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Data strategy oggi: 5 consigli per i CIO

La data strategy rappresenta un processo essenziale per il business, deve perciò essere definita seguendo metodi precisi ed efficaci. Massimiliano Rosatelli di SDG Group ne suggerisce alcuni

Pubblicato il 14 Dic 2021

Data strategy

In un periodo in cui i dati sono sempre più spesso alla base delle decisioni di business, è necessario definire una data strategy che permetta di avere la gestione e gli analytics migliori.

Abbiamo perciò chiesto a Massimiliano Rosatelli, Manager presso SDG Group, di illustrarci i 5 aspetti che ritiene essenziali per un CIO, che debba stabilire una nuova data strategy o affinare quella che ha già in atto. Ecco quali sono stati i suoi consigli.

1. Abbiate chiaro il contesto attuale del vostro landscape di analitiche.

“È necessario che venga sviluppata un’analisi in collaborazione con chi ha una competenza trasversale su tecnologie e piattaforme per valutare nella maniera più accurata tutte le interazioni che esistono tra i vari elementi di questa architettura”, sostiene Rosatelli. Quindi si dovrebbero, per esempio, mappare i database posseduti o le tecnologie specifiche su cui sono state sviluppate le applicazioni in termini di database, per capire, nel momento in cui ci si sposta sul cloud, se questi riescono a garantire un’adeguata flessibilità nell’interfacciamento con le nuove tecnologie. “È ovvio che una risposta negativa a questa domanda porti a dover ridefinire una strategia – precisa Rosatelli – e quindi laddove si voglia mantenere una tecnologia di database, se si decide di andare in cloud, ci sono solo due alternative: si cambia l’infrastruttura oppure si va in cloud non portando tutte le componenti”.

Fino a qualche tempo fa ci si poneva il problema se valeva la pena o meno trasferire le applicazioni in cloud. “Oggi il panorama è cambiato e la domanda non è più se si può o meno, ma invece quando si dovrà fare – afferma Rosatelli –. Questo perché prima o poi subentreranno delle esigenze di interoperabilità tra le applicazioni legacy e, per soddisfare tali esigenze, le applicazioni dovranno essere aggiornate o sostituite. Un esempio sono i software usati da decenni nel mondo bancario che nessuno ha il coraggio di toccare: nel giro di alcuni anni, dovranno essere cambiati se si vuole rimanere sempre aggiornati. Ovviamente ci sono importanti valutazioni da fare, ma la strada da seguire è segnata”.

2. Considerate la sicurezza dei dati.

“Su quest’area, in particolare nell’ambito della gestione della privacy – puntualizza Rosatelli –, i cloud provider sono ancora un pochino indietro, probabilmente perché non riescono ad adeguarsi in modo sufficientemente veloce ai cambi normativi. Infatti, la Banca Centrale Europea e tutti i vari garanti nazionali stanno emanando linee guida sempre più stringenti sulla localizzazione, su dove si possono spostare i dati per mantenerli sicuri”. La BCE sta indicando in maniera sempre più decisa che questi dati non possono assolutamente spostarsi al di fuori dell’Unione europea. Ci sono poi regolamenti nazionali, che limitano ancor di più la possibilità di trasportare alcuni dati, restringendola addirittura ai confini nazionali. Questo significa che i cloud provider devono, in qualche modo, essere pronti a offrire un servizio che garantisca a enti di una certa caratura, come per esempio le banche, la possibilità di avere dei dati in un posto noto con ovviamente tutta la sicurezza tecnologica infrastrutturale necessaria.

“Il rischio che ci sia una violazione di un sistema cloud è esattamente lo stesso che si ha su un sistema on-premise – sostiene Rosatelli. Molto spesso i pericoli maggiori provengono dall’interno: sono noti i casi di malware portati nella rete aziendale dagli stessi dipendenti. Tecnicamente parlando, il cloud offre livelli di sicurezza altissimi (se correttamente gestito) in quanto nasce vincolato in partenza a dover garantire la protezione dei dati. Questo potrebbe non avvenire on premise, perché magari nel tempo si possono essere trascurati alcuni aspetti ma principalmente perché l’aggiornamento delle politiche di sicurezza avviene in tempi più lunghi rispetto a quanto possa fare un cloud provider.

3. Attenzione ai costi.

È importantissima una valutazione adeguata del sistema su cui si ha intenzione di sviluppare una strategia di migrazione verso il cloud. “D’altra parte – evidenzia Rosatelli –, non si deve ragionare solo in un’ottica IT, bisogna anche considerare il business, con le sue aspettative e le sue necessità. E spesso tali necessità e aspettative sono molto distanti tra loro”.

“Una capability abilitata dal cloud – prosegue Rosatelli – è la possibilità di accedere a dei dati in tempo sempre più rapido. Quindi dalla creazione del dato su un sistema transazionale interno all’azienda o al trasferimento di questo dato dall’esterno tramite social o vari data provider, si deve avere la comprensione e il governo del fatto che gli utenti stanno chiedendo la disponibilità in tempo reale. Perciò si deve pensare ad architetture che riescano a muovere il dato alla velocità richiesta in termini sia di trasformazione sia di visualizzazione”.

4. Acquisite le giuste competenze IT.

“Le competenze interne all’azienda è necessario vengano portate a un livello differente – evidenzia Rosatelli –. Questo perché le tecnologie evolvono velocemente e troppo spesso le aziende non riescono ad adattare le proprie conoscenze in maniera altrettanto rapida. Perciò è opportuno capire quali servizi un CIO decida di mantenere all’interno e quali invece sia disponibile a esternalizzare”. A fronte di ciò, si deve definire una strategia che nel tempo porti ad acquisire le risorse e le competenze per poter continuare a sviluppare e gestire internamente delle applicazioni per determinate aree.

5. Data science e intelligenza artificiale.

Il cloud è sicuramente la piattaforma che meglio si presta a offrire in maniera semplice ambienti all’interno dei quali poter modellare e sviluppare applicazioni proprie, che sfruttino al massimo le potenzialità di tool di AI. Per favorire l’adozione di queste piattaforme i cloud provider offrono due tipologie di servizi: o la messa a disposizione di modelli preimpostati per la creazione di applicazioni business, come il demand forecasting, l’ottimizzazione della produzione e una serie di altri impieghi, oppure la possibilità di avere delle piattaforme di sviluppo. In questo modo si riesce ad andare incontro alle esigenze di clienti in procinto di muovere i primi passi nel mondo dell’AI e di clienti che invece sono in uno stato di adozione avanzato avendo acquisito competenze specifiche in questo settore. La data science è il futuro ed è necessario scegliere correttamente tecnologie e strumenti allineati alla strategia aziendale per non perdere questa importante occasione di migliorare il posizionamento aziendale in un contesto sempre più dinamico. C’è quindi da definire la scelta di un cloud provider o l’altro – conclude Massimiliano Rosatelli –. Nel caso specifico, da una parte potremmo per esempio avere Azure di Microsoft, che rende disponibili modelli più strutturati in un’ottica di marketplace, mentre dall’altra parte ci potrebbe essere AWS, che invece offre strumenti più orientati allo sviluppo di algoritmi. Come CIO, che ha la responsabilità della data strategy, ci si deve chiedere se la propria azienda ha l’obiettivo di portare in casa un’area di data scientist a cui dare la possibilità di operare con una certa libertà, oppure ci saranno solo utenti evoluti per cui sarà comunque sufficiente avere a disposizione modelli precompilati da applicare ai loro set di dati. La risposta indirizzerà la scelta del cloud provider”.

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