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IT e AI generativa: alla ricerca di una governance perduta

Già ampiamente in uso tra i singoli, gli strumenti di AI generativa come ChatGPT hanno bisogno di essere governati da un IT oggi messo alla prova. Una prova di velocità e di destrezza non banale, associata a scelte fondamentali e strategiche come quella di optare per soluzioni on premises oppure di affidarsi a quelle in cloud

Pubblicato il 01 Giu 2023

data science

Inseguire gli annunci su ChatGPT & friends è dispendioso e stancante. Utile? Non molto. Sono tanti, spesso “gonfiati” e schierati troppo pro o troppo contro questa novità che è invece necessario “digerire” e gestire al meglio. Nel concreto e nel quotidiano.

Le aziende, e l’IT in particolare, hanno bisogno di questo e non di “false” breaking news con hashtag #AIgenerativa che poco contribuiscono alla risoluzione dei problemi che li affliggono nel day by day.

Una tecnologia trainata da singoli pionieri consumer

Il primo passo da fare per affrontare in modo costruttivo l’evidente disruption innescata da questa nuova tecnologia è prenderne atto. Ciò significa rendersi conto di quanto questi strumenti siano usati nel quotidiano, soprattutto dai knowledge worker, quelli che ne traggono maggior beneficio.

“Chi lavora coi contenuti può registrare un forte aumento di produttività. Github mostra inoltre che chi usa algoritmi per scrivere codice impiega il 50% del tempo. Sono soluzioni che con poco sforzo forniscono spesso molti vantaggi e, se ciò non accade, sono talmente veloci da non causare rallentamenti. Usarle non è mai una perdita di tempo. Ora siamo giunti a un vero e proprio punto di svolta” spiega Alessandro Vitale, membro della task force AgID sull’intelligenza artificiale impegnato in una vasta opera di sensibilizzazione rispetto all’AI generativa verso numerose aziende e organizzazioni italiane. Secondo Vitale siamo come all’inizio della diffusione del cloud, “quando le persone usavano Dropbox personale per passare i documenti”

Governance, sicurezza e formazione, tutto a carico dell’IT

Questa “fuga in avanti dei singoli” rappresenta una sfida per le aziende che, più lente e restie al cambiamento, si trovano a rincorrere questo trend. “È partito subito rivolgendosi anche al mercato consumer e, nonostante lo stop dato dal Garante della Privacy, in molti hanno trovato il modo di utilizzarlo” spiega Vitale che, dal suo privilegiato punto di vista di formatore, vede quali strade stanno imboccando le aziende.

Le più piccole e dinamiche stanno formando i dipendenti, invitandoli a usare questi strumenti e sperimentare. Le più grandi o iniziano ad approcciare il tema facendo formazione e sensibilizzazione e oppure hanno “scatenato” il proprio team IT per sviluppare soluzioni interne o strategie di adozione strutturate.

Il vero problema è però quello della governance. “I singoli si sono mossi subito, spesso accogliendo la novità con entusiasmo e curiosità. Ne traggono beneficio e difficilmente vi rinunceranno. L’IT è quindi chiamato a gestirla al meglio, prendendone il controllo con approcci più o meno veloci, a seconda delle dimensioni dell’azienda” spiega Vitale.

Una sfida nella sfida è rappresentata dalla sicurezza dei dati: i dipendenti potrebbero diffonderne di confidenziali mentre sperimentano gli strumenti a loro disposizione. Un rischio da correre e da mitigare con tre principali azioni. Prima di tutto è fondamentale scegliere fornitori che garantiscano la sicurezza aziendale. Bisogna lavorare anche su una governance che metta tutto a fattore comune e spieghi quando e come usare le varie soluzioni. Infine serve fare tanta formazione, collaborando con il team HR

Modelli AI on premise e la sfida dell’open source

“Se lo fai conoscere, lo governi” può diventa il mantra dell’IT che, nell’opera di education svolta in questo frangente, deve includere anche il capitolo “prompting”. Un tema esploso nel giro di pochi mesi e che, secondo Vitale, “non è fisiologicamente esternalizzabile. Soluzioni come ChatGPT sono usate da singoli nel quotidiano, quindi il prompting è un tema che va affrontato internamente facendo tanta formazione. Tutti devono imparare come, ai tempi, hanno imparato a fare ricerche con Google. Altra cosa è invece il prompting evoluto, quello utilizzato quando si integrano sistemi AI in altri processi. In questo caso si tratta di competenze richieste solo a chi sviluppa sistemi. È necessario essere molto ferrati per farlo, ma si tratta di esigenze specifiche che emergono nei team legati a singoli progetti”.

“Svangato” il tema della formazione “urbis et orbis”, le organizzazioni si trovano tra le mani uno strumento molto potente che devono capire come indirizzare. Secondo Vitale l’errore da evitare è quello di metterli a disposizione degli utenti finali. I rischi legati alle allucinazioni sarebbero troppo elevati. Ne esistono anche nell’uso interno ma in questo caso si possono mitigare a suon di formazione. “In questo contesto diventa poi essenziale spiegare a tutti l’importanza di mantenere un approccio critico a questi strumenti. Quando poi saranno più integrati nei processi aziendali, sarà necessario studiare iter che incoraggino l’utente interno a fare controlli e revisioni” spiega.

Un altro task di responsabilità per un IT chiamato anche a decidere se optare per un modello pubblico o privato di AI generativa. In gioco ci sono i dati e due ingombranti timori. Quello della mancata compliance al GDPR e quello di nuovi competitor.

Se sul primo arriveranno presto soluzioni adeguate dal mondo dei cloud provider, sul secondo punto resta il dilemma. “Alcuni aziende, infatti, stanno chiedendo soluzioni on premise. Un desiderio lecito, ma su cui è necessario riflettere e valutare la grande differenza di costo tra l’opzione personalizzata e interna e quella ready to use, in cloud. C’è poi da considerare la questione delle nuove competenze e delle GPU dedicate: non esiste una scelta migliore in assoluto, per alcune aziende una soluzione privata può convenire, dipende dalle dimensioni e dalle tipologie”.

Una utile e furba via di uscita potrebbe essere quella offerta dallopen source, “per non partire da zero”, ma va accolta con la consapevolezza di due non banali criticità. Vitale le illustra: “Queste soluzioni saranno valide solo in ambiti ristretti, non se ne potrà fare un uso generico. Inoltre, avranno il problema della lingua: quelle ben funzionanti in inglese non è detto che lo saranno anche in italiano. Il nostro Paese non è munito di dataset adeguati per il training, è un problema che esiste ed è stato segnalato da AgID già cinque anni fa. Oggi, con l’AI generativa ancora una volta paghiamo e ne pagheremo le conseguenze”. È un problema che crea uno svantaggio competitivo per il Paese. Ancora una volta rischieremo di restare indietro e ce la saremo cercata.

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