Una soluzione di AI, rispetto alle tecnologie tradizionali disponibili o, comunque, integrata con esse, porta un valore in più per il business. Per capire in che modo e quali sono gli ambiti d’impresa maggiormente eleggibili, l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano ha promosso una tavola rotonda in occasione della presentazione della sua ultima ricerca. L’appuntamento, dal titolo Il valore in più di una soluzione di AI, è stato uno dei tanti organizzati per raccogliere le esperienze che oggi in Italia testimoniano il livello di maturità raggiunto sul tema dell’intelligenza artificiale. Ecco una sintesi dei quattro contributi che si sono alternati durante la tavola rotonda.
Per capire il valore dell’AI bisogna prima conoscerla
Raniero Romagnoli, CTO di Almawave, ha preso le mosse dalla difficoltà di riconoscimento di questo valore, che era il leitmotiv del panel: “La cosa che vediamo molto spesso sul mercato – ha detto – è la mancanza di partecipazione delle aziende che commissionano un progetto di AI o la scarsa consapevolezza di cosa veramente l’AI possa fare o non fare”. Anche nei progetti di successo, ha aggiunto il CTO, resta il problema costante del follow-up, “che non significa manutenzione evolutiva, quanto il mantenimento di alcuni modelli. Nel caso del Natural Language Processing, giorno dopo giorno vengono create nuove parole: sillogismi, neologismi e nuovi modi di dire”. È normale che si tratti di modelli che tendano a decadere, a meno che non ci sia un’impostazione by design e by process per gestire l’eccezione. “L’artificial intelligence – ha chiarito Romagnoli – deve essere costruita in modo tale che a un certo punto si renda conto di non poter più rispondere”.
La macchina non può fare questo mestiere meglio di me
Nella definizione del valore, a complicare le cose subentra anche il fattore umano e, di conseguenza, l’esigenza di avviare percorsi di change management: “Sono 30 anni che faccio questo mestiere, non è possibile che una macchina lo faccia meglio di me” è una delle frasi classiche che Romagnoli si è sentito spesso ripetere: “Abbiamo esempi di progetti molto ben riusciti dove, però, per metterli veramente in produzione e diffonderli su tutta l’azienda c’è voluto più di un anno perché c’era resistenza interna”. Ma per risolvere queste obiezioni, così come per superare i limiti ricordati sopra a proposito dei modelli NLP, le soluzioni ci sono: “Con un po’ di trucchi ingegneristici si può fare in modo di sfruttare al meglio l’AI, mentre con i dati alla mano si può riuscire a far accogliere questi sistemi anche da coloro che non li hanno mai usati e che pensavano di fare meglio da 30 anni”.
La black box dei tecnicismi dell’intelligenza artificiale
L’intervento di Alessio Biasiutti, AI Practice Leader di Alpenite, ha messo in rilievo come “molte volte si associa l’intelligenza artificiale a concetti tecnici come Deep Learning, GPU, Computer Vision. Ci si aspetta che tutte queste cose siano messe dentro una black box, riempita da una montagna di dati, che possa dare dei risultati a problemi sconosciuti. È pur vero – ha continuato Biasiutti – che stanno nascendo degli strumenti di democratizzazione dell’intelligenza artificiale, di auto machine learning che, se si ha un dataset ben strutturato, possono aiutare il Data Scientist a creare in autonomia dei micro modelli”. Resta fondamentale la componente delle persone che conoscono il business e i processi, e sanno dove sono i problemi all’interno dell’azienda. Non a caso Alpenite è una società di consulenza che si occupa certo di tecnologia, ultimamente specializzata soprattutto in Natural Language Processing e Computer Vision, ma anche di processi e di persone.
Due esempi di applicazione: aereonautica e risorse umane
È in base all’analisi di processi e persone che “si cerca di capire come l’intelligenza artificiale possa essere uno strumento valido per le persone, per liberarle dalle cose ricorrenti e dal lavoro a scarso valore aggiunto”. Biasiutti ha portato un paio di esempi. “In campo aeronautico abbiamo aiutato degli operatori a montare dei cablaggi all’interno di una aereo. Li abbiamo dotati di visori di realtà mista HoloLens che gli permettevano di avere informazioni virtuali su quello che stavano facendo, su ciò che dovevano montare, dando loro dei feedback se stavano procedendo in modo corretto oppure no”. Un altro esempio ha interessato l’ambito HR. “Abbiamo aiutato i recruiter a filtrare i candidati, analizzando i cv e organizzandoli in modo che potessero farsi consigliare dall’intelligenza artificiale su quali fossero i candidati migliori. In questo caso i recruiter non hanno dovuto guardare centinaia di curricula e hanno avuto la possibilità, invece, di valutare i profili in modo migliore dal punto di vista delle soft skill e personale”.
Il valore dell’AI nel procurement: spend e risk analysis
In tutt’altro settore opera Niuma, di cui ha parlato Gianmarco Forcella, Data Scientist & Team Leader. “Dal 2004 – ha raccontato Forcella – Niuma ha una Business Unit dedicata al procurement, referenziata da oltre 30 grandi aziende di interesse nazionale e multinazionale. Da circa due anni, in collaborazione con diversi enti accademici e di ricerca, fra cui il Politecnico di Milano e Gartner, abbiamo avviato una ricerca per definire quali fossero le aree di intervento dell’intelligenza artificiale all’interno del procurement”. Fra le tante possibili, ne sono state individuate almeno due, spend analysis e risk analysis. “L’intelligenza artificiale in questi settori ci può aiutare, nel primo caso, a pulire e strutturare dei dati presentati in maniera disomogenea, provenienti da diverse applicazioni; nel secondo, a identificare per tempo eventuali rischi che possono manifestarsi”. In particolare, poi, “abbiamo deciso di focalizzarci su una branca della spend analysis, ovvero la qualificazione dei fornitori, che è un processo di solito molto oneroso sia per l’utente interno sia per colui che tenta la qualificazione, in quanto sono richiesti moltissimi dati”.
Gianmarco Forcella, Data Scientist & Team Leader di Niuma
Affiancare tecniche NLU per distinguere il mouse dal topo
Proprio sulla quantità dei dati da gestire, secondo Forcella, oggi si gioca la vera differenza, perché task come Computer Vision, NLP e, più in generale, il Deep Learning richiedono macchine potenti. Lui stesso confessa che, per svolgere l’esame universitario di Natural Language Processing e allenare il suo modello, ha “fuso” il computer ed è dovuto ricorrere ad AWS. “Riuscire a realizzare allo stato attuale un virtual assistant completo è impossibile. “Vorrebbe dire battere il test di Turing”. Nell’attesa di riuscirci, il campo di ricerca su cui si sta concentrando il Data Scientist è quello delle tecniche di NLP, in particolare il Natural Language Understanding (NLU), “da affiancare a un virtual assistant in grado di disambiguare il senso delle parole: se parlo di mouse in inglese, solo per fare un esempio, questo può essere scambiato per il puntatore o per l’animale”.
Le tante soluzioni di Artificial Intelligence per il marketing
TK Soluzioni, infine, si occupa di “progetti di omnichannel marketing e del mondo dei media” ha spiegato in conclusione Massimiliano Marinoni, Head of Business Development dell’azienda. “Per quanto riguarda il marketing, l’intelligenza artificiale è ormai pervasiva in tutti gli ambiti”. Dal catturare l’attenzione dei clienti al persuaderli al consumo, fino alla retention: l’AI copre l’intero processo di marketing. Marinoni ha fatto una carrellata delle tante applicazioni disponibili, cominciando da quelle già utilizzate per le ricerche di mercato: “Esistono piattaforme di cognitive computing basate su tecnologie come quelle di IBM Watson che utilizzando dataset con circa 80 anni di osservazioni e sono in grado di rispondere a domande poste in linguaggio naturale, del tipo: quanto è grande un certo mercato per il nostro nuovo prodotto? Ci sono dei competitor? Il bisogno è percepito oppure necessita di una certa educazione? Chi sono i potenziali clienti?”. L’elenco delle soluzioni AI al servizio del marketing è molto lungo. Si va dalla marketplace segmentation, la segmentazione dei clienti in funzione delle caratteristiche aggregate tramite modelli di machine learning, al social media monitoring per misurare l’opinione sui propri prodotti e su quelli dei competitor.
Dal digitale allo store, l’omnichannel possibile con l’AI
“I sistemi automatici devono poter distinguere la rilevanza, quindi se l’opinione negativa è di una singola persona o è un trend, l’autorevolezza di chi la pone e il sentiment. Il tutto riuscendo a muoversi attraverso meccanismi di espressione varie: parole, rating, emoticon”. Analoghi sistemi automatici sono impiegati per la brand awareness oppure per fornire advertising o contenuti mirati e pertinenti. “Parlando di omnichannel marketing – ha proseguito Marinoni – si cominciano a vedere modelli basati su app abbinate a rilevatori di prossimità come i beacon in grado di seguire i percorsi effettuati all’interno dello store e consentire promozioni mirate. Oppure sistemi di Computer Vision associati a strumenti di digital signage per veicolare messaggi nel momento in cui l’utente sta guardando un determinato scaffale o un certo prodotto”. L’intelligenza artificiale, poi, è in grado di agevolare il lavoro dei call center, mentre per il digitale propone una gamma molto vasta di servizi: Web Analytics, landing page optimization, motori di recommendation, email marketing ecc.
Come cambiano i gruppi media e il lavoro dei giornalisti
In chiusura, Marinoni ha fatto un accenno a come l’AI stia rivoluzionando i gruppi media in 3 modi: “Rendere più efficiente il lavoro dei giornalisti, fornire agli utenti contenuti pertinenti e migliorare l’efficienza dei processi aziendali”. Il focus principale, comunque, è su “come far evolvere il mestiere del giornalista. L’impatto riguarderà la raccolta delle notizie: strumenti di intelligenza artificiale in grado di controllare i fatti in maniera rapida, evitando le fake news, correlare le informazioni, eseguire ricerche velocemente per dare gli spunti su come supportare il lavoro editoriale”. Anche la produzione di notizie non sarà più la stessa: “Una volta generato un contenuto principale, verranno creati in automatico tutti gli abstract e i contenuti sintetici”. A seguire, la distribuzione delle notizie sarà sempre più veicolata in funzione degli interessi degli utenti e la moderazione dei contenuti, “che hanno raggiunto volumi e una complessità di interazione non più sostenibili da un singolo giornalista”, avrà nell’AI l’alleato del futuro.