Non è solo la medicina che ha bisogno di vederci chiaro. Anche chi studia lo spazio si trova ogni giorno ad avere a che fare con immagini da interpretare. Non è una questione di vita o di morte immediata, ma spesso è alla base di ricerche e onerose missioni. Ecco, quindi, che una coppia di ricercatori della Northwestern University e della Tsinghua University ha pensato di rivolgersi all’intelligenza artificiale per migliorare “la resa” dei telescopi terrestri. Essendo strumenti di osservazione, il loro impegno si traduce in un algoritmo in grado di decolorare le immagini scattate in modo più accurato e rapido rispetto ai metodi tradizionali.
Algoritmi e reti neurali al servizio dell’astronomia
Il team di ricerca si è rivolto all’AI non limitandosi a implementare algoritmi già esistenti. Ha “combinato” una serie di tecniche di elaborazione delle immagini, puntando poi su una rete neurale appositamente addestrata per eliminare le interferenze dai pixel di immagini simulate di galassie.
Lo strumento realizzato riceve come input le immagini rumorose e sfocate, ma non solo. Serve fornire anche informazioni sulla sfocatura atmosferica, per eliminarla. In questo caso si tratta di una vera e propria funzione di diffusione del punto, una descrizione algebrica di come un singolo punto di luce viene sfocato dal sistema.
Il passaggio successivo ha come protagonista una rete neurale che entra in campo con lo scopo di alternare la rimozione della sfocatura alla pulizia del rumore dell’immagine, iterando questi due processi per un determinato numero di volte. L’output finale consiste in un’immagine con niente più sfocatura e rumore di fondo. Nelle mani di chi le studia con attenzione, questo risultato significa poter meglio osservare le forme delle galassie e analizzarle con metodi non applicabili alle immagini ottenute fino a ieri.
Meglio come? Gli scatti dello spazio, una volta “puliti” dal software, hanno mostrato fino al 38,6% di errori in meno rispetto a quelli prodotti con le vecchie tecniche classiche di elaborazione. Se confrontati con immagini realizzate con i metodi considerati innovativi fino a ieri, si stima comunque un 7,4% di errori in meno.
A ogni telescopio la propria AI
Entrare in possesso di immagini più pulite significa poter ottenere dati più accurati. L’algoritmo inventato dai due ricercatori è in grado di rimuovere l’atmosfera agendo a livello computazionale. Senza questo rumore, le misure scientifiche migliorano notevolmente.
Per il mondo dell’astronomia questo comporta un significativo passo avanti. Le osservazioni, fino a ieri, erano infatti quasi sempre sfocate per via del fenomeno di diffrazione della luce, nel momento in cui attraversa l’atmosfera terrestre. Infatti, si tende a collocare gli osservatori ad alta quota, dove l’aria è più rarefatta, per minimizzare il rumore dato dai raggi deviati dall’atmosfera. Questo, però, finora non è bastato a evitare l’alterazione delle immagini.
Un altro problema affine che l’AI ora potrebbe risolvere è quello dei bordi delle galassie, difficili da individuare in immagini sfocate. Ma anche piccole differenze di forma possono cambiare le sorti di una ricerca e farci comprendere meglio la gravità nell’universo.
Ora con il nuovo software AI dedicato all’osservazione dello spazio, le cose dovrebbero cambiare. Il modello al cuore della soluzione annunciata è stato per ora addestrato su finte immagini di galassie, progettate per corrispondere alle specifiche del nuovo Osservatorio Vera C Rubin, in Cile che, da agosto 2024, entrerà in funzione.
Il training è una fase più che mai delicata, in questo contesto, e molto personalizzata. I due ricercatori hanno già pubblicato il loro codice online, insieme a tutorial che insegna come applicarlo ai propri dati. È però fondamentale sapere che il modello va addestrato ogni volta da zero perché sappia precisamente come correggere le immagini prodotte da un certo telescopio. Ognuno di questi strumenti ha infatti caratteristiche e impostazioni diverse. Il software utilizza una rete di de-noising che deve quindi imparare a conoscere i “difetti” specifici in ogni contesto tecnologico e ambientale in cui è chiamato a “pulire immagini”.