“La GenAI può portare un incremento di produttività in Italia di 90 miliardi di euro entro il 2030. Ma senza una solida piattaforma dati aperta, sicura, basata su cloud ibrido, l’intelligenza artificiale non può fare molto”.
Alessandro La Volpe, da qualche mese amministratore delegato di IBM Italia, sottolinea che i dati sono la linfa vitale per il successo della enterprise GenAI. “Le opportunità sono enormi e tutti i settori saranno impattati. L’Internet di 30 anni fa è l’unica cosa paragonabile alla GenAI in termini di impatto sul business. Stiamo già vedendo use case importanti in ambito customer experience, coding, IT automation. Bisogna passare però dai POC alla produzione vera e propria. Solo il 10% delle aziende nel mondo si è spostata in un’adozione pervasiva. Siamo solo all’inizio”.
I building block dell’AI: dai dati agli agenti
Da dove partire? La Volpe sottolinea che bisogna partire dall’analisi degli use case.
Dati
Il primo building block è rappresentato dai dati. Ogni progetto AI inizia con i dati. Alessandro La Volpe sottolinea che “quasi il 100% dei dati pubblici è già stato utilizzato, ma meno dell’1% dei dati aziendali è stato sfruttato per addestrare l’AI. C’è un’opportunità enorme sulla quale lavorare”. Lavorare sui dati aziendali interni è cruciale per ottenere un vantaggio competitivo. Questi dati devono essere gestiti su piattaforme aperte, sicure e basate su cloud ibrido per facilitare l’integrazione e l’analisi. L’accesso ai dati rilevanti e di alta qualità è fondamentale affinché i modelli di AI possano apprendere e migliorare le loro performance.
Modelli
Dopo i dati, è il momento di selezionare e ottimizzare i modelli di AI. IBM ha rilasciato modelli Granite di terza generazione in modalità open source. Si tratta di modelli “piccoli” (3 miliardi di parametri, contro i 300 dei modelli generalisti) e pensati per un uso aziendale. Sono modelli aperti, basati su un’architettura ibrida (edge), che “consumano pochissime risorse e vanno a lavorare dove la latenza è bassa e la capacità computazionale alta” commenta La Volpe. “Riusciamo a portare la GenAI sull’edge. Modelli di questo tipo consentono una più rapida adozione e con una resa superiore a quelli generalisti e con costi ragionevoli”. La scelta del modello giusto dipende dalla specifica applicazione: alcuni modelli sono più adatti per task generali, mentre altri sono ottimizzati per applicazioni specifiche nel settore industriale o nei servizi.
Governance
Con l’emergere di un ambiente multi-AI, gestire diversi modelli è diventato cruciale. La governance assicura che i modelli operino in modo etico e trasparente, evitando BIAS e violazioni della proprietà intellettuale. Quello che conta è la fiducia nel modello, il concetto di “Trustworhty AI”. È essenziale che le aziende creino strutture di controllo che monitorino le performance dei modelli, identificando e correggendo eventuali deviazioni o errori.
Assistenti
Gli assistenti AI rappresentano una delle applicazioni più pratiche dell’AI. Questi strumenti automatizzano compiti specifici e migliorano l’esperienza utente. Ad esempio, IBM ha sviluppato code assistant per diversi linguaggi di programmazione, migliorando la produttività nello sviluppo. Tuttavia, gli assistenti possono avere limitazioni quando si tratta di operazioni multi-step.
Agenti
E qui entrano in gioco gli agenti AI. Diversamente dagli assistenti, che si concentrano su singoli task automatizzandoli in funzione dell’addestramento del modello, gli agenti sono in grado di gestire processi complessi che coinvolgono più step. E di fermarsi nel caso manchino alcuni input per proseguire il processo. “Gli agenti lavorano sugli outcome e rappresentano la nuova frontiera della GenAI”, afferma La Volpe. Questi strumenti sono progettati per affrontare domande e problemi complessi, evitando errori e migliorando l’efficienza complessiva. Gli agenti AI possono operare in ecosistemi digitali più complessi, coordinando più sistemi e servizi per offrire soluzioni end-to-end. Sono in grado di apprendere e adattarsi a nuovi scenari, migliorando continuamente le loro capacità attraverso l’analisi di dati e feedback. Gli agenti sono il punto di arrivo, mentre ii dati sono la partenza. E le aziende devono lavorare per aumentare quel famoso 1% di dati usati per alimentare la GenAI.
Lo snodo del change management
“Serve un’AI del fare”, sintetizza Tiziana Tornaghi, General Manager di IBM Consulting. E in questo senso i problemi principali riguardano le competenze e il change management. Ci deve essere un forte commitment top down, accompagnato da un’adozione bottom up. Queste due “forze” devono agire contemporaneamente perché le barriere all’adozione sono molto forti.
“Con i clienti è importante co-creare e lavorare insieme – spiega Tornaghi – In molti casi vanno ridefinite le professioni, vanno rivisti i processi per abilitare i clienti a lavorare in modo diverso. Il discorso delle competenze è fondamentale”.
Le barriere a una piena adozione della GenAI sono le competenze e i dati stessi. “Senza una piattaforma dei dati solida e aperta, diamo una spolverata di AI – chiosa La Volpe – ma non arriveremo mai a cogliere appieno le potenzialità dell’intelligenza artificiale generativa. Entro il 2030, i giochi saranno fatti. O si guadagna un vantaggio competitivo o si rischia di essere esclusi”.