I continui, rapidi progressi compiuti attraverso il training AI dai chatbot basati su intelligenza artificiale come ChatGPT stanno suscitando molto interesse e clamore a livello globale, per le innumerevoli prospettive applicative dell’intelligenza artificiale (AI) conversazionale e degli assistenti virtuali, nel mondo aziendale e non solo.
Entro il 2026, prevede la società di ricerche e consulenza Gartner, le implementazioni di conversational AI permetteranno di ridurre di 80 miliardi di dollari il costo del lavoro relativo agli agenti di contact center, che può arrivare a rappresentare fino al 95% dei costi di contact center. Oltre a rendere gli agenti più efficaci ed efficienti, la AI conversazionale migliora infatti anche la customer experience. Tuttavia, la tecnologia è ancora in fase di maturazione, e l’implementazione della AI conversazionale richiede la mobilitazione di costose risorse professionali in aree come l’analisi dei dati e l’elaborazione e comprensione del linguaggio naturale.
Sempre secondo Gartner, nel 2027 i chatbot diventeranno il principale canale di assistenza clienti per circa un quarto delle organizzazioni, ma i responsabili dei servizi di assistenza e supporto dovranno anche affrontare la sfida di creare un’adeguata strategia d’implementazione dei chatbot, basata su casi d’uso e sulla complessità delle interazioni che tale servizio comporta. Dovranno riuscire a ridurre la fatica dell’utente nell’uso dell’assistente virtuale, migliorando l’usabilità e anche individuare, adattare, e rivedere periodicamente le metriche più importanti (tasso di completamento degli obiettivi, tasso di abbandono, passi della conversazione, tempo di gestione) che consentono di valutare il livello di performance desiderato, tenendo in considerazione la progettazione e la complessità del chatbot stesso.
Perché usare il crowdtesting nel training AI
Una delle maggiori sfide nello sviluppo di sistemi basati sull’AI è il fatto che l’addestramento dei modelli, il training AI, va svolto in maniera adeguata ed efficace. Ciò implica che gli algoritmi di intelligenza artificiale siano alimentati da grandi quantità di dati, da acquisire velocemente, anche tenendo conto di alcuni fondamentali requisiti di qualità, variabilità, completezza, rappresentatività. Spesso, per le varie organizzazioni, non è facile reperire dati caratterizzati dalle note “5V” (volume, velocità, varietà, veridicità, variabilità) tipiche dei big data, e da tale punto di vista il crowdtesting, basandosi su un’ampia e variegata comunità di tester, può costituire una metodologia molto valida.
“Il crowdtesting, declinato sull’AI, permette anche di eseguire con efficienza il training degli algoritmi. Questo perché il crowd è composto da tante persone differenti in termini di fisionomia, tratti somatici, aspetto, abbigliamento, etnia, lingua e modo di esprimersi, che possono produrre tantissimi dati contraddistinti dalle 5V” spiega Filippo Leccardi, customer success manager della piattaforma di crowdtesting Unguess. Del resto, il mondo esterno con cui, ad esempio, i chatbot hanno l’arduo compito di interagire è estremamente complesso. Di conseguenza, il training deve poter alimentare con quanti più dati possibile l’algoritmo, per metterlo in grado di riconoscere, e interloquire in maniera affidabile con tutti.
AI? Sì, purché serva agli utenti
Oltre che ai chatbot, l’intelligenza artificiale può essere applicata ai sistemi di visione computerizzata, agli oggetti intelligenti, alle auto autonome ecc. In tutti questi casi il crowdtesting, sottolinea Leccardi, gioca un ruolo molto importante nella progettazione di un sistema basato sulla AI, per almeno quattro ragioni chiave. “La prima è demistificare il mito dell’intelligenza artificiale come ‘must have’. Consapevoli dei limiti attuali dell’AI, essa va considerata un utile strumento per soddisfare le necessità degli utenti, non un fine ultimo al quale tendere per necessità di adeguamento. Occorre fare ricerche e test sugli utilizzatori finali, per recepire le necessità degli utenti finali, verificare se l’intelligenza artificiale servirà più efficacemente di altre modalità a sopperirvi e accertarsi che tutte le tipologie di pubblico che un domani si troveranno a utilizzarla siano effettivamente in grado di farlo, in maniera semplice e priva di dubbi” prosegue il manager di UNGUESS.
Crowd per generare dati di qualità
La seconda ragione è costituita dalle attività di training AI. “Una volta stabilito che la AI si può effettivamente adottare per un certo servizio digitale, e che ha senso svilupparla investendo risorse, poi, perché risulti davvero efficace in tutte le situazioni di un determinato contesto, come dicevo, servono dati capaci di trasferire la complessità del mondo esterno all’interno dei computer su cui viene eseguito il training dei modelli” spiega Leccardi. Sotto questa angolazione, il crowdtesting, in virtù del volume e dell’eterogeneità dei tester attivabili nella comunità, è forse la tecnica che meglio può rappresentare tale complessità, e quindi fornire dati sufficientemente validi per massimizzare i risultati delle attività di training AI.
Training AI e collaudo dell’algoritmo
Il terzo aspetto riguarda la fase di collaudo dell’algoritmo. “Una volta ‘allenato’ l’algoritmo di AI, è necessario assicurarsi che funzioni correttamente, e, se non è così, servono nuovi dati per migliorarlo ulteriormente, e anche in questa fase il crowdtesting può dare una grossa mano” spiega Leccardi.
“Vi è poi un quarto importante aspetto” prosegue. “La verifica della qualità della user experience rappresenta a mio parere un ultimo passaggio fondamentale, ma spesso non sufficientemente considerato, perché, una volta sviluppato il sistema di intelligenza artificiale, si dà per scontato che le persone lo sappiano utilizzare correttamente. In questa fase di verifica del livello di esperienza d’uso dello strumento AI, il crowdtesting, ancora una volta, aiuta a stabilire se l’utente finale sia effettivamente in grado di identificare nello strumento realizzato un sistema d’intelligenza artificiale, se riesca a comprenderne i limiti e, soprattutto se sia in grado di interrogarlo in maniera efficace per ottenere i risultati che servono a soddisfare le sue specifiche esigenze”.