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Riconoscimento facciale per accedere a servizi pubblici. Gli USA ci provano

Il servizio sign-on per accedere ai servizi e ai benefici offerti dalle agenzie governative statunitensi presto offrirà anche un’opzione di verifica dell’identità digitale basata sul riconoscimento facciale. Per effettuare l’autenticazione si abbineranno gli scatti dei documenti d’identità esistenti con quelli forniti dagli utenti. Una scelta che fa discutere e fa temere bias e scarsa inclusione

Pubblicato il 30 Ott 2023

Immagine di ImageFlow su Shutterstock

A sentir parlare di riconoscimento facciale scatta quasi in automatico un’allerta: il termine, e la stessa tecnologia con esso indicata, continua ad avere un valore controverso in una società divisa tra bisogno e desiderio di controllare e terrore di farlo male, troppo o con fini malevoli.

La scelta della General Services Administration (GSA) di abilitare il riconoscimento facciale all’interno del servizio di single sign-on che consente ai cittadini statunitensi di accedere ai servizi di numerose agenzie governative utilizzando lo stesso nome utente e password fa quindi discutere e riapre il dibattito. Interno ed esterno, agli USA e alla community tech.

Le intenzioni e i piani della GSA

Nota, per lo meno a chi vive oltreoceano, con il nome di Login.gov, questa soluzione è presente in totale in oltre 40 agenzie federali e statali e, dal 2017 a oggi, è stata utilizzata da almeno 70 milioni di persone per accedere a benefici e servizi come l’assicurazione contro la disoccupazione o le cartelle cliniche personali online.

Con la modifica annunciata, che verrà concretamente implementata l’anno prossimo, il servizio di identità digitale inizierà a consentire agli utenti di autenticarsi confrontandosi con un documento di identità governativo precedentemente inviato. Assieme al riconoscimento facciale, si è pensato di fornire un’ulteriore opzione di verifica sempre in tempo reale, tramite video chat dal vivo o altra piattaforma. Le procedure di controllo finora già attive prevedevano la conferma “in persona” e, per situazioni on line, l’utilizzo di numeri di telefono o indirizzi. La scelta finale resta a ogni singola agenzia che potrà scegliere quali alternative proporre ai propri utenti.

L’obiettivo della GSA, che si deve interfacciare con molte realtà dalle differenti esigenze, resta quello di fornire la più ampia gamma di opzioni possibile, garantendone la sicurezza, l’affidabilità e la praticità. In particolare, con le due nuove tecnologie introdotte – riconoscimento facciale e video chat – l’agenzia punta ad allinearsi agli standard governativi di identità digitale stabiliti dal National Institute of Standards and Technology che richiedono di mettere a disposizione una tecnologia comoda e all’avanguardia, garantendo al contempo la sicurezza dei dati.

Perplessità e timori per i più vulnerabili

Le perplessità non mancano, non tanto tra gli utenti, quanto tra gli esperti e tra chi conosce “i precedenti” tra riconoscimento facciale e agenzie governative statunitensi. Solo l’anno scorso, infatti, la stessa GSA sembra si sia rifiutata di introdurre questa tecnologia, chiedendo il tempo di approfondirne aspetti quali equità e accessibilità. Girava già l’idea di supportare la corrispondenza uno-a-uno tra un’immagine memorizzata dal governo, acquisita per preparare un documento d’identità con foto, e un’immagine inviata autonomamente, ma il progetto era stato abbandonato.

Vederlo tornare in auge dopo così poco tempo, e senza siano stati compiuti particolari progressi tecnologici, preoccupa coloro a cui sta a cuore la sicurezza e la privacy, soprattutto della fascia di persone più vulnerabili.

Per ora, i dati disponibili in merito all’accuratezza degli algoritmi di riconoscimento facciale sono quelli del NIST, risalgono al 2019 e non sono rassicuranti. Sembra infatti che vari notevolmente, mostrando differenziali elevati di falsi positivi, meno di falsi negativi. Tra i vari gruppi demografici, inoltre, i tassi di falsi positivi variano spesso da 10 a oltre 100 volte, penalizzando chi arriva dall’Africa occidentale e orientale e dall’Asia orientale e categorie come le donne, i bambini e gli anziani.

A questi risultati, si possono affiancare alcune più recenti valutazioni effettuate in singoli ambiti. Nel 2021, per esempio, sempre il NIST ha valutato il Traveler Verification Service (TVS) che confronta le fotografie dal vivo dei viaggiatori scattate ai checkpoint con le immagini memorizzate, per fornire un risultato di corrispondenza o di non corrispondenza. I tassi di errore emersi si aggirano intorno allo 0,5%, abbastanza per soddisfare l’accuratezza richiesta del 97%. Il mese scorso, però, il Government Accountability Office (GAO) ha dichiarato al Dipartimento per la Sicurezza Nazionale che il suo sistema Homeland Advanced Recognition Technology (HART) non è ancora all’altezza per garantire una corretta gestione delle informazioni sulla privacy e dei costi.

Segnali contrastanti che fanno discutere e dividono la società e la politica ma che, allo stesso tempo, confermano la complessità della sfida tecnologica in corso, accentuata dai risvolti “umani” che evidentemente comporta.

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