C’è un lato oscuro dell’AI Generativa di cui ancora si parla poco ma che con buona probabilità creerà non pochi problemi ai CIO nei prossimi mesi. Si tratta del fenomeno dello shadow AI. Il concetto di “AI nascosta” fa riferimento all’uso di servizi e soluzioni di intelligenza artificiale al di fuori del controllo dei dipartimenti IT. Un’abitudine che, concordano gli analisti, è destinata a consolidarsi soprattutto tra gli utenti della Generative AI, diventata oramai fenomeno mainstream data la facilità d’uso di questi strumenti e la disponibilità di numerose soluzioni a basso costo.
Un tipico esempio è quello del team marketing che implementa in tutta fretta un chatbot per il supporto clienti per far fronte ai picchi di traffico sul sito di e-commerce aziendale oppure, caso sempre più diffuso, l’utilizzo di strumenti basati su Large Language Model per la generazione di porzioni di codice da utilizzare nello sviluppo di una nuova applicazione web. Questo livello tecnologico clandestino, al pari dello shadow IT, può comportare problemi anche molto seri.
I rischi dello shadow AI: sicurezza e conformità
In un’epoca in cui regolamenti come GDPR e, nei prossimi mesi, l’AI Act europeo stabiliscono in modo rigoroso i principi di tutela della privacy e utilizzo dei dati cui le aziende devono attenersi, lo shadow AI introduce un “punto cieco” nella governance, con il rischio non solo di esporre l’azienda a possibili violazioni e pesanti sanzioni, ma anche di danneggiarne irrimediabilmente la reputazione.
Date queste premesse, “è evidente che l’AI privata rappresenta la soluzione più ovvia a questi problemi, accanto alla definizione di policy rigorose di governance e alla formazione puntuale di tutta l’organizzazione rispetto a un utilizzo corretto degli strumenti di AI e di quella generativa in particolare”. A sottolineare il concetto alla platea riunita a Londra per l’evento internazionale Appian Europe è il CEO dell’azienda, Matt Calkins, che puntualizza: “Oggi i dati, che si tratti dei dettagli personali di un cliente o di un documento interno, sono più di una semplice informazione, sono un vero e proprio asset strategico, che va valorizzato e tutelato a dovere”.
Un database virtuale per supportare l’agilità digitale del business
Il database virtuale Data Fabric della casa americana va proprio nella direzione di garantire un supporto efficace ai processi decisionali, normalizzando e proteggendo al meglio i dati provenienti dalle applicazioni core, ovvero ERP, CRM, Business Intelligence, ma anche controllo della produzione e Supply Chain Management. Data Fabric permette di interrogare i dati rapidamente e in sicurezza a prescindere da dove si generano, realizzando architetture in grado di supportare l’agilità digitale del business, riducendo il time-to-market delle applicazioni, favorendo la diffusione della conoscenza e garantendo un’integrazione fluida tra i processi core. “Appian Data Fabric è ben più di una piattaforma” si dice convinto Calkins. “È un vero e proprio approccio che permette di collegare tutte le entità digitali dei diversi sistemi presenti in azienda, per creare una user experience d’eccellenza”.
Vettorizzazione per garantire la disponibilità in tempo reale dei dati
La verità è che molte aziende non riescono a utilizzare i dati a supporto dei processi decisionali a causa dell’incapacità di ottenerne la disponibilità in tempo reale. “Appian Data Fabric – spiega Malcolm Ross, Vice President Product Strategy e Deputy CTO dell’azienda – assicura la capacità di eseguire query ad alte prestazioni su una molteplicità di database diversi.
Il segreto è la vettorizzazione. Al contrario di quanto avviene nei sistemi di ricerca tradizionali, basati su keyword, il database virtuale Appian indicizza e permette di navigare i dati attraverso una descrizione matematica delle loro caratteristiche fondamentali, che viene aggiunta nella fase iniziale della query. Questo facilita una migliore comprensione del contesto da parte del modello statistico, garantendo risposte molto più rapide e decisamente più pertinenti”. La piattaforma, insomma, si propone come fondamenta ideale su cui innestare l’AI generativa.
L’AI generativa dai laboratori sulle scrivanie
“Dobbiamo fare uscire l’AI generativa dai laboratori e portarla nei workplace, from hype to reality” esorta Ross, che preconizza un futuro human-centric per questa tecnologia. “Un futuro in cui l’AI in generale e quella generativa in particolare – aggiunge – non sostituiscono o rimpiazzano l’operatore ma, al contrario, arricchiscono l’esperienza e le competenze dei lavoratori in un modello di automazione mista”.
Nel farlo, però, secondo i vertici dell’azienda americana, non si possono sacrificare sicurezza e sovranità dei dati. “I clienti Appian – prosegue il manager – hanno la certezza che gli algoritmi di Generative AI integrati nel copilota che verrà integrato a breve nella nostra piattaforma saranno addestrati sui dati proprietari normalizzati nel layer intelligente Data Fabric. Saranno, quindi, in grado di fornire risposte sempre pertinenti e contestualizzate e soprattutto non finiranno ad allenare i grandi modelli linguistici generalisti”.
Ciò non significa che i clienti che intendano abbracciare i Large Language Model generalisti non saranno messi nelle condizioni di farlo, tant’è che l’azienda sta acquisendo le licenze di ChatGPT sul cloud Microsoft Azure. “A noi non interessa fare business sui dati dei nostri clienti, ma aiutare i nostri clienti a fare business attraverso i loro dati” commenta Ross. “E siamo certi del fatto che il nostro approccio non è solo più accurato, discreto e conforme alle normative. È soprattutto più efficace”.
Sincronizzare i tempi del business e dell’IT
L’azienda lavora però anche su un altro aspetto chiave che permetterà, a detta dei suoi vertici, di superare il problema dello shadow AI. “L’obiettivo è allineare le esigenze di time-to-market del business con l’agilità di erogazione di nuove applicazioni e servizi IT – eccepisce Ross – per evitare che il business si senta in dovere di muoversi in autonomia. Nel 2023 è impensabile attendere mesi perché una nuova applicazione entri in produzione e l’agilità digitale è un vero e proprio fattore critico di successo. I tempi dell’IT e del business devono essere sincronizzati e la piattaforma Appian permette di farlo attraverso un mix di Robotic Process Automation, AI e programmazione low-code”.
Molte realtà italiane pubbliche e private lo hanno già compreso, come ICCREA, Amadori, Poste Italiane e Comune di Milano, che hanno testimoniato i benefici di questo approccio rapido all’automazione dei processi. “Per ogni soluzione che proponiamo – tiene a puntualizzare Silvia Speranza, Regional Vice President, Appian Italy – è disponibile a un prezzo fisso anche un’offerta di servizi pre-pacchettizzati, selezionabili all’interno degli oltre 700 presenti nel nostro marketplace. Servizi che permettono di coprire all’80-90% le esigenze dei nostri clienti. I nostri partner si occupano poi di adattare la quota rimanente alle specifiche esigenze, assicurando un ROI rapido a tutte le realtà che vogliono guadagnare in agilità digitale”.
La versione 23.4 della piattaforma di automazione dei processi Appian, presentata durante l’evento londinese, integra nuove funzionalità di estrazione intelligente che permettono di ricavare e analizzare i dati non strutturati dai documenti e tradurre velocemente testi in tutte le lingue supportate. Include, inoltre, una preview del copilota di AI generativa Appian AI Copilot, oltre a nuove funzionalità di analisi dati in autonomia (SSA, Self Service Analytics), che permettono a chiunque di ottenere informazioni dettagliate e insight a supporto delle attività decisionali attraverso il Data Fabric Appian.