Da un lato ci sono le big tech che gareggiano per raggiungere il quantum advantage. Ciascuna punta su alcune tecnologie, presenta roadmap e annuncia traguardi intermedi raggiunti, sperando di potersi presto dire la prima ad aver attraversato quello finale.
Dall’altro lato ci sono “gli utenti comuni” che assistono più o meno appassionatamente a questa “corsa”, meno emotivamente coinvolgente rispetto a quello per la conquista dello Spazio o di Marte, ma di inequivocabile impatto sull’intero mondo della tecnologia. E di chiunque la utilizzi.
Questi stessi utenti, però, dalla PA alle PMI, al mondo della ricerca e delle startup, possono anche iniziare a sperimentare le potenzialità del quantum computing. Di realizzare o comprare un prototipo di processore quantistico, non se ne parla, ovviamente: queste macchine hanno costi di acquisto e manutenzione insostenibili, tranne che per pochi. L’opportunità deriva invece dall’approccio di cloud computing ultimamente implementato, proprio per “far assaggiare” un po’ di questa nuova tecnologia, forse anche nella speranza di conquistare maggior credito quando la si approfondisce e vi si investe. Nella pratica, si può prenotare il proprio slot per l’utilizzo di un piccolo processore quantistico e avviare un esperimento.
Calcolo “di gruppo” ma a ciascuno la sua privacy
Non si può negare si tratti di una apprezzabile opera di democratizzazione del quantum computing, ma ogni eventuale entusiasmo si blocca di fronte alla questione privacy. Risulta infatti spontaneo domandarsi come si intende proteggere quella dei singoli utenti all’interno di un gruppo che collabora attorno allo stesso calcolo.
Potrebbe trattarsi per esempio di un consorzio di istituti di ricerca che decide di fare sistema per un certo scopo, ma non desidera svelare i propri dataset. Oppure, ancor meglio, di un gruppo di banche chiamate a sviluppare un modello finanziario partecipato, ma che non hanno alcuna intenzione di cedere il proprio patrimonio informativo alle competitor, solo temporaneamente alleate.
La privacy non è un problema trascurabile e rischia di far abortire il tentativo di rendere accessibile la potenza del quantum computing a chiunque lo voglia sperimentare. Una speranza di salvezza compare nei risultati descritti sulla rivista Nature Communications, ottenuti da la Sapienza di Roma assieme all’università Sorbonne di Parigi, al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e a VeriQloud company.
Il gruppo di ricercatori italo-francesi ha scoperto e testato un protocollo di crittografia adeguato alle piattaforme quantistiche di grandi dimensioni e con gradi di complessità crescenti. Esattamente quelli messi a disposizione del pubblico e che devono garantire a ogni utente che partecipa al calcolo la sicurezza dei suoi dati.
Verso nuovi protocolli per reti sempre più complesse
Tale risultato è legato alle particolari caratteristiche attribuibili alle piattaforme basate su stati di luce quantistica. Questa tecnologia, infatti, sta sempre più emergendo tra le più promettenti candidate per la realizzazione di reti quantistiche densamente interconnesse. Le sue performance notevoli nella trasmissione di informazioni su lunga distanza la rendono infatti molto adatta per mettere in comunicazione più utenti, sia tra di loro che con server dotati di potenza di calcolo, garantendo sicurezza nella condivisione di informazioni.
Non si tratta di teoria, per lo meno non solo: è teoria confermata da un esperimento condotto presso il Quantum Lab del Dipartimento di Fisica della Sapienza che, per la prima volta, ha mostrato la totale sicurezza dei dati durante un calcolo quantistico su un server distante.
È la prova, la prima in assoluto sperimentale, dell’esistenza di un protocollo sicuro di delegazione di calcolo quantistico con più utenti coinvolti. È un incoraggiante passo avanti verso quelle reti quantistiche più grandi e sicure che si immagina di poter vedere in futuro.
Lo stesso gruppo di ricerca ne vuole compiere altri, nella stessa direzione, spingendo sulla dimensione e sulla connettività delle reti quantistiche da sperimentare e in cui garantire la privacy. La sfida è quella di scoprire altri protocolli sicuri di calcolo quantistico per nuove architetture modulari che accelerino la democratizzazione del quantum computing. In attesa che le big tech facciano la loro parte.