Analisti, vendor e CEO di alcune importanti realtà italiane e internazionali hanno dato vita, pochi giorni fa, ad un evento-dibattito, The Future Is Now, per celebrare i 50 anni di presenza McKinsey nel nostro Paese. Era infatti il 1969, l’anno dello sbarco sulla luna, quando la società di consulenza manageriale apriva una sua sede in quel di Milano. Oggi ha riunito nel capoluogo lombardo alcuni executive per parlare non tanto del proprio passato quanto dell’innovazione che verrà. “Il 50% della consulenza che viene fatta oggi da McKinsey, solo pochi anni fa non esisteva” ha dichiarato Massimo Giordano, Managing Partner McKinsey Mediterraneo, padrone di casa, accennando alle tematiche che stanno connotando in questi anni il complesso percorso innovativo tecnologico, organizzativo e culturale, delle aziende.
E McKinsey, ha detto il manager, per rispondere a questi scenari ha da tempo attuato una capillare azione di “contaminazione” delle proprie competenze acquisendo aziende e talenti e stringendo partnership negli ambiti più disparati dell’innovazione, tra questi, nel design thinking, advanced analytics, machine learning e nell’Intelligenza artificiale.
E proprio su queste tecnologie e nel rapporto che esse hanno rispetto alle prospettive di sviluppo economico e sociale, McKinsey ha dato, nell’incontro, alcune previsioni, coinvolgendo alcuni executive del proprio istituto di ricerca economica McKinsey Global Insitute (MGI). “Stimiamo che nei prossimi 10 anni, l’innovazione tecnologica, e nello specifico l’Intelligenza artificiale – ha continuato Giordano – possano portare all’economia italiana un incremento del Pil pari al 13%, corrispondente a circa 228 miliardi di euro, mentre a livello europeo il Pil aumenterebbe di circa il 19%, per un valore pari a 2.700 miliardi di euro, sempre entro il 2030”.
Svecchiamento del top management, agilità, capacità di adattamento
Niente è però più complesso che azzeccare queste previsioni a lunga scadenza (era il 1983 quando McKinsey disse alla At&T che i telefoni cellulari sarebbero stati un mercato di nicchia). Si deve realizzare infatti una serie non semplice di condizioni a favore. A partire dalle necessarie competenze per muoversi in questo tipo di scenari, pensando, ad esempio, che per chi comincia oggi a studiare: il 65% dei lavori attualmente in essere – stima McKinsey – non ci sarà più quando questi studi saranno terminati. “Le imprese, profondamente toccate dalle dinamiche di cambiamento in corso – è intervenuto (Sir) Ian Davis, Managing Director Emeritus McKinsey, già executive di Johnson & Johnson e di altre prestigiose corporation inglesi – devono sapersi reiventare e cambiare il loro tradizionale approccio al business: per questo serve agilità organizzativa e una cruciale rotazione del management, che integri persone giovani. Le grandi sfide di oggi, soprattutto in tema di innovazione tecnologica e di AI, riguardano soprattutto la comprensione delle implicazioni umane ed etiche; sarà importante capire come queste e in genere la responsabilità sociale si declineranno nel proprio business e come cambieranno parametri legati a normative, politiche governative, scelte di investimento e risk management. Di certo bisogna accelerare la rotazione a livello executive”.
Ma se è vero, come ha sostenuto Jonathan Woetzel, Director del McKinsey Global Istitute, che l’AI impatterà sulla crescita di produttività molto di più di altre tecnologie, che i cambiamenti climatici ridefiniranno il concetto di stabilità globale entro il quale gestire il business (rivedendo radicalmente l’attuale concetto di rischio), “è altrettanto vero – ha sostenuto l’analista – che la crescita e il miglioramento della qualità della vita potranno continuare nei prossimi anni a patto di accettare che la chiave di lettura, per tanti soggetti, e tra questi sicuramente le imprese, sia una grande capacità di adattamento, agilità e trasformazione continua”.
La trappola dell’innovazione
Declinando questi scenari sulle esperienze delle imprese, sia vendor sia utenti, Luca Valerio Camerano, CEO di A2A ha definito quella che per lui è la vera “trappola dell’innovazione”: essere troppo ancorati alla storia dell’azienda, cioè all’esistenza di un business model efficace e a una grande capacità esecutiva: “Cose che se funzionano bene sono difficili da trasformare in qualcosa di nuovo. La vera capacità – ha continuato il manager – è però accettare l’obbligo di dover trasformare il proprio business senza peggiorare questi due aspetti. E soprattutto trasformare la disponibilità al cambiamento, non affatto scontata in azienda, in una capacità quotidiana di innovazione, evolvendo ogni giorno il proprio modo di fare”.
“Tutta l’azienda deve cambiare – è intervenuto Davide Dattoli, Co-Founder e Ceo di Talent Garden – investendo con decisione nella formazione interna. La collaborazione tra start up e aziende tradizionali è una grande fatica, ma le sinergie esistono, pur nelle differenze culturali, di linguaggi e approcci. Credo però sia fondamentale per le imprese riuscire a mantenere all’interno questa capacità di cambiamento, non soltanto con gli spin off, per riuscire a realizzare davvero un’innovazione diffusa”.
L’accettazione di un ruolo primario della tecnologia da parte anche del livello più manageriale dell’impresa è però già un passo importante, che solo pochi anni fa non era per nulla scontato: “L’innovazione digitale è diventata una delle prime tre top priorità del CEO, non un fattore solo delegato al dipartimento IT – ha detto Silvia Candiani, Country General Manager di Microsoft – e l’Intelligenza artificiale contribuirà a reinventare il modello di business, a interfacciarsi in modo più efficace con i clienti e a migliorare la loro esperienza di acquisto. Anche noi abbiamo stimato un aumento del 20% dei ricavi di impresa grazie all’uso di soluzioni di Intelligenza artificiale”. Certamente i problemi legati al cambiamento sono ancora numerosi, ma dai relatori lo scenario quantomeno non sembra essere “fossilizzato” come alcuni anni fa.
“Certo bisogna portare questi meccanismi di cambiamento alla Pmi che conta per circa il 70% dell’economia italiana – ha detto Federico Leproux, Ceo di TeamSystem – Il punto è sempre quello: come passare dalla consapevolezza che il digitale sia un’opportunità, all’attuazione e all’utilizzo diffuso ed efficace, tale che possa connotare un’azione di innovazione continua dell’azienda sul mercato”. Insomma, ha concluso Candiani, “Serve sviluppare nelle aziende una cultura orientata a pensare cosa creerà davvero valore in futuro, con una prospettiva temporale più profonda, senza farsi condizionare troppo dal successo che hai raggiunto fino ad ora. Serve anche imparare dagli errori, creare un ecosistema variabile di innovazione tra interno ed esterno all’azienda, sapendo governare l’inevitabile complessità. Capire i trend su cui puntare…”.
Insomma, in piena evoluzione, come diceva Darwin, solo le specie che si adatteranno al cambiamento sopravviveranno alla selezione naturale. Vale per tutti, anche per McKinsey, che dal 1926 esiste immaginando e lavorando sul futuro.