L’imperativo dell’azienda competitiva passa oggi necessariamente da una gestione proattiva della relazione con il cliente. Perché ciò avvenga non è più sufficiente basarsi sulle informazioni presenti nei sistemi transazionali o provenienti dal customer care, ma diventa indispensabile attingere a tutte qulle informazioni, provenienti anche dal Web, che consentono di ricostruire la “customer experience” al fine di realizzare campagne marketing integrate ed efficaci. Per comprendere come le aziende italiane si stanno muovendo in quest’area, ZeroUno ha realizzato, in collaborazione con NetConsulting e con la sponsorizzazione di Sas, una web survey nel periodo maggio – giugno 2009 che ha visto il coinvolgimento di 97 aziende. Per quanto riguarda il ruolo dei rispondenti è interessante sottolineare che più della metà non appartiene all’area It ma ad altre figure aziendali (12,4% marketing manager, 20,6% altre funzioni di business, 12,4% top management) a dimostrazione che la tematica, anche nei suoi aspetti tecnologici, è di stretto interesse delle funzioni di business.
Come è regolato il processo di trasferimento delle esigenze dalle funzioni di business all’It? Le risposte indicano che quasi il 60% delle persone intervistate dispone di una figura ben definita di demand manager (con valori superiori alla media nel settori Retail e Finance) e di queste, nell’82,5% dei casi questa figura è inserita genericamente nell’area commerciale mentre nel 17,5% afferisce specificatamente all’area marketing. Riguardo alla capacità, da parte dell’It, di rispondere in tempi ritenuti adeguati alle richieste provenienti dal demand manager, a livello complessivo si riscontrano poche aziende che indicano un supporto ottimo, così come poco numerose sono le aziende che indicano come scarsa la capacità di supporto dell’It. La maggior parte delle aziende si divide quindi tra chi rileva una capacità medio/alta di rispondere in tempi adeguati (indicata anche da addetti che operano all’esterno dell’area It) e una capacità medio/bassa (confermata anche da addetti che occupano una posizione interna all’area It).
Figura 1: Presenza di strumenti di Data Quality, Data Integration e Master Data Management per la gestione dei dati e informazioni aziendali a supporto del business
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Strumenti per la gestione dei dati ed efficienza del processo analitico
La figura 1 evidenzia la presenza di strumenti di Data Quality, Data Integration e Master Data Management per la gestione di dati e informazioni aziendali a supporto del business. La presenza di soluzioni di Data Quality, volte alla bonifica e alla certificazione dei dati relativi ai clienti/fornitori/partner (spesso presenti su più sistemi e in formati diversi) è un elemento importante per le aziende, in quanto sempre più la qualità dei dati è un fattore critico per il successo delle iniziative di business intelligence aziendali e si ha quindi la necessità di evitare informazioni contraddittorie, inconsistenti o imprecise. Dalla survey emerge una presenza media, per queste soluzioni, del 33%, con settori più “evoluti” sotto questo aspetto come Retail e Servizi (entrambi con una presenza di soluzioni di data quality superiori al 40%) mentre l’Industria dispone solo nel 22,7% dei casi di questi applicativi. Si rileva come il fatto stesso che questi strumenti siano presenti in un terzo del campione rappresenti un elemento molto positivo.
La presenza di strumenti di Data Integration garantisce che tutte le fonti di dati, sui quali vengono svolte le analisi di Data Quality, siano state prese in esame; spesso infatti nelle aziende sono presenti più fonti (Crm, Scm, Erp, Dw, Business Intelligence, Portali Web) nei quali risiedono informazioni sensibili e l’attività di integration tra di essi è fondamentale per ottimizzare le analisi e le attività “qualitative” effettuate. La presenza di tali soluzioni è stata indicata da poco più della metà del campione, con una distribuzione settoriale omogenea.
La presenza di strumenti di Master Data Management (Gestione dei Dati Unici di Riferimento), infine, permette alle aziende l’identificazione univoca di ciascuna entità di business (clienti, prodotti, contratti) attraverso modelli di integrazione, standardizzazione e arricchimento dei dati. A livello complessivo dalla survey emerge una presenza di tali soluzioni di poco superiore al 35%.
Figura 2: Valutazione dell’efficienza del processo analitico e delle sue componenti
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L’efficienza del processo analitico implementato dalle aziende riceve nel suo complesso una valutazione buona (pari a 3 su una scala da 1 a 5, figura 2). Di poco superiore a questa media è stata valutata l’efficienza delle fasi di raccolta e integrazione dei dati e la trasformazione degli indicatori di base mentre la fase di analisi (anche per la presenza di processi non completamente automatizzati) risulta quella su cui ci sono maggiori margini di miglioramento.
In generale la fase di aggiornamento dei dati non è considerata problematica dal momento che essa è stata rilevata appena dal 20% delle aziende. È però importante sottolineare che le aziende che hanno evidenziato problematiche in questo processo denunciano principalmente due criticità: tempi di aggiornamento (ritenuti troppo lunghi); presenza di errori che portano ad avere dati e informazioni non ottimali per le analisi successive da effettuare. Questi problemi sono spesso generati dalle modalità di inserimento e aggiornamento dei dati all’interno dei vari database di cui l’azienda dispone, problematiche che le soluzioni automatizzate aiuterebbero invece a risolvere.
Utilizzo e miglioramento dei dati
Focalizzando l’attenzione su come le aziende utilizzano i dati relativi ai clienti è importante comprendere come esse archivino questi dati.
Nel 74,2% dei casi le aziende hanno implementato un Customer Database che funge da Repository Unico dei dati e delle informazioni sui clienti; nel 10,3% i dati vengono depositati all’interno del repository dipartimentale del marketing (in particolare il retail) o nel repository del dipartimento vendite; scarso invece (a eccezione dei servizi) il posizionamento dei dati relativi ai clienti in database distribuiti e non dedicati (5,2%).
All’interno del Repositoy Unico dedicato ai clienti, oltre l’80% delle aziende inserisce sia i dati anagrafici sia quelli relativi alle transazioni (derivanti da fatture). Una terza tipologia di dati che è possibile archiviare riguarda informazioni destrutturate e più complesse (mail/documenti vari): tale operazione è effettuata dal 40,3% delle aziende del campione.
Maggiore è la profondità storica delle informazioni relative ai clienti, maggiore è la capacità da parte delle aziende di effettuare studi e analisi volti a comprendere, e prevedere, il comportamento e le abitudini del cliente. Nel 63,9% delle aziende sono presenti informazioni relative ai clienti comprese nell’intervallo di tempo tra 1 e 5 anni ma in oltre il 30% dei casi superano i 5 anni.
Figura 3: Attività svolte per migliorare la qualità dei dati sui clienti
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Attività per migliorare la qualità dei dati relativi ai clienti sono svolte in media da oltre la metà delle aziende del campione (figura 3). L’attività più presente in assoluto (60,8%) prevede la mappatura costante dei sistemi aziendali che contengono le informazioni sui clienti, attività svolta prevalentemente da aziende del Finance. L’aggiornamento costante del repository relativo ai clienti con la contact history delle campagne marketing è svolta dal 59,8% delle aziende, in particolare Ict, Servizi e Finance. Stessa presenza (59,8%) si registra per l’attività di costruzione di datamart funzionali alle singole applicazioni, progettati per supportare query e contatti di marketing, su cui soprattutto le aziende del Retail e del Finance si mostrano particolarmente attive, a riprova del fatto che la centralità del cliente ha assunto in questi settori un’importanza strategica. Infine, il 54,6% implementa strumenti per integrare i dati provenienti da diverse aree aziendali, con la finalità di ottimizzare il processo di ricerca e utilizzo degli stessi: in tale attività risultano più coinvolte le aziende del segmento Retail.
Figura 4: Attività svolte per profilare i target
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Quali attività svolgono le aziende, per segmentare e profilare i propri target (figura 4)? L’attività più diffusa (58,8%) prevede la costruzione di cluster basati su considerazioni sia statistiche/quantitative che qualitative; tale attività è largamente utilizzata nel Finance e nell’Industria. La seconda attività in ordine di presenza (46,4%) vede la segmentazione dei clienti in base a indici di profittabilità ed al valore potenziale dell’intero ciclo di relazione azienda/cliente. L’integrazione di più fonti di dati con la finalità di costruire un profilo completo del cliente è prerogativa del Retail e Ict così come la ricostruzione dei nuclei familiari o di altri livelli di aggregazione utili alle attività business è utilizzata, in modo diffuso, sempre dal Retail.
Figura 5: Capacità di avere una vista completa e integrata di ciascun cliente (prodotti, canali, storia della relazione)
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In base alle varie fonti adottate per la raccolta e l’analisi dei dati le aziende possono essere in grado di avere una vista completa ed integrata del singolo cliente, che contenga informazioni relative al suo rapporto con l’azienda in termini di prodotti e canali utilizzati (figura 5). La maggior parte delle aziende del campione (56,7%) si ritiene in grado di avere questa vista, a eccezione del settore “altro”.
Misurazione e reporting
Il 68% delle aziende afferma di essere in grado di misurare e generare reporting che indicano la propensione all’acquisto e la percezione dei propri clienti relativamente al grado di soddisfazione dei prodotti/servizi dell’azienda mentre la misurazione della fidelizzazione nei confronti dell’azienda nel suo complesso è considerata dal 48,5% del campione.
Alle tradizionali modalità di analisi dei clienti, le aziende iniziano ad associare analisi relative ai nuovi canali di interazione utilizzati dai clienti (attuali e prospect) come quelli relativi ai siti web. Quasi il 30% delle aziende, con punte massime nel Retail, nei Servizi e nell’Altro effettua infatti analisi legate ai comportamenti degli utenti (analizzati in modo aggregato) sul proprio sito aziendale. Significativa anche la quota di aziende che stanno valutando l’utilizzo di tali strumenti, spesso partendo da progetti pilota.
Affiancata all’analisi dei comportamenti degli utenti (in modo aggregato) nel sito aziendale, vi è anche l’analisi del comportamento del singolo utente, in grado quindi di dare informazioni aggiuntive e complete. Così come nel caso precedente, si registra un elevato numero di aziende che ne stanno valutando l’introduzione (51% del campione) mentre a livello di adozione si registra un complessivo 13,5% con punte massime nell’Altro, nel Finance e nei Servizi.
Ancora poco diffusa tra le aziende del campione (8,2%) è invece la capacità di analizzare le relazioni esistenti tra i clienti, monitorandone l’interazione sui social network.
Figura 6: Livello di integrazione tra le applicazioni coinvolte nei processi analitici (sistema di insight integrato con il sistema di gestione delle campagne)
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Dalle indicazioni fornite dalle aziende emerge infine come il grado di integrazione delle applicazioni coinvolte nei processi analitici sia ritenuto, per oltre il 75% delle aziende, sufficiente o scarso mentre solo una minima parte (21,6% a livello complessivo, in particolare aziende del finance, Sevizi , Ict e altro) ritenga l’attuale livello di integrazione buono (figura 6). Questo sta a indicare ancora la presenza di una forte frammentazione delle diverse aree aziendali che procedono all’attività di analisi in modo non integrato.
* Rossella Macinante è practice leader di NetConsulting