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Test di LLM in camice: gara di empatia e diagnosi



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Testata una chatbot AI che appare affidabile nel fare diagnosi e anche empatica nel comunicarle, molto più che un dottore in carne e ossa. I ricercatori di Google proseguono gli studi ma non per sostituire i medici umano. Guardano a raggiungere i molti che oggi non hanno accesso alle cure e potrebbero averlo grazie all’AI

Pubblicato il 29 feb 2024

Marta Abba'

Giornalista



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Uno degli scopi più virtuosi che ci spingono a integrare nuove tecnologie, anche “coraggiose”, all’interno di un “campo minato” di regole e problematiche come quello della medicina è l’idea di far aumentare l’accessibilità, la coerenza e la qualità delle cure. Credendo che questo sogno possa essere realizzabile, si tenta di sviluppare delle soluzioni all’avanguardia ma allo stesso tempo rispettose di privacy e diritti dei pazienti, oltre che della professionalità dei medici. Una di queste è AMIE.

Acronimo di Articulate Medical Intelligence Explorer, AMIE è un LLM (Large Language Model) speciale, perché specificatamente addestrato per eseguire due funzioni precise e strettamente circoscritte all’ambito medico. La raccolta di informazioni sanitarie sui pazienti e il dialogo per la comunicazione della diagnosi, attenendosi a temi clinici. Ciò significa che è in grado di comprendere e analizzare dati relativi ai sintomi segnalati, porre domande coerenti e utili e sviluppare una vera e propria consulenza diagnostica “personale”.

Chatbot AI vs medico: a fine primo tempo 2 a 0

Questo tentativo di approssimare le competenze dei medici può risultare discutibile ma, per il momento, risulta essere una strada tecnologicamente percorribile. Così emerge da una ricerca realizzata dal team tecnico di Google che ha portato avanti un test dai risultati decisamente interessanti.

Coinvolgendo 20 pazienti con malattie inventate e altrettanti medici di base professionisti, come benchmark umano per effettuare un credibile confronto, il team Google ha valutato la qualità delle interazioni, focalizzandosi su alcune tipologie di performance tra le più frequenti e indispensabili quali l’anamnesi, la diagnostica, il ragionamento gestionale, le capacità di comunicazione e l’empatia.

Esplorando 149 scenari di casi clinici di fornitori in Canada, Regno Unito e India, ciò che emersa è una forte preferenza per AMIE da parte di molto pazienti. La maggior parte dei tester, infatti, valutando il trattamento ricevuto senza sapere se si stesse rapportando con l’uomo o la macchina, ha preferito il modo di fare del LLM. E questo vale sia per l’empatia e la qualità del dialogo, sia per le performance di diagnosi vere e proprie.

Sul primo frangente, il risultato si può spiegare col fatto che il tono di una chatbot di intelligenza artificiale viene programmato alla perfezione, eliminando l’effetto stanchezza o distrazione a cui invece ogni essere umano non può sottrarsi. Ma sul comprendere meglio le preoccupazioni del paziente, ci sarebbe da interrogarsi, sia sulla validità del test, sia sulla professione di medico.

Assistenza sanitaria più diffusa grazie all’AI

Google e i suoi ricercatori sono ben attenti ed espliciti nel precisare che questo risultato va preso “con le pinze”, perché decisamente limitato e non in grado di abbracciare quella complessità che caratterizza il rapporto tra medico e paziente nel tempo e nella sua interezza.

Si tratta infatti di una relazione delicata, che spesso evolve e si arricchisce negli anni, e si nutre di altri tipi di informazioni oltre alle semplici descrizioni testuali. Le sole che invece una “macchina” come AMIE può consultare per fare le sue diagnosi.

L’intenzione, quindi, non è e non sarà mai quella di sostituire i medici nel dialogo con il paziente, che deve restare umano, personale e coltivato con cura. L’idea, su larga scala temporale e spaziale, è di sfruttare chatbot AI come AMIE e i suoi sempre più performanti futuri successori per supportare i pazienti che non hanno accesso all’assistenza sanitaria.

Siamo in una fase ancora profondamente sperimentale ma siamo anche consapevoli del numero di persone non assistite che pagano con la propria pelle le conseguenze della carenza di medici in diverse aree del mondo. Vale quindi la pena, secondo gli autori del test e i creatori di AMIE, di continuare a fare ricerca in tal senso, per garantire la sicurezza, l’affidabilità, l’equità, l’efficacia e la privacy della tecnologia che potrebbe andare loro incontro offrendo un primo approccio alle cure. Per ora è “abbozzata” ma sembra promettente.

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