L’intelligenza artificiale ha cambiato il rapporto tra persone e tecnologia sul lavoro e sta ridisegnando il ruolo che i team HR e i manager devono svolgere nell’attrarre, trattenere e sviluppare i talenti. È quel che emerge dalla seconda edizione dello studio annuale AI at Work, condotto da Oracle e Future Workplace (una società di ricerca che forma i leader a ripensare il posto di lavoro e le attività di assunzione, sviluppo e coinvolgimento dei dipendenti) che ha coinvolto un panel di 8.370 dipendenti, manager e responsabili Risorse Umane in 10 Paesi.
L’adozione dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro
Contrariamente alle comuni paure sull’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione, dipendenti, manager e responsabili delle Risorse Umane di tutto il mondo stanno segnalando un aumento dell’adozione dell’AI sul posto di lavoro e molti la stanno accogliendo con positività e ottimismo fugando le paure sull’impatto di questa tecnologia in ambito lavorativo.
L’IA si sta affermando sempre più, infatti, il 50% dei lavoratori attualmente utilizza una qualche forma di AI nello svolgimento del proprio impiego, superando di parecchi misure il 32% dell’anno scorso. I lavoratori in Cina (77%) e India (78%) hanno tassi di adozione oltre il doppio di quelli di Francia (32%) e Giappone (29%).
Il rapporto con i robot
La maggioranza (65%) dei lavoratori è ottimista, entusiasta e grata di avere colleghi robot e quasi un quarto riferisce di avere un rapporto molto positivo e gratificante con l’AI sul posto di lavoro.
I lavoratori in India (60%) e Cina (56%) sono i più entusiasti, seguiti da quelli degli Emirati Arabi Uniti (44%), Singapore (41%), Brasile (32%), Australia/Nuova Zelanda (26%), Giappone (25%), Stati Uniti (22%), Regno Unito (20%) e Francia (8%).
Gli uomini hanno una visione più positiva dell’AI (32%) rispetto alle donne (23%).
La crescente adozione dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro sta avendo un impatto significativo sul modo in cui i dipendenti interagiscono con i loro manager, con una conseguente evoluzione del ruolo tradizionale dei team HR e del manager stesso.
Il 64% delle persone si fiderebbe di un robot più del proprio manager e la metà si è rivolta a un robot invece che al proprio manager per una consulenza.
I lavoratori in India (89%) e Cina (88%) hanno maggior fiducia nei robot rispetto ai loro manager, seguiti da Singapore (83%), Brasile (78%), Giappone (76%), Emirati Arabi Uniti (74%), Australia/Nuova Zelanda (58%), Stati Uniti (57%), Regno Unito (54%) e Francia (56%).
Più uomini (56%) rispetto alle donne (44%) si sono rivolti all’AI invece che ai relativi manager.
L’82% ritiene che i robot possano fare le cose meglio dei loro manager. Alla domanda su cosa i robot possono fare meglio dei loro manager, gli intervistati hanno risposto che i robot sono più bravi a fornire informazioni imparziali (26%), rispettare i programmi di lavoro (34%), risolvere i problemi (29%) e gestire i budget (26%).
Interpellati su cosa i manager sono in grado di fare meglio dei robot, i lavoratori hanno elencato la comprensione dei loro sentimenti (45%), la formazione (33%) e la creazione di una cultura del lavoro (29%).
Intelligenza artificiale sul lavoro, cosa fare guardando al futuro
L’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro è solo all’inizio e per sfruttare gli ultimi progressi in materia, le aziende devono concentrarsi sulla semplificazione e sulla sicurezza dell’AI sul posto di lavoro. Il rischio è di perdere terreno.
Il 76% dei lavoratori (e l’81% dei responsabili delle risorse umane) trova difficile tenere il passo con i cambiamenti tecnologici sul posto di lavoro.
I lavoratori desiderano interagire in modo semplice con l’intelligenza artificiale al lavoro, infatti, richiedono una migliore interfaccia utente (34%), una formazione sulle migliori procedure (30%) e un’esperienza personalizzata in base al loro comportamento (30).
La sicurezza (31%) e la privacy (30%) sono le principali preoccupazioni che impediscono ai lavoratori di utilizzare l’AI a scopi professionali.
I nativi digitali della Generazione Z (43%) e i Millennials (45%) sono più preoccupati per la privacy e la sicurezza sul lavoro rispetto a coloro che appartengono alla Generazione X (29%) e ai Baby Boomers (23%).