Ibm e Università: una strada da fare insieme

Lo stato, gli sviluppi e le prospettive delle iniziative rivolte al mondo accademico europeo, da sempre considerato nella strategia di Big Blue, sono stati al centro degli “Academic Days”. Due giorni d’incontri e studi sul nuovo modello delle scienze computazionali. Dove l’analisi dei big data e i sistemi cognitivi hanno un ruolo fondamentale.

Pubblicato il 26 Ago 2014

Poco prima dell'estate, il Politecnico di Milano ha ospitato l’edizione 2014 degli Ibm Emea Academic Days. Un evento a cadenza biennale e sede itinerante (nel 2012 si è tenuto a Francoforte) attraverso il quale Ibm evidenzia il ruolo che nella propria strategia hanno i rapporti con le Università e gli Istituti di Ricerca del Vecchio Continente. Rapporti che, ricordiamo, parlando a livello mondiale l’hanno sin dagli inizi accompagnata nella sua crescita e trasformazione e che, consolidatisi nel tempo, contribuiscono a fare della Casa di Armonk la società Ict che probabilmente più di ogni altra partecipa a progetti di ricerca pura e applicata, con un ritorno che si traduce in un capitale di brevetti e proprietà intellettuale senza pari.

È spettato al ‘padrone di casa’, il Rettore Giovanni Azzone, presentare l’ateneo milanese al centinaio di convenuti provenienti da una trentina di Istituti europei, sottolineandone il ruolo e la ‘vocazione’ di partner nei settori d’industria dove la ricerca è più suscettibile di creare una ricaduta tecnologica. Dopo di che i lavori sono stati aperti da Harry van Dorenmalen, Chairman di Ibm Europe, che partendo da un omaggio a Milano, “capitale economica, di cultura e di innovazione”, ha proposto una visione dell’Europa come “area geoeconomica unitaria come mercato dei beni, mercato del lavoro e centro di formazione tecnologica e culturale”. Un obiettivo al cui raggiungimento, però, si oppongono infrastrutture obsolete, protezionismi, timori sulla sicurezza e, non ultimi, squilibri nella crescita e composizione della popolazione dei vari Stati. Tocca al mondo accademico, per Dorenmalen, favorire lo sviluppo Emea tramite la ricerca di base e applicata, la formazione di competenze e la costituzione di una rete di partnership capace di creare un “ecosistema universitario” che poggi su tre fattori critici: l’agenda (programmazione e organizzazione delle attività); la tecnologia (come scopo e come strumento) e i talenti, “da attirare – ha concluso il top manager – anche grazie all’analisi delle reti sociali”.

Dopo il Keynote introduttivo sul progetto Human Brain (vedi riquadro in basso), la parola è tornata a Ibm nella persona di Mike Rhodin, Senior Vp del Watson Group, l’unità costituita lo scorso gennaio per creare e promuovere attività di business basate sul cognitive computing. Non ci dilungheremo sul suo intervento in quanto sia del progetto Watson sia della creazione di un sistema di partnership per lo sviluppo di basi di conoscenza, metodologie e applicazioni riguardanti il suo impiego abbiamo ampiamente scritto sul numero di ZeroUno (aprile 2014) dedicato appunto al cognitive computing (vedi articoli Cognitive Computing: una rivoluzione in arrivo; Dalla ricerca al business. Il momento si avvicina; Cognitive Computing: ambiti e metodi di applicazione; Dall'It transformation al cognitive computing: Eni incontra Watson). A un’audience attenta, Rhodin ha chiarito che: “L’approccio Watson non è su come funziona il cervello, ma su come viene adoperato. Proponiamo un modo di fare computing che non è quello di dare risposte a domande precise, ma di ragionare su un problema come fanno gli umani: operando per supposizioni, confronti, esperienze ed errori”. Nel successivo incontro con la stampa, Rhodin ha precisato che per quanto Watson non sia focalizzato su soluzioni né general purpose né tanto meno consumer, i partner ne potranno sfruttare le capacità di analisi dei big data per sviluppare soluzioni economicamente configurabili sulle esigenze delle medio-piccole imprese che caratterizzano il mercato italiano.

Proprio per l’analisi dei big data il Politecnico di Milano e Ibm hanno creato nel giugno del 2013 un “Centro per l’Innovazione” per le Business Analytics e nel secondo giorno degli Academic Days, Gianluca Spina, Presidente del MIP Graduate School of Business (la scuola di management del Politecnico) e Letizia Tanca, professore ordinario di Computer Engineering, hanno relazionato sullo stato dell’iniziativa. Questa, che è finalizzata alla formazione dei “data scientist” (una figura che le imprese cominciano a richiedere) offre già oggi corsi per l’uso delle analisi sui big data nei programmi degli studi in Business Administration, mentre per il Marketing sono previsti nel biennio 2014-15.


Cercando le leggi del pensiero

Tema del “Keynote speech” degli Academic Days è stato lo Human Brain Project, un grandioso progetto interaccademico che fonde tre aree di ricerca, le neuroscienze, il computing e la medicina, con l’obiettivo, ha detto il relatore Henry Markram, dell’Istituto Federale di Tecnologia di Losanna, “di individuare e definire le leggi, se esistono, che governano il funzionamento del cervello umano”. Si tratta infatti di “ superare il paradosso per il quale ogni giorno impariamo sempre di più, ma non sappiamo bene che fare di tutta questa nostra conoscenza”. Il vero problema, ha osservato Markram, è che: “A differenza del genoma umano, il cervello non si può mappare in alcun modo, perché la sua struttura e organizzazione dipendono non solo dalla biologia, ma dalla cultura e dalle esperienze individuali”. Bisogna quindi essere umilmente consapevoli che si va in cerca di leggi che potrebbero anche non esistere affatto.

Con tutto ciò, si lavora per ricostruire le variazioni morfologiche a livello neocorticale (sede delle funzioni superiori e quindi, si suppone, del pensiero) indotte da attività cerebrali, la formazione delle sinapsi e le probabilità di connessione tra cellule in ‘cluster’ neurali. Ciò avviene tramite simulazioni al computer (delle quali si son date dimostrazioni in aula) realizzate elaborando i 207 diversi livelli di energia bioelettrica che marcano il passaggio dalla quiete all’attività cerebrale. “Perché – conclude Markram – il cervello funziona un po’ come un computer adattivo: diventa di volta in volta la macchina che occorre per risolvere il problema”.

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