Con la progressiva digitalizzazione del business, si moltiplicano le opportunità e le sfide “information driven”. In che misura, lo dicono due previsioni Gartner: nei prossimi 3-5 anni un terzo delle aziende sarà in grado di monetizzare gli asset informativi, vendendoli o scambiandoli, direttamente o indirettamente; ma un professionista dell’information management su tre risentirà in un modo o nell’altro di una “crisi strisciante” dello scenario informativo e della necessaria, complessa ristrutturazione applicativa.
Crisi strisciante? Andrew White, Research Vp Gartner, ricorre alla metafora della clessidra: “Le applicazioni, la miriade di dispositivi e sensori, l’evoluzione del datawarehouse, le tipologie di utenti, l’informazione in streaming sono come granelli di sabbia che cadono e formano un cono stabile, finché un granello, non si può saper quale, determinerà un cambiamento di assetto imprevedibile”. Un problema di qualità del dato potrebbe “infilarsi” in applicazioni business o annidarsi in un collo di bottiglia del sistema. Le conseguenze? “Gli utenti business si lamentano di dati inconsistenti o non reattivi ad azioni correttive; le decisioni non hanno l’efficacia attesa, le performance di business sono impattate, si litiga sulle fonti dei dati”, afferma White. Serve da un lato gestire e valorizzare l’informazione necessaria al business aziendale, dall’altro mitigare il rischio di esposizione indebita. Sul primo fronte occorre una strategia aziendale di Information management che offra sia viste specifiche per linea di business, sia una vista olistica, un Enterprise data management tramite l’adozione di un Master data management (Mdm).
Strategia dell'informazione: agire su tre leve
L’informazione diventa un asset. Ubiquo. “Il professionista di InfoManagement – specifica White – ha davanti a sè un compito non solo innovativo, ma trasformativo: estrarre valore dal patrimonio di informazione, a partire dall’Internet of Thing o dall’effetto della digitalizzazione del business. Il c-level si aspetta un ritorno, e che venga alzato il tiro da una strategia di ‘mantenimento’ a una di ‘management’ e di (attivo) sfruttamento dell’informazione”.
Per una strategia dell’informazione più efficace, White vede l’azione di tre leve sull’infrastruttura informativa che sfruttino l’impatto delle trasformazioni in atto.
Prima, la digitalizzazione del business: mettere al centro dei processi aziendali i momenti di business “mobile” con cui si ingaggiano i clienti e si risponde ai loro bisogni.
Seconda, l’innovazione, di cui l’informazione è fonte: l’imperativo del rendimento dell’informazione mette in gioco lo stesso modello di business delle aziende infocentriche, quelle la cui produzione è abilitata dall’informazione (è classico l’esempio di due aziende farmaceutiche arcinemiche, che a fronte del costo proibitivo della ricerca primaria per realizzare un farmaco, ne hanno condiviso know how e costi, confinando la concorrenza alla sola supply chain).
Terza, l’informazione stessa, dove è già asset di business: se l’informazione è collegata al prodotto o al processo di produzione può aver valore in uno specifico settore di mercato; “impacchettata” con il prodotto, costituisce un differenziatore monetizzabile (per esempio i produttori di trattori che vendono informazioni agli agricoltori a valle del lavoro nei campi). Oppure può essere anche l’unico prodotto. Ci sono startup o piccole compagnie che sfruttano dati open, vi aggiungono proprietà intellettuale e rivendono il risultato.
Se si vuole che la propria azienda sia in grado di monetizzare l’informazione, si deve cercare dove questa può diventare asset e acquistare potere economico “di suo”.
Le pressioni per modernizzare l’infrastruttura informativa
Può l’infrastruttura informativa disegnata nell’ultimo decennio supportare una popolazione di applicazioni fluttuante, dati generati da miriadi di sensori e analitici che possono essere ovunque? E nel contempo passare dalla Maintenance al Management informativo, assicurare un Roi al business, e monetizzare gli asset? Ciò che elimina ogni dubbio è la scala: il potenziale valore informativo viene da 2 miliardi di sensori oggi, che nel 2017 saranno 30 (ogni oggetto che vale più di 100 euro genererà dati). Un’opportunità impossibile da intercettare per aziende prive di infrastruttura informativa “moderna”.
E oltre alla scala, c’è un’altra “pressione” che Regina Casonato, Managing Vp Research e Country Leader Gartner Italia, segnala al Cio e ai Responsabili dell’Information management aziendale: “L’aspettativa del Ceo di una ‘leadership digitale’della gestione dell’informazione, perché solo l’informazione trainerà tecnologie che ‘si pensa facciano la differenza nei prossimi 5 anni”, nella figura 2 svettano (con una stella) quelle in cui l’informazione accurata, tempestiva, appropriata e condivisibile assume un ruolo centrale: Business analytics, Customer experience management, Supply chain optimization, Enterprise mobility, Sensor network. Tecnologie che faranno vendere più auto, assicurazioni con pricing in tempo reale, servizi oltre che prodotti oppure consentiranno di estendere la supply chain a nuovo business.
Requisiti base di un Information Capabilities Framework
Il modello moderno di infrastruttura informativa si basa sull’assioma che le app vanno e vengono, l’informazione persiste. Se disegno una nuova app, l’informazione su cui lavora deve essere riusabile anche da successive app. Ma di solito le regole per lavorare sui dati sono innestate nella singola applicazione, i dati “rinchiusi” in una app ne sono “prigionieri”; far funzionare il consumo comune di informazione in modo consistente tra anche solo due app è uno sforzo costoso.
A maggior ragione in contesti business mutevoli, con sempre nuove fonti informative e dati da analizzare in movimento, magari in cloud, diventa indispensabile un’infrastruttura informativa, sopra le app e di livello Eim, che accomuni tutte le capacità utili a estrarre, integrare e produrre informazione, dovunque siano richieste, e così renda l’informazione condivisibile e riusabile da qualunque app.
Non ultima prescrizione, occorre evitare integrazioni informative punto a punto, pena l’esplosione dei costi di integrazione e con l’avvento dei big data la data integration è assai più sofisticata del tradizionale Extract Transfer & Load (Etl).
“Crediamo che l’Information Capabilities Framework, [Icf, vedi articolo – ndr], risultato di due anni di ricerca tra clienti Gartner, sia il primo passo verso una moderna infrastruttura informativa”, sottolinea Casonato, che ha subito precisato cosa l’Icf non è: un prodotto che si compra dal vendor di fiducia o il modello di information management ultimo e non più perfettibile. Si propone invece come linea guida per una progressiva modernizzazione dell’infrastruttura informativa. Perché sarà giocoforza partire da dove si è, dai propri Erp, e seguire un approccio dove, nel percorso verso una managed information, si darà priorità alle app che si individueranno strategiche.
Si tratta di un framework “del tutto indipendente dalla tecnologia, dall’applicazione che lo utilizza e dai contenuti informativi dello usecase in quanto disconnette le capacità associate all’informazione dalle singole applicazioni”, precisa Casonato.
Lo spirito di un modello di questo tipo? “Liberare l’informazione”, risponde lapidaria Casonato. “Va visto come la mappa di un percorso per arrivare a riutilizzare e condividere informazioni e superare la condizione in cui l’informazione disponibile viene con il contagocce da una sola applicazione alla volta. Il che non ha più senso quando con i big data applicazioni, dati e analytics piovono da tutte le parti. Una stessa informazione, usata per esempio per rendere più efficiente una supply chain, può e deve potere essere immediatamente riutilizzata per la retention di un cliente”.
Usare principi Icf
Gartner, fino a oggi, ha visto solo parziali e limitate implementazioni di modelli capaci di astrarre informazione dalle applicazioni. Ma sarebbe importante cominciare da subito a praticare “principi Icf”; per nuovi usecase o applicazioni ragionare in termini di capacità comuni e condivise; praticare un’evoluzione incrementale; cominciare a metter a fattor comune le capacità più semplici; convincere gli sviluppatori, che dovranno rassegnarsi all’idea di abbandonare l’ottimizzazione dell’informazione per una sola applicazione; giustificare il piano stesso di implementazione graduale con i risparmi prodotti, evidenziando le risorse che si sprecano ogni volta che si deve far funzionare l’utilizzo comune di informazione tra due app “monolitiche”.
Infine ha senso usare il modello Icf in “prospettiva di ecosistema per determinare ruolo e valore di vendor specifici. Aiuterà a valutare quanto i vendor sono allineati alla vision per l’Infrastruttura informativa che si vuole perseguire e individuare i loro punti di forza e di debolezza!, conclude Casonato.