: il risparmio di tempo (37%), innanzitutto, ma anche la possibilità per loro e per i rispettivi team di concentrarsi maggiormente su attività strategiche (35%). Inoltre, l’80% afferma di sentirsi a proprio agio nell’assumere un nuovo ruolo grazie a queste tecnologie.
Per capitalizzare su questo trend, spiegano gli analisti, le aziende devono investire nella riqualificazione dei propri dipendenti. Nove decisori aziendali su dieci (91%) dichiarano che la loro organizzazione si impegnerà a investire nella riqualificazione dei dipendenti man mano che un maggior numero di task verrà automatizzato. “Ma l’investimento nelle persone non potrà comunque fermarsi qui – afferma l’analisi di Cloudera -. Le aziende hanno bisogno di rendere i dipendenti partner nel processo di aggiornamento e riqualificazione per garantire un esito duraturo”.
Ma non è tutto. La stragrande maggioranza dei knowledge worker (81%) conferisce all’intelligenza artificiale potenzialità dirompenti sullo sviluppo aziendale, tanto da sostenere la necessità di utilizzare proprio l’AI per adottare pratiche commerciali più sostenibili, che vadano a beneficio sia della loro organizzazione sia delle comunità nelle quali operano. L’idea di fondo, in particolare, è che non agire per il bene della società possa mettere a rischio la crescita e il talento, e le tecnologie più evolute sono viste in questo senso come un’efficace leva di cambiamento. Qualcosa su cui agire: non un nemico dal quale doversi necessariamente proteggere.
Detto questo, Cloudera rivela anche che meno di un terzo (31%) dei decisori aziendali opera attivamente per l’implementazione di queste tecnologie e ha comunque una comprensione limitata di come funzionano. Le aziende che affrontano questi temi ottengono un reale vantaggio competitivo nei confronti di clienti e talenti. Se le imprese desiderano veramente integrare la sostenibilità devono iniziare a utilizzare i dati per fornire risultati più sostenibili più velocemente. Se non si agisce tempestivamente, il 23% dei lavoratori della conoscenza e il 27% dei decisori aziendali ritiene che i dipendenti lasceranno l’azienda: mossa particolarmente negativa per il business in un momento di carenza globale di talenti.
La doppia faccia della questione
L’impatto disruptive delle tecnologie intelligenti ha dunque una doppia faccia. Non più solo un acceleratore di processi, a potenziale scapito della forza lavoro umana: ora l’intelligenza artificiale inizia a essere percepita come vero e proprio “strumento di lavoro”, utile e auspicabile. Addirittura, con positivi effetti benefici in termini di impegno ESG dell’impresa. È vero: la novità sembra confinata, per ora, al solo mondo dei knowledge worker. Si tratta di una porzione primaria del mondo produttivo, per di più fra le più soggette ai possibili effetti dell’automazione. In ambiti diversi, il tema dell’automazione continua a essere guardato con preoccupazione.
La percezione raccolta da Cloudera si scontra, per esempio, con quella registrata tre anni fa da un’indagine della società Adp – specializzata nella gestione del capitale umano – su un campione di oltre 10 mila lavoratori europei, di cui 1.300 in Italia. Secondo i dati, nel nostro Paese il 41,7% dei lavoratori si diceva convinto che il proprio lavoro sarebbe stato automatizzato in futuro, contro una media europea del 28% (32% nel Regno Unito, 20% in Svizzera), con possibili e preoccupanti conseguenze sulle possibilità di mantenere l’occupazione.