Lasciando da parte pregiudizi e timori, c’è chi scommette 5,2 milioni di euro, tempo e risorse sull’alleanza uomo-macchina. Lo fa con un laboratorio congiunto e un approccio pragmatico, per evitare inutili prese di posizione a priori e raggiungere risultati che “parlino da soli”. L’iniziativa si chiama JOiiNT LAB e l’hanno lanciata l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e Intellimech, consorzio di ricerca per la meccatronica, con il supporto di Confindustria Bergamo, Kilometro Rosso e Università di Bergamo. Tra i partecipanti anche 9 aziende consorziate: ABB, Brembo, Cosberg, Elettrocablaggi, Fassi, Giovenzana International, SDF, SIAD, Valtellina.
Prove collettive di robotica collaborativa
La sede del laboratorio si trova nel campus Kilometro Rosso, in provincia di Bergamo. Lì vi sono ospitate le attività, tutte di ricerca applicata, adatte a una fase pre-competitiva. I gruppi di lavoro sono composti da ricercatori e ingegneri di azienda. Assieme preparano un framework tecnologico trasversale da personalizzare per lo specifico caso aziendale. La fase di produzione e ingegnerizzazione arriva dopo, fuori da JOiiNT LAB che resta un’oasi serena in cui risulta naturale condividere esperienze, tecnologie e scoperte. Un’atmosfera particolare: “è stato un esperimento anche questo, un esperimento fatto di tanti esperimenti che ora stanno dando i loro frutti” spiega Francesca Negrello, ricercatrice dell’IIT. La sfida è quella di mostrare cosa significa davvero “robotica collaborativa”, con i fatti, rispondendo alle esigenze del tessuto industriale italiano. Non per togliere lavoro, e nemmeno per essere sbandierati dal marketing, i robot arrivano in azienda per migliorare la vita delle persone innovando e ottimizzando la produttività delle aziende
Dalla semplice coesistenza alla collaborazione in real time
Al netto dei preconcetti e dei tabù che aleggiano nell’aria e in rete, la collaborazione tra persone e macchine è un tema complesso e multiforme. Ecco perché in JOiiNT LAB si sviluppano più macroaree di ricerca in parallelo, senza disdegnare eventuali intersezioni.
Tra i nove casi d’uso proposti dalle aziende partecipanti, quattro sono le sfide di introduzione della robotica collaborativa che IIT ha individuato. Negrello spiega che “in due c’è una coesistenza, nelle altre due uomo e macchina collaborano fianco a fianco. La prima sfida è quella di rendere il robot flessibile in modo che supporti le aziende in attività manuali legate a una produzione in evoluzione e che deve essere personalizzabile. La macchina deve essere facilmente riprogrammabile: introdurre un robot oggi non significa solo portare a casa la tecnologia, infatti, ma anche le competenze per utilizzarla nel tempo. Il nostro compito è quello di trasformare un robot avanzato in oggetto facile da utilizzare, come uno smartphone”.
La seconda sfida, in continuità con la prima, mira ad abilitare robot per attività ripetitive e basso valore aggiunto. Mettendosi nei panni delle aziende, infatti, si tocca con mano la complessità di molte situazioni logisticamente scomode, con vincoli, spazi angusti. Oggi, per evitare rischi, ci si arrende a sfruttare l’attività umana ma dei robot agili e forti potrebbero eliminarla, liberando il personale addetto da un compito oneroso ma non appagante.
La terza e la quarta sfida vedono i robot non più coesistere ma collaborare in real time. “Perché la macchina interagisca con l’uomo e lo supporti in modo efficace, servono sistemi intuitivi per programmare il robot e farsi supportare in presenza. Ciò risulta particolarmente utile per i task di assemblaggio e lavorazioni meccaniche. Ci sono infatti casi in cui serve una persona che, grazie alle proprie competenze, supervisiona il robot che la supporta, svolgendo le attività più pesanti o pericolose”.
Per migliorare l’intesa tra uomo e macchina, spesso sul primo vengono aggiunti dei sensori, passando a una dimensione ergonomica della collaborazione. “A questo punto il robot arriva a conoscere il carico di lavoro della persona e l’interazione avviene anche nello spazio del non detto: non serve che la si programmi, la macchina ci percepisce al momento e agisce integrandosi con le nostre azioni” spiega Negrello.
La quarta macroarea di ricerca è quella dei “robot avatar”. Un nome da fantascienza, per una sfida che vuole invece rispondere a esigenze estremamente reali e attuali. “Soprattutto a seguito della pandemia, è emersa fortemente la difficoltà di remotizzare molte attività fisiche effettuate da operatori umani, in situazioni di pericolo. Abbiamo studiato quindi dei robot che diventassero l’avatar fisico della persona, inserendovi interfaccia come visori VR, per mappare i movimenti della persona che li indossa e restituirli al robot che opera sul campo. Sarà possibile comandarlo come fosse un’estensione del corpo” spiega Negrello. Attualmente, questo tipo di robotica collaborativa è in fase di test in contesti legati alla sicurezza della persona, oppure in situazioni in cui è possibile e preferibile remotizzare interventi di assistenza al cliente, minimizzando tempi e rischi.
Contaminazione tecnologica e concretezza: i due segreti di JOiiNT LAB
Per come è stato concepito e realizzato JOiiNT LAB, queste quattro macroaree sono destinate a intrecciarsi, così come le tecnologie e i processi a essere condivisi al suo interno. Merito dell’atmosfera che si è riusciti a creare, complice Intellimech. affrontando sfide dal carattere sia tecnologico che strategico. Due facce delle stesse due mission, condivise e perseguite a quattro mani.
La prima è stata quella di “riuscire a creare terreno comune tra mondo della ricerca e aziende, per approfondire competenze di robotica e creare, step by step, un percorso da compiere assieme, per rispondere a esigenze concrete. Questa fase è stata molto utile e resta un punto di forza di JOiiNT LAB. Lavorando assieme, si creano i presupposti per innescare un reale trasferimento di competenze. Collaborando con tante aziende, si spinge al confronto persone dal background molto diverso. Il risultato è un clima di contaminazione tecnologica, caratterizzato da uno scambio e una crescita di competenze che poi rientreranno e resteranno in ogni azienda” continua Negrello.
La seconda sfida, sulla scia della prima, è stata quella di creare uno “zoccolo duro” di soluzioni e tecnologie in ottica modulare. La parte di controllo, l’hardware di interfaccia uomo-robot, i dispositivi di visione: “abbiamo costruito un framework trasversale ai diversi casi e che integra componenti hardware e software per consentire la prototipazione rapida di sistemi robotici” racconta Negrello. Tali sistemi saranno poi validati e testati all’interno delle singole aziende, coinvolgendone il personale.
In questa fase gioca un ruolo fondamentale Intellimech, mostrandosi in grado di favorire anche la collaborazione e la condivisione di best practices tra aziende. Per trasmettere la difficoltà anche tecnologica nascosta dietro al framework, Negrello porta l’esempio del robot avatar. IIT ci stava lavorando da tempo e lo aveva messo in campo a fianco della protezione civile ad Amatrice, a seguito del terremoto.
L’idea era di affibbiargli le operazioni più complesse e pericolose. “L’esperienza era stata di successo ma per sfruttarla in JOiiNT LAB, per portare la tecnologia in laboratorio e metterla a disposizione di ogni azienda, è stato necessario ristrutturare la parte di codice perché fosse modulare e si potessero comandare diversi robot, con task più o meno complesse. Abbiamo fatto maturare la tecnologia passando da buona idea a un sistema robusto, riproducibile e replicabile in un altro contesto reale. A un framework unitario che sarà sempre un ‘work in progress’ e sempre più in grado di essere ‘personalizzato’ per rispondere a molteplici sfide”.