Executive Cocktail

L’alba delle applicazioni intelligenti: quali le infrastrutture necessarie?

L’intelligenza artificiale e il machine learning stanno contribuendo all’innovazione delle applicazioni aziendali aggiungendo funzionalità avanzate, utili sul piano del business. È quanto emerso dall’Executive Cocktail realizzato da ZeroUno in collaborazione con Mauden

Pubblicato il 25 Set 2017

La tavola rotonda al termine dell'Executive Cocktail organizzato da ZeroUno in collaborazione con Mauden

Le applicazioni cognitive e le infrastrutture a loro supporto sono stati i temi centrali di un recente Executive Cocktail dal titolo: Cognitive Computing: infrastrutture e modelli per una integrazione tecnologica e di business, organizzato a Milano da ZeroUno in collaborazione con Mauden. “Dalle applicazioni che interpretano il linguaggio naturale, a quelle di supporto alla diagnosi in campo medico, l’intelligenza artificiale (AI) è entrata a far parte della vita quotidiana – ha affermato Patrizia Fabbri, capo redattore di ZeroUno e chairwoman dell’evento -. “Non è un caso che dopo decenni di sviluppo, IA e machine learning siano oggi tra le prime 10 tecnologie che Gartner invita a tenere d’occhio”. Secondo Forrester, si tratta di un mercato che vede crescere del 300% gli investimenti quest’anno, per un valore globale che IDC stima oggi pari a 8 miliardi di dollari e che toccherà i 47 miliardi nel 2020. Sviluppo testimoniato dal gran numero di acquisizioni di startup nei settori dell’AI, cognitive computing e machine learning: “Sono state 200 dal 2012 a oggi, secondo CB Insight – continua Fabbri – di cui ben 34 nel primo trimestre di quest’anno, con prevalenza negli ultimi di anni di società tradizionali, come Ford, interessate all’acquisizione di queste giovani e agili realtà per innovare il proprio business”. Innovazione che per sfruttare al massimo le opportunità offerta dai sistemi cognitivi, necessita di infrastrutture adeguate, flessibili, capaci di operare in tempo reale.

Applicazioni ed esigenze infrastrutturali del cognitive computing

Per Massimo Ficagna, senior advisor degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, lo sviluppo delle nuove applicazioni cognitive accompagna la digital transformation.

“Un contesto che vede l’IT diventare pervasiva, quindi entrare nelle automobili, negli elettrodomestici, nei sensori per il fitness e così via. Dove l’IT sostiene i fenomeni d’innovazione del social business, delle applicazioni mobili dell’Iot con soluzioni che diventano sempre più facili da usare, che cambiano i modi tradizionali di fare business e ne permettono di nuovi, come dimostrano realtà come Uber o Airbnb”.

Business che si accompagnano con grandi moli di dati da gestire: “Una crescita di 50 volte nel periodo 2010-2020 – precisa Ficagna – da fonti come: analytics Web, sentiment analisys, social, audio e video”. L’Osservatorio BI del Politecnico di Milano prevede che per gestire e analizzare i dati a scopo di business sono stati spesi in Italia 905 milioni di euro nel 2016 contro i 693 milioni di euro del 2014.

Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro? Lapplied AI e l’advanced machine learning saranno sempre più presenti all’interno di applicazioni nuove e tradizionali, come nell’ambito della pianificazione della produzione: “Vedremo agenti intelligenti applicati a robotica, automazione, automobile – spiega Ficagna -. Realtà virtuale e aumentata con collegata simulazione del reale; monete virtuali e contrattistica basate su blockchain”.

Il machine learning cambia l’interazione uomo-macchina rendendola più simile a quella con le persone. “Vedremo sempre più bot a supporto del dialogo via chat o voce – spiega Ficagna – nell’interazione multicanale con il cliente, cosa che dovrà essere accompagnata dall’integrazione tra canali”. Cambia anche lo sviluppo software: “Con meno applicazioni monolitiche a vantaggio di altre fatte con mattoncini on premise o cloud combinati insieme”. Cambia la modalità con cui si fa sicurezza: “Essendo impossibile proteggere il perimetro della LAN è necessario costruire la security su vari livelli, usando il machine learning per analizzare il traffico e cercare minacce”.

Ci sono applicazioni di cognitive computing nel nuovo settore delle self-driving-cars, ma anche nel mondo finanziario sotto forma di robo advisor, sia per uso interno a supporto del trading sia per la consulenza finanziaria. Applicazioni nel customer support: “L’80% delle domande dei clienti è sempre lo stesso, le risposte possono essere automatizzate”, precisa Ficagna. L’intelligenza rende possibile fare sentiment analysis analizzando e interpretando testo o linguaggio naturale. Il cognitive computing si sposa con IoT per applicazioni nel mondo della produzione, pianificazione e predictive maintenance. Le tecnologie cognitive applicate al riconoscimento di immagini saranno sempre più usate nella videosorveglianza, nel supporto alla diagnosi medica, nella ricerca di documentazione scientifica: “Già oggi si usano nell’IT per l’analisi dei log miglioreranno nella capacità di diagnosticare e risolvere problemi, fare predictive maintenance, migliorare la sicurezza dei sistemi”.

Sul fronte delle infrastrutture, l’impiego di applicazioni cognitive si accompagna a esigenze di gestione dati ed elaborazione IT non dissimili a quelle di altre applicazioni innovative. “Serve capacità di gestire l’alimentazione dati da fonti diverse ed eterogenee – spiega Ficagna – capacità di elaborazione in realtime o quasi”. Questo significa gestire storage come data-lake, usare dischi SSD, fare elaborazioni dati in memory, usare sistemi convergenti, iperconvergenti e cloud per avere scalabilità e flessibilità. In ambito software, impiegare la virtualizzazione dall’elaborazione fino alla rete. L’hybrid computing sarà il punto d’arrivo per i data center, per tenere in casa applicazioni complesse e fonderle con il mondo dell’IT software defined”.

Retail e intelligenza artificiale, i sistemi rispondono da soli e ingaggiano i clienti

Per Pietro Pace, Head of AI & Software Solution Lab di Mauden, le applicazioni cognitive sono già una realtà nell’ambito del retail. Forte dell’esperienza trentennale come system integrator e clienti nel settore retail, Mauden ha realizzato il middleware Get in grado di collegare insieme sistemi aziendali, servizi cloud IBM, AI (Watson) e terminali per digital signage per supportare applicazioni innovative. “Un middleware che rileva le attività che avvengono in uno spazio fisico, su Web o altro, ricercando nei dati ottenuti eventuali pattern, cluster, scatenando le opportune azioni di business”, precisa il manager. Il middleware è alla base delle soluzioni Get Answer e Get in Touch, rispettivamente in grado di gestire risposte su servizi automatici e chioschi interattivi rivolti al grande pubblico. “Get in Touch è uno strumento di social cognitive content presenter [digital signage, ndr] dotato di percezione dell’ambiente e delle persone che ha davanti – spiega Pace – quindi in grado di offrire livelli d’interazione avanzata sotto il profilo dei contenuti e dell’ingaggio, fino al contatto sul profilo social e alla valutazione dei gusti in tempo reale, avvio di una chat bot sul dispositivo mobile del cliente”. Get Answer è piattaforma conversazionale a supporto delle attività di back office degli help desk, ma anche in grado di categorizzare e risolvere in autonomia le problematiche cliente. “Per esempio in compiti ripetitivi quali la generazione di nuove password dopo la scadenza che in certi help desk costituisce il 30% dei ticket aperti – precisa Pace -. L’assistente virtuale può essere usato nel monitoraggio dei KPI aziendali. Può essere chiamato in una chat tra dirigenti aziendali per richiedere dati di vendita, grafici di andamento, e altro, in linguaggio naturale, senza dover aprire complessi cruscotti o chiedere ad altre persone”. Il sistema è stato integrato con Slack [simile a Watsapp, ndr] e può aiutare l’IT ad avere i dati utili in concomitanza con gli allarmi e prendere le giuste decisioni”.

Il dibattito: rendere l’IT a misura delle applicazioni intelligenti

I cambiamenti che il business sta oggi imponendo ai sistemi informativi non sono una passeggiata. Qual è il contributo di vendor e system integrator? Per Patrizia Guaitani, manager of storage & SDI technical solutions di IBM, è un cambiamento iniziato dall’interno dei laboratori: “Abbiamo rivisitato molte tecnologie di storage e HPC che in passato venivano offerte soltanto nei mercati di nicchia per renderle adatte agli impieghi su larga scala. Abbiamo liberato alcune funzionalità dai vincoli dell’hardware per renderle disponibili in modalità software-defined (SD), quindi con la flessibilità di cui i nostri clienti hanno bisogno”.

Per Marco Cataldo, delivery service leader & transformation architect di Mauden è anche questione di metodologia e di approccio: “Slegarsi da apparati specifici e adottare ovunque SD, virtualizzare e rendere fruibili le funzioni attraverso lo strato software. Il software-defined data center è una chiave per facilitare l’aggiornamento tecnologico, la gestione e la composizione dei team”.

Tra il dire e il fare restano i problemi pratici degli utenti. Per Mauro Lai, Head of IT networking di Mediobanca Innovation Services, realizzare davvero un data center softwar defined non è semplice: “Abbiamo approcciato il concetto di software defined nell’ottica di creare un overlay virtuale all’hardware installato. Abbiamo subito capito che non si poteva pensare a un passaggio in modo netto, ma che serviva prendere dimestichezza”. Cataldo sottolinea l’importanza dell’esperienza del system integrator nella trasformazione: “Abbiamo casistiche d’ogni tipo nell’implementazione SD computazionale, mentre cominciano ora a prendere piede quelle in campo storage. Per la rete si sta iniziando, soprattutto se si vogliono soluzioni realmente ‘open’ [come OpenStack, ndr] per non restare legati a un vendor”.

Guaitani porta l’esempio di progetti in ambiente bancario: “Si parte da isole. SD è un lungo viaggio, che comprende l’aspetto organizzativo. Con alcuni clienti italiani l’implementazione è iniziata nel 2004 ed è continua”.

Alla sollecitazione di Carlo Grimoldi, responsabile SI di Dussmann Services (facility management e ristorazione) sugli ostacoli di sicurezza cloud e di contrattualistica con i provider, Massimo Ficagna, senior advisor degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, risponde categorico: “Non avere il possesso fisico del dato non è un ostacolo – spiega -. GDPR introduce complessità soprattutto per chi gestisce in proprio, mentre i cloud provider si sono attrezzati. Gli ostacoli si trovano come resistenze al cambiamento organizzativo, a lavorare su più alto livello, con il supporto dei fornitori”.

Alla domanda di Antonio Perrotti, CIO di Aviva Italia, su come valutare la maturità del SI per implementare le applicazioni cognitive, Cataldo pone l’accento su API e prestazioni. “L’intelligenza delle applicazioni può essere delegata a servizi cloud come Watson, ma è importante che il CRM e le altre applicazioni aziendali possano essere integrate mediante API e operare in tempo reale per dare risposte via chat o in modo interattivo”.

Come si integrano le applicazioni più vecchie? “Spesso non è un problema – risponde Guaitani -. Molto software legacy permette una facile integrazione grazie a componenti già esistenti di cui spesso gli utenti ignorano completamente la presenza. E questo vale anche su sistemi datati, come gli ex AS/400″.

Alessandro Reppucci CIO di Edf-Fenice è curioso di sapere come IBM usi internamente l’intelligenza del sistema Watson. “È diventato indispensabile per cercare informazioni nella nostra vastissima intranet – spiega Guaitani -. Consiglia i dipendenti nella scelta delle soluzioni di viaggio, mi aiuta personalmente nella scelta degli skill per il nostro team oltre che in alcuni progetti con scuole e università…”.

Matteo Epifani, customer experience specialist di Sky solleva la problematica di come gestire i ‘sentiment’ degli utenti: “Sparpagliati su differenti canali, compresi i social, per poter definire i cluster appropriati nell’offerta dei nostri prodotti d’intrattenimento”. Per Pietro Pace, head of AI & Software Solution Lab di Mauden, una possibile risposta è data dai sistemi conversazionali: “Aiutano il cliente ad aprirsi essendo molto meno frustranti della compilazione di un form di feedback. La profilazione, fino all’account linking, sono aspetti che il sistema conversazionale usa per poter funzionare, e produce da solo”.

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